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Nove stagioni in Serie A, 213 apparizioni e ben 51 gol, ma oltre a questo c’è molto di più. C’è una carriera che l’ha visto vestire quasi quindici maglie diverse, lasciando qualcosa di speciale con ognuna di queste, come solo un vero Re può fare. Arturo Di Napoli, per gli esperti del settore Re Artù, è stato un attaccante dalle mille esperienze in carriera, quasi tutte indimenticabili. Due piazze in particolare gli hanno fatto battere il cuore. Salerno in primis, alla quale oggi è ancora molto legato, e per questo che gli abbiamo chiesto un parere sull’intricata storia societaria del club granata. L’altra, invece, è Messina con la quale, nonostante un arrivo contrassegnato da qualche scetticismo, è riuscito a siglare alcuni dei successi più importanti della sua carriera. A dimostrazione che veramente non è tutto chiaro sin dall’inizio. In mezzo a tutto ciò si inserisce il calcio di oggi, in particolare l’Italia di Roberto Mancini, impegnata nello stage che antecede gli spareggi per Qatar 2022. Insieme a Di Napoli abbiamo analizzato le scelte del CT azzurro, specialmente quelle legate al reparto offensivo.
Focus Azzurro
Dopo quattro giornate molto intense la Serie A si ferma, per lasciare spazio alla nazionale. Da attaccante ad attaccante, cosa ne pensi della scelta di riportare, almeno per quel che riguarda lo stage, Mario Balotelli in azzurro?
“Sono abbastanza combattuto, anche se mi piace l’idea di provare a recuperare un talento del nostro calcio. Da una parte spero che Mario possa dare qualcosa di importante alla causa e che abbia compreso a pieno gli errori che, col passare del tempo, lo hanno portato ad allontanarsi dal giro della nazionale. Balotelli ha un talento enorme e Mancini lo conosce meglio di chiunque altro. D’altra parte, devo dire che nessun giocatore negli ultimi anni ha avuto così tante possibilità, come le ha avute Balotelli, ecco perché credo che dovremmo avere anche il coraggio di dare più spazio a qualche giovane. Penso soprattutto a Scamacca ma anche ad altri che, pur non avendo mai avuto l’opportunità di vestire la maglia dell’Italia, hanno dimostrato di meritarla. Credo che questa sia la funzione principale dello stage, andare a scovare anche i talenti meno in vista“.
Restando sempre concentrati sul reparto offensivo, come giudichi, invece, la chiamata di Joao Pedro?
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“Per quel che riguarda Joao Pedro, credo che sia una chiamata sia dovuta, visto che lui ha fatto anche una scelta importante rinunciando a vestire la maglia del suo paese. Ha dimostrato sul campo di meritare la convocazione, sono molto contento, penso che potrà dare un ottimo contributo all’Italia. Speravo in questo riconoscimento nei suoi confronti perché, almeno per quel che si può carpire dall’esterno, ha dimostrato di essere un ragazzo molto serio che mette tanto impegno in quello che fa”.
Lo scetticismo nei confronti di alcune scelte fatte da Mancini potrebbe essere dettato dall’importanza, e dalla delicatezza, del momento che andremo ad affrontare?
“Assolutamente si, credo che la situazione in generale permetta pochi esperimenti. Abbiamo una partita importante che, nel caso non dovessimo approdare al Mondiale, potrebbe avere pesanti ripercussioni sul nostro calcio. Mancini non si discute, visto l’ottimo lavoro svolto, ma sa benissimo anche lui che l’Italia non può permettersi un altro passo falso di tale portata”.
Un derby dalle mille sfaccettature
Nell’ultimo turno di Serie A si sono affrontate due squadre nelle quali hai militato, ovvero Napoli e Salernitana. Al di là del risultato, che tipo di derby ti è sembrato?
