Giacinto Facchetti nasce a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 18 luglio 1942. Il padre Felice faceva il ferroviere, mentre la madre Elvira lavora in casa. Ha un fratello, Luigi, e tre sorelle, Franca, Luigia e Giuseppina. La classica famiglia italiana degli anni ’40. Un giorno, a scuola Giacinto deve fare un compito in classe, “Che cosa vorresti fare da grande?”, senza pensarci su risponde: “Il muratore”. Cresciuto in un nucleo familiare povero della bassa bergamasca, già dalla giovane età mostrava l’umiltà che ha caratterizzato la sua carriera da calciatore e da dirigente.
Al Giacinto bambino piace cantare, ma poco alla volta è il calcio che lo conquista e lo porta a calcare il campo di terra battuta dell’oratorio dei salesiani, a circa 300 metri da casa sua. Alterna il calcio all’atletica leggera ed è il padre che lo porta agli allenamenti in bicicletta. Negli anni della Prima Guerra Mondiale era stato un terzino sinistro e giocava nella squadra dei ferrovieri. Talmente duro nei contrasti di gioco con gli avversari che lo avevano soprannominato “ammazzacristiani“.
In una intervista Giacinto Facchetti ricorda i genitori: “Mio padre era inflessibile, intransigente, era lui che mi sceglieva i compagni di gioco, onesto e disciplinato. Se io ho alcune buone qualità, penso proprio di averle ereditate da lui. La mamma mi ha trasmesso invece la generosità”.
La vita di Giacinto è vissuta nello sport: calcio, atletica leggera, pallavolo, pallacanestro, rugby, i 100 metri piani, i 400, gli 800 e per non farsi mancare nulla, ha fatto salto in alto, in lungo, ed anche staffette veloci. Un atleta con la A maiuscola.
Giacinto Facchetti: la storia d’amore con l’Inter
Grazie all’atletica leggera, il suo fisico ha uno sviluppo incredibile, raggiunge l’altezza di un metro e 88 centimetri. Nella stagione 1957/58, viene notato dall’osservatore a capo delle squadre giovanili nerazzurre, Giuseppe Meazza che lo fa acquistare dall’Inter dalla Trevigliese. L’esordio di Facchetti in Serie A, avviene soltanto due anni dopo. Due anni nei quali si allena duramente per essere pronto al grande salto. L’incontro che gli cambia la vita e la carriera calcistica è quello con il tecnico Helenio Herrera che lo fa esordire in campionato contro la Roma: è il 21 maggio 1961. I giallorossi hanno un attacco formidabile composto da quattro sudamericani. Il più difficile da marcare è proprio del ragazzo che esordisce con la maglia a strisce nere e azzurre. È l’uruguagio Alcides Ghiggia, contenerlo non è certo una passeggiata di salute, ma Facchetti non si lascia intimorire e supera l’esame. La Roma perde 2-0 a San Siro.
Il suo primo scudetto arriva nella stagione 1962/63 e coincide con il primo trionfo del Presidente Angelo Moratti. La Beneamata nelle quattro stagioni successive conquista altri due campionati, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. È l’Inter che in moltissimi conoscono e declamano, soprattutto i tifosi un po’ meno giovani, come una filastrocca: Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso, capace di sconfiggere il Real Madrid in finale di Coppa dei Campioni 1963/64, di Alfredo Di Stefano, Ferec Puskás e Francisco Gento per 3-1, con la doppietta di Sandro Mazzola e la rete di Aurelio Milani e l’anno successivo conquistare la seconda finale della massima competizione europea, contro il Benfica di Eusebio con una formazione che si discosta poco da quella dell’anno precedente, ma che va citata perché ha fatto la storia: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso: rete decisiva del brasiliano Jair nell’1-0 finale.
