31 gennaio 1944, muore Arpad Weisz: dagli scudetti con Inter e Bologna ad Auschwitz

La storia dell'allenatore ungherese Arpad Weisz, morto ad Auschwitz: protagonista di scudetti con Inter e Bologna, è stato uno dei primi stranieri a fare la storia in Italia

Vito Longo
12 Min di lettura

SEGUICI SUI SOCIAL

Esistono personalità del mondo del calcio capaci di trascendere il tempo e restare impresse nei racconti di cronaca e di storia. Il modo più facile per consegnarsi all’immortalità è, ovviamente, distinguersi per le imprese sul rettangolo verde. Vincere competizioni, individuali e di squadra, o mostrare qualità tecniche fuori dal comune non è per tutti. Eppure, soprattutto nel calcio, non mancano personalità capaci di far parlare di sé anche per le vicende extra-campo, non sempre in senso positivo.

Come non ricordare l’epopea di George Best, campione di straordinaria qualità dentro il campo e di straordinaria fragilità al di fuori di esso. Una vita troppo breve, consumata dalla dipendenza dagli alcolici che lo ha spento del tutto ad appena 58 anni. Lo stesso Gascoigne, campione in campo e maledetto fuori, ha costellato anche la sua esperienza italiana, in maglia Lazio, di sparizioni improvvise e follie stravaganti.

Lo stesso Maradona non si è mai distinto per una condotta impeccabile fuori dal rettangolo verde. Gli eccessi extra-campo, d’altronde, hanno strappato troppo presto “El Pibe de Oro” all’affetto delle milioni di persone che gli volevano bene. Più recente, invece, il “dramma” di Adriano. L’imperatore dell’Inter, che in nerazzurro sembrava inarrestabile, è entrato in una spirale negativa fatta di alcol e eccessi dopo la morte del padre. Più volte, infatti, i suoi ex compagni di allora biasimano loro stessi per non essere riusciti ad impedirgli di compromettere una carriera luminosa.

Arpad Weisz*
Arpad Weisz*

L’antologia del calcio, però, si compone anche di allenatori capaci di diventare immortali per le loro imprese. Gli esempi sarebbero molteplici e su ciascuno si potrebbe dibattere ampiamente. Per citare solo quelli passati dal nostro campionato, c’è sicuramente Vittorio Pozzo, bicampione Mondiale con l’Italia nel 1934 e nel 1938. Come non citare poi le imprese dell’Inter di Herrera e Angelo Moratti, o il mitico Nils Liedholm. Lo svedese fu capace di sorpassare la tradizionale marcatura a uomo tanto in uso in Italia per approdare ad una difesa a zona, oggi diffusissima.

Attraversando i decenni, arriviamo a Boskov, diventato famoso negli anni 90 per gli ottimi risultati, conquistati soprattutto sulla panchina della Sampdoria della coppia Mancini e Vialli. Ancora oggi, però, praticamente tutti conoscono almeno una delle massime che declamava nelle conferenze e nelle interviste pre e post partita. “Rigore è quando arbitro fischia” o “Se uomo preferisce donna a finale di Champions, forse vero amore, ma no vero uomo”. Ma anche Ancelotti, Capello, Guardiola, Mouriñho, Trapattoni, per citarne solo alcuni, sono stati capaci di diventare icone al di là dei, comunque ottimi, risultati.

Rimanendo in tema di citazioni, ce n’è una abbastanza famosa che, più che citazione, può, a buon diritto, rientrare nella categoria delle “maledizioni”. “D’ora in avanti, il Benfica non vincerà più una coppa internazionale, per almeno 100 anni”. Leggenda narra che a pronunciare questo anatema, il 1° maggio 1962, fu Béla Guttmann, allenatore ungherese al quale il Benfica non volle adeguare il contratto. C’è, però, anche un’altra figura ungherese diventata famosa, purtroppo per motivi ben più seri: è il caso di Arpad Weisz.

Arpad Weisz con la maglia dell'Inter*
Arpad Weisz con la maglia dell’Inter*

Arpad Weisz, dal campo alla panchina dell’Ambrosiana-Inter

Nasce a Solt, in Ungheria, nel 1896, da due genitori ebrei. Inizia a giocare a calcio, ma lo scoppio della prima guerra mondiale lo costringe ad arruolarsi come volontario nell’esercito austro-ungarico. I soldati italiani, tuttavia, lo catturano, salvo poi liberarlo successivamente, ad ostilità concluse. Il suo destino, però, sembra indissolubilmente legato al territorio italiano. Mostra buone doti da ala sinistra, grazie alle quali conquista la chiamata dall’allora Internazionale di Milano. Gravi problemi fisici, però, lo costringono, nel 1926, ad interrompere la carriera da calciatore.

Il legame con l’Inter, però, non si scioglie neanche una volta appese le scarpette al chiodo. La società che lo ha ri-portato in Italia decide di promuoverlo ad allenatore. Nella stagione 1926-27 centra il quinto posto. L’anno dopo, compie una scelta che consegna all’Inter, e a tutto il calcio italiano, uno dei più grandi campione di sempre in Serie A. Nel 1928, infatti, fa esordire un giovanissimo Giuseppe Meazza, che diventerà, poi, protagonista fondamentale anche dell’Italia di Pozzo. Il settimo posto finale, però, gli vale l’esonero.

Arpad Weisz*
Arpad Weisz*

Arpad, allora, torna in patria, dove va ad allenare lo Szombathely. Nell’estate del 1929, però, la sua storia torna ad intrecciarsi con quella dell’Italia e della sua vecchia società, adesso diventata AmbrosianaInter. La seconda vita di Weisz sulla panchina nerazzurra è ben diversa dalla prima. A soli 34 anni, infatti, porta i nerazzurri allo scudetto, diventando, a tutt’oggi, il più giovane allenatore straniero di sempre ad aver vinto il tricolore.