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“Mi aspettavo che non ci fosse partita, anche perché stiamo parlando di due squadre dagli obiettivi e dal budget diametralmente opposti. La rosa del Napoli è tutt’altra cosa, con giocatori di un certo spessore. Tuttavia, credo che l’andamento del match sia stato fortemente influenzato dall’emergenza Covid-19. Questo in parte ha condizionato un derby che, nonostante l’evidente superiorità del Napoli, doveva giocarsi in modo diverso. Penso che il regolamento vada rivisto. Difficilmente la Salernitana sarebbe riuscita a compiere l’impresa, visto il valore dei suoi avversari, ma quantomeno avrebbe avuto la possibilità di giocarsela alla pari”.
Fin qui il Napoli si è regalato un 2022 quasi perfetto, con 10 punti in 4 partite. Secondo te, la squadra di Spalletti è ancora in corsa per lo Scudetto?
“L’ho visto molto bene, è una squadra che si trova totalmente in sintonia con il proprio allenatore. Spalletti ha i giocatori ideali per quelle che sono le sue idee di gioco, vedo grande armonia all’interno del gruppo. Credo che, anche alla luce di quello che si è visto tra Milan e Juventus, la lotta Scudetto sia alla loro portata. Il Napoli sta costruendo qualcosa di importante, non siamo ancora ai tempi del Napoli di Maradona, ma secondo me non siamo neanche così lontani. Stiamo parlando di una società forte, che non ha paura di fare grossi investimenti”.
Nel match contro la Salernitana abbiamo assistito anche al ritorno al gol di Lorenzo Insigne, il quale ha agganciato Maradona nella classifica dei migliori marcatori del Napoli. Come giudichi la sua prestazione?
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“Devo dire che il suo comportamento, dentro e fuori dal campo, mi ha commosso. Credo che l’offerta che gli sia stata fatta fosse irrinunciabile, nonostante sono convinto che lui avrebbe fatto volentieri uno sforzo economico per restare al Napoli. Probabilmente, dall’altra parte non c’è stata la stessa volontà, ma non mi sento neanche di condannare la società per questa scelta, visto il momento di grande crisi che il nostro paese sta attraversando. Il fatto che Insigne abbia accettato l’offerta del Toronto è stato un altro gesto d’amore nei confronti del Napoli e dei suoi tifosi, dato che diversi top club europei avrebbero fatto la fila per prenderlo a zero. Sfido chiunque a fare una scelta del genere, all’apice della propria carriera, dopo aver vinto un Europeo da protagonista”.
Cuore granata
Nonostante la pesante sconfitta nel derby, e la classifica alquanto insidiosa, credi che il cambio societario possa dare uno slancio in più in chiave salvezza?
“Innanzitutto, devo dire che sono molto felice, per tutto il popolo granata, che questa situazione si sia risolta nel miglior modo possibile. Hanno trovato un presidente che ha ridato entusiasmo, il quale era stato un po’ perso durante la gestione precedente. Lotito aveva dato grande stabilità economica, oltre ad aver riportato la squadra in Serie A dopo un cammino lunghissimo. Adesso però credo che la squadra abbia trovato un presidente che comprende a pieno l’importanza della piazza, e in questo senso anche le parole di Sabatini danno speranza. Penso che la Salernitana d’ora in poi farà un campionato diverso, a prescindere dalla salvezza”.
Già ai tuoi tempi c’erano state delle situazioni societarie poco limpide, non a caso tu rescindesti il contratto dopo due ottime stagioni. Cosa successe in quel frangente?
“Diciamo solo che quella società aveva i vizi da generale ma la paga da soldato. Grazie alla gestione Lotito si sono accorti, una volta per tutte, del magma che la società precedente aveva creato. Purtroppo, anche in quel caso a rimetterci furono i tifosi, che sono i principali protagonisti di questo sport, tanto quanto i calciatori. A Salerno si vive di calcio, per i tifosi andare allo stadio è importante quasi quanto fare la spesa. I tifosi della Salernitana meritano grande rispetto e, purtroppo, in quegli anni non fu così”.
In carriera hai vestito diverse maglie, alcune in piazze veramente importanti. Salerno è quella alla quale sei più legato?