Per Facchetti 18 stagioni con la maglia dell’Inter, 634 gare ufficiali, 4 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali ed una Coppa Italia. Il padrone della fascia sinistra interista si ritira a 35 anni, nel 1978 e dovrà aspettare fino al novembre del 1995 per rientrare in società. Massimo Moratti, figlio di Angelo, acquista la società di Milano dall’allora proprietario Ernesto Pellegrini e dopo una settimana l’ex capitano è già in panchina con il ruolo di team manager. Dopo di lui i tifosi nerazzurri, dai più vecchi ai più giovani hanno visto il susseguirsi di moltissimi fluidificanti sull’out mancino, ma davvero in pochi hanno ripercorso le gesta del Capitano che ha siglato ben 59 reti. Giacinto era fortissimo anche di testa, Mazzola e Corso gli pennellavano palloni d’oro per il suo stacco, aveva una corsa potente, un destro forte e preciso, un sinistro non da meno, un senso tattico come pochi, carisma da vendere, ma soprattutto era leale e corretto, infatti in carriera è stato espulso solo una volta, per proteste.
Più di 15 anni senza il “Cipe”
Il 4 settembre 2006, Giacinto Facchetti ci lasciava. In quel momento era Presidente dell’Inter. Aveva preso il posto di Massimo Moratti nel 2004. Lo stesso Moratti il giorno della sua scomparsa lo ricorda così: “Herrera ti chiamò Cipelletti, sbagliandosi, e da allora tutti noi ti chiamiamo Cipe. Dolce, intelligente, coraggioso, riservato, lontano da ogni reazione volgare. Grazie ancora di aver onorato l’Inter”.
La prima partita dei nerazzurri senza il “Cipe”, è datata 9 settembre 2006, allo Stadio Artemio Franchi contro la Fiorentina, con la rete di Ibrahimovic e la prima doppietta di Esteban Cambiasso in maglia interista, gli ospiti si impongono per 3-2. L’argentino ex Real Madrid, che aveva un rapporto speciale con l’allora Presidente, tempo dopo ha spiegato il motivo per il quale festeggiava le vittorie dell’Inter con la maglia storica numero 3, poi ritirata dal club, proprio di Giacinto Facchetti: “Ho cominciato ad indossarla quando abbiamo vinto il primo scudetto, che lui aspettava da tanto, per dedicarglielo. Ho un magnifico rapporto con tutta la famiglia Facchetti, e poi nel momento di massima gioia, la finale di Madrid, il figlio di Facchetti me l’ha data per portarla in giro per tutto il Bernabeu“.
Un’eco nel vento, Facchetti e Scirea
Uomo d’altri tempi, Giacinto Facchetti manca a chi lo ha conosciuto di persona, ma anche a chi lo conosceva soltanto dai giornali, dalla televisione, a chi lo vedeva cavalcare con la sua falcata il rettangolo verde, a chi lo vedeva esultare per un gol, ed anche a chi vedeva in lui un vero gentiluomo. Era quel tipo di persona che se in fila ad uno sportello di banca vedeva una signora dietro di lui, con molto garbo le faceva saltare un turno offrendo il proprio posto. Un altro Signore che può essere paragonato a Giacinto è Gaetano Scirea, anche lui andato via troppo in fretta, un giorno prima del Cipe, il 3 settembre, ma di 17 anni prima, 1989, in un tragico incidente occorsogli in Polonia.
Non c’è modo migliore per ricordare questi due colossi nella vita e nello sport, se non con le parole di Andrea Mingardi, che ha scritto il testo della canzone “Gaetano e Giacinto”, cantata dagli Stadio, nella quale c’è l’essenza di due uomini che con poche parole e mai in maniera eccessiva, polemica ed aggressiva, cosa che sarebbe utile nella società in cui viviamo, hanno vissuto la loro storia facendo innamorare milioni di tifosi: “Gaetano e Giacinto sono due tipi che parlano niente, con un solo passaggio uniscono milioni di gente, ma in questo frastuono è rimasta un’idea, un’eco nel vento, Facchetti e Scirea”.