Nonostante la giovane età e l’inesperienza, Weisz è riuscito a rivoluzionare la metodologia del calcio, soprattutto in allenamento. Il tecnico ungherese fu il primo allenatore ad accompagnare i suoi calciatori. Introdusse specifici carichi di lavoro, personalizzati su ciascun giocatore, e si dice supervisionasse direttamente la dieta dei calciatori. Aveva, inoltre, l’abitudine di seguire personalmente il lavoro del settore giovanile. Proprio grazie ad essa, d’altronde, ha portato in prima squadra quel Giuseppe Meazza, capace di imporsi ad appena vent’anni come capocannoniere della Serie A.

Anche dal punto di vista tattico, l’apporto innovativo di Weisz fu notevole. Molti dei principi di gioco e dei suoi metodi di allenamento, comunque, si ritrovano nel manuale “Il Giuoco del Calcio”. Scritto in collaborazione con Aldo Molinari e Vittorio Pozzo, il libro, pubblicato per la prima volta nel 1930, è di una contemporaneità straordinaria ancora oggi.

Weisz e il Bologna: storia di successi tricolori

La sua storia successiva con l’Inter, comunque, fu abbastanza travagliata. Non riuscì mai a bissare il successo dello scudetto 1929-1930 e, nel mezzo, passò anche al Bari. Nel capoluogo pugliese, nell’anno 1932, vince lo spareggio salvezza contro il Brescia, venendo portato in trionfo dai tifosi biancorossi. Due anni dopo, nel 1934, reduce dall’esonero all’Inter, accetta di scendere di categoria e abbracciare il progetto Novara. Nel gennaio del 1935, tuttavia, una nuova chiamata è destinata a riconsegnare il suo nome nell’albo d’oro del campionato italiano.

Arrivato al Bologna, compie un’impresa non riuscitagli prima nell’Inter: vince due scudetti consecutivi. Il primo arriva l’anno successivo, nella stagione 1935-1936. In quell’anno, oltretutto, Weisz segna un altro record, tuttora ineguagliato: impiega appena 14 calciatori. La vittoria del tricolore, il terzo dei rossoblu emiliani, segna la fine del ciclo juventino. Il Bologna di Weisz, poi, si ripete anche l’anno successivo. Nel 1937-1938, invece, arriva quinto. Ironia della sorte, a vincere quel campionato, fu proprio l’Inter del suo ex calciatore Castellazzi, allenatore trentatreenne, più giovane di sempre ad aggiudicarsi il tricolore.

1939-1942: gli anni olandesi e la deportazione di Dordrecht

Intenzionato a riportare lo scudetto a Bologna, riparte, l’anno dopo, determinato a rivincere. L’albo d’oro di quell’anno, in effetti, indica i felsinei come vincitori del campionato 1938-1939. Ciò che, ovviamente, però, non può raccontare è che Weisz non riuscì a concludere quella stagione sulla panchina bolognese. L’avvicinarsi della seconda guerra mondiale, impone agli ebrei di abbandonare l’Italia, come effetto delle leggi razziali promulgate da Mussolini.

Rifugiatosi a Dordrecht, in Olanda, fu protagonista anche qui di successi notevoli alla guida della squadra di calcio locale. Con essa, centrò un’insperata salvezza il primo anno e due quinti posti negli anni successivi, togliendosi la soddisfazione di battere le ben più quotate Ajax e Feyenoord. Il suo ritiro olandese, purtroppo, durò poco. Nel 1942, la Gestapo, polizia segreta della Germania nazista, lo arresta assieme alla moglie e ai due figli. Tutti e tre muoiono presto, condannati alle camere a gas. Arpad, invece, è l’ultimo a morire, nel campo di concentramento di Auschwitz, il 31 gennaio 1944.

Arpad Weisz, l’ungherese che ha cambiato la Serie A

Nonostante la storia di Arpad Weisz trasudi umanità da qualsiasi punto di osservazione la si guardi, le sue vicende sono andate praticamente dimenticate per quasi sessant’anni. Un fondamentale impulso a riscoprire il suo nome è stato dato dal giornalista Matteo Marani, già direttore anche de Il Guerin Sportivo. Nel suo libro, “Dallo scudetto ad Auschwitz”, del 2007, ricostruisce la storia dell’allenatore ungherese con un preziosissimo lavoro archivistico.

Da allora, comunque, si sono celebrate diverse commemorazioni in suo onore, anche se con colpevole ritardo. Nel 2009, il Comune di Bologna promuove la prima commemorazione ufficiale in onore di Weisz. Sotto la torre di Maratona dello stadio Renato Dall’Ara di Bologna, viene apposta una targa dedicata alla sua memoria. Recentemente, invece, nel 2018, gli è stata intitolata la curva San Luca dell’impianto casalingo dei felsinei. Non solo la città di Bologna, però, ha contribuito a rinfocolare il suo ricordo.

Il 27 gennaio 2012, infatti, in occasione del Giorno della Memoria, fu posta una targa in suo omaggio anche allo stadio Giuseppe Meazza di Milano. Un anno dopo, il quarto di finale di Coppa Italia tra Inter e Bologna è stata occasione ulteriore per celebrare il suo ricordo. I calciatori delle due squadre sono entrati in campo indossando una maglietta commemorativa. Nello stesso anno, è stata apposta anche un’altra targa, in memoria di Arpad Weisz, allo stadio Silvio Piola di Novara. Nel 2014, infine, anche la città di Bari gli ha reso omaggio. In suo onore, infatti, è stata intitolata una via nei pressi dello stadio San Nicola.

Condividi questo articolo