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Oggi giovedì 1 dicembre è la giornata mondiale dell’AIDS, una malattia che ancora oggi impaurisce e provoca stigma sociale nei confronti delle persone che ne sono affette. Essendo un virus che si trasmette tramite i rapporti sessuali, il parto se la madre è sieropositiva e lo scambio di sangue infetto, per anni sono stati demonizzati omosessuali, prostitute e tossicodipendenti che sono stati considerati i maggiori colpevoli della sua diffusione per lo stile di vita che conducevano. Il primo a rendere noto pubblicamente di essere malato di HIV, lo stadio iniziale dell’AIDS, è stato l’attore e sex symbol Rock Hudson il 2 ottobre 1985: la sua morte ha fatto capire al mondo che non erano solo omosessuali e tossicodipendenti a venirne colpiti, ma poteva essere chiunque. Un altro caso eclatante, forse il più conosciuto è quello che ha visto coinvolto il leader e frontman dei Queen, Freddie Mercury: il giorno prima di morire, il 24 novembre 1991 annunciò al mondo intero che aveva contratto l’AIDS.
Come si manifesta il virus, la differenza tra HIV e AIDS
Per comprendere bene il tema legato all’AIDS, alla sua diffusione e alla sua prevenzione, va fatto un distinguo ben preciso tra le due fasi della malattia. Nella fase iniziale il virus si presenta sotto forma di HIV, che attacca dei globuli bianchi specifici chiamati linfociti CD4, responsabili della risposta immunitaria del nostro organismo. Il sistema immunitario in questo modo viene indebolito ed è maggiormente esposto all’attacco di virus, batteri, funghi e tumori. L’HIV però non è mortale e si può continuare ad avere una vita normale, a patto che si assumano terapie retrovirali che sono le uniche in grado di contrastare la forma più grave e mortale.
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L’AIDS purtroppo è la forma più evoluta e più grave del virus dell’HIV. Questo stadio della malattia è mortale, perché il sistema immunitario dell’organismo è totalmente indebolito e incapace di difendersi da qualsiasi infezione, anche le più banali come ad esempio le influenze stagionali. Può presentarsi anche a distanza di molti anni dalla scoperta del virus dell’HIV nel proprio corpo, se non adeguatamente curato attraverso le terapie retrovirali che impediscono di arrivare a questa fase.

La battaglia di Lady Diana a favore dei sieropositivi
Per anni la disinformazione e l’ignoranza sui sintomi dell’AIDS e sulle modalità di trasmissione della malattia, hanno creato vere e proprie campagne di demonizzazione nei confronti di determinate categorie di persone quali ad esempio omosessuali, tossicodipendenti e prostitute. Per le persone colpite dal virus dell’HIV, è stato coniato il termine sieropositivo derivante dalle analisi che vengono effettuate per scoprire la presenza del virus all’interno del corpo umano.
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Questo neologismo per molti anni ha assunto una connotazione negativa, diventando un marchio di infamia per le persone afflitte dalla malattia che sono state spesso emarginate dalla società e si arrivato addirittura a credere di non poterle toccare per evitare di venire infettati. Un atteggiamento molto simile a quello che veniva attuato nei confronti delle persone malate di lebbra costrette ad esempio a muoversi con un campanellino addosso che suonando avvisasse del loro arrivo per permettere alle persone di scappare, e di peste nei secoli addietro. l’atteggiamento ostile e discriminatorio, ha assunto il termine vero e proprio di sierofobia che indica il pregiudizio sociale e istituzionale nei confronti delle persone affette da AIDS.
Nel 1987 il virus dell’AIDS mieteva vittime ogni giorno in Inghilterra, con 377 morti e 731 casi confermati per la malattia. Diana Spencer per tutti Lady Diana, è stata la prima persona al mondo ed esponente della famiglia reale inglese a combattere la paura pubblica della malattia. Si è fatta riprendere volutamente dalle telecamere e dai fotografi mentre senza guanti, stringeva le mani ai dottori e ai pazienti del reparto dedicato ai malati di AIDS al Middlesex Hospital di Londra nel giorno dell’inaugurazione.

Louganis e Ashe, i primi casi celebri nello sport
Il primo caso di uno sportivo affetto dal virus dell’HIV è da attribuire a Greg Louganis, nuotatore quattro volte oro olimpico e cinque volte campione mondiale, tra il 1976 e il 1988. Il presunto motivo del contagio sarebbe stata una ferita, riportata in seguito ad un colpo contro il trampolino nelle Olimpiadi di Seul del 1988. La presunta causa però è stata contestata, perché si è accertato da studi clinici che l’HIV si trasmette solo attraverso lo scambio di fluidi corporei e di sangue infetto quindi il semplice contatto tra sangue e pelle, non porta a contrarre la malattia. Gli è stata contestata anche la tempistica della dichiarazione con cui ha deciso di rendere pubblica la sua positività, avvenuta solo nel 1994 quando ne era a conoscenza da diversi anni.
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Ancora più noto forse è il caso del promotore del torneo ATP, il tennista Arthur Ashe che è stato una delle prime vittime dell’AIDS nel mondo dello sport. Ha contratto il virus nel 1988 in seguito ad una trasfusione effettuata per un trapianto di cuore, a cui si è sottoposto ed è morto il 6 febbraio 1993. il vincitore di tre Slam in carriera, dichiara di essere malato terminale di AIDS l’8 aprile 1992 e mette in piedi la Arthur Ashe Institute for Urban Health, fondazione benefica che si occupa di aiutare le persone che non riescono a pagarsi le spese mediche con la propria assicurazione sanitaria.

Il caso Johnson, l’HIV colpisce il basket
Il primo caso di infezione da HIV nel mondo del basket, arriva come un fulmine a ciel sereno e cambierà le regole di questo sport, inserendo una regola ad hoc che poi verrà estesa a tutti gli sport da contatto nel mondo. All’inizio della stagione agonistica dell’NBA 1991/1992 e precisamente il 7 novembre 1991 il giocatore dei Los Angeles Lakers Magic Johnson, scopre di essere affetto da HIV dopo un controllo di routine. I medici per evitare di sforzare ed indebolire troppo il suo fisico colpito dalla malattia, gli consigliano il ritiro dall’attività agonistica che lui annuncia a gennaio del 1992. Tuttavia i tifosi dei Lakers fanno pressione per rivederlo in campo e così Johnson, torna a mettere piede sul parquet in occasione dell’All Star Game di quell’anno.
Contro il parere dei medici continua la stagione, arrivando anche a disputare le Olimpiadi di Barcellona del 1992 con la nazionale statunitense e vincendo la medaglia d’oro. Magic Johnson ha proseguito senza problemi la sua carriera da giocatore di basket fino al ritiro nel 2000, ricoprendo poi anche il ruolo di allenatore e presidente dei Los Angeles Lakers. Convive da 30 anni col virus dell‘HIV come ha ricordato in un post su Twitter, dando dimostrazione dell’efficacia delle terapie retrovirali nel combattere la malattia e diventando un simbolo a favore della sua lotta.

L’AIDS nel calcio e nel rugby, i casi Giuliani e Thomas
Dopo il nuoto, il tennis e il basket, il virus dell‘HIV fa la sua comparsa anche nel calcio. A farne le spese è stato l’ex calciatore Giuliano Giuliani, ex compagno di Diego Maradona al Napoli. E’ morto di AIDS a 38 anni nel 1996 e rappresenta finora l’unico morto italiano nel mondo del calcio, per questa malattia. E’ tornato agli onori della cronaca dopo essere stato dimenticato, per le rivelazioni rilasciate a La Gazzetta dello Sport dall’ex moglie. Nel 2018 in una intervista ha messo in relazione il contagio da HIV trasformatosi poi in AIDS, con un tradimento ai suoi danni, avvenuto durante la festa di matrimonio dell’attaccante argentino nel 1989.
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Una storia a lieto fine riguarda un ex giocatore di rugby gallese. Si tratta di Gareth Thomas che dopo aver annunciato la sua omosessualità nel 2009 un anno prima del suo ritiro, nel 2019 dieci anni dopo dichiara di aver contratto l’HIV. Così come il cestista Magic Johnson, anche lui può dichiarare di essere ancora in vita e di convivere col virus grazie alla terapia retrovirale. Un altro esempio dell’efficacia di queste terapie se la malattia viene diagnosticata nella sua fase iniziale.