“Assolutamente si, se non avessi giocato qui ti avrei risposto Messina, perché fu la prima squadra a trattenermi per più di un anno. La Salernitana ha segnato un momento veramente particolare della mia carriera ma soprattutto della mia vita. Mi ricordo ancora quando venni invitato alla festa promozione, l’abbraccio di Salerno mi diede una carica incredibile, che mi sono portato dentro da quel momento in poi. Andai via da Salerno portandomi dietro più di qualche polemica, ma non fu una mia responsabilità, bensì di Lombardi e della società”.
Quando si chiude una porta…
Nel 2003 sei stato molto vicino a diventare un giocatore del Besiktas, ma poi non se ne fece più nulla. Quale fu la causa principale?
“Eravamo molto vicini alla firma, avevamo anche un buon accordo del quale ero molto soddisfatto. Tuttavia, la situazione in generale mi metteva molta tristezza. Istanbul è una città bellissima, oltre al fatto che si trattava di un grande club con una società seria. Semplicemente, ho fatto fatica ad andar via dall’Italia“.
Dopo quel mancato accordo sei passato al Messina, dove in tre stagioni hai ottenuto dei grandi successi. Promozione in Serie A, settimo posto l’anno successivo e record personale di gol (13) nella massima serie italiana. Ti aspettavi tutto questo quando hai firmato?
“Era difficile prevederlo, anche perché il Messina non era la mia prima scelta. Inizialmente, dopo Istanbul, ho fatto fatica a trovare una nuova squadra, anche perché non volevo scendere di categoria. Mi sono allenato per diverso tempo da solo, insieme a un preparatore atletico che mi aveva messo a disposizione il Gualdo, e in particolare il presidente Barberini che ancora oggi ricordo con grande affetto. Prima del Messina arrivò la chiamata di Nedo Sonetti, il quale era appena diventato allenatore dell’Ancona, squadra che lottava per non retrocedere in Serie A. Stavo per firmare lì, nonostante una situazione societaria poco chiara, ma poi subentrò il Messina. Anche lì la situazione non era facile, il Messina era ultimo in B e a livello contrattuale non mi aveva fatto un’offerta allettante come quella dell’Ancona. Furono i miei agenti dell’epoca, D’Amico e Pasqualin, a convincermi della valenza del progetto tecnico del Messina. Alla fine avevo talmente voglia di giocare che a Messina firmai in bianco, l’unica condizione era quella del rinnovo in caso di promozione, e così fu. Quel gruppo ha scritto la storia del Messina“.
Nella stagione 2004/2005, in un Messina-Inter vinto col risultato di 2-1, segnasti il gol del pareggio. A quel gol seguì un’esultanza abbastanza particolare nei confronti della tua ex squadra, c’era un motivo ben preciso?
“Si tratta di una storia molto divertente, che spiegai subito dopo in conferenza stampa. Era un’esultanza rivolta a un grande amico, Nuccio, il mio dentista di fede nerazzurra. Lui tifava l’Inter in maniera viscerale, ma io fui l’unico che lo fece esultare per un gol subito dalla sua squadra del cuore. Quell’esultanza fu una cosa molto simpatica dedicata a lui, e non certo un gesto di stizza nei confronti dell’Inter”.
Ricordi in nerazzurro
Restando sul tema Inter, hai fatto tutta la trafila sino ad arrivare in prima squadra. Ti dispiace non aver avuto la possibilità di importi con la maglia che hai vestito sin da bambino?
“Ovviamente si, se avessi avuto la testa e l’esperienza di oggi è una delle cose che non rifarei. Il mio carattere è stato la mia forza ma, per certi versi, mi ha in parte condizionato la carriera. Ogni volta che andavo a rinnovare, per poi essere girato in prestito, Mazzola me ne diceva di tutti i colori. Quando l’Inter stava prendendo Ronaldo volevano trattenermi, ma io non avevo più voglia di fare panchina, bensì di giocare. Poi andai a Piacenza e giocai poco pure lì (ride n.d.r.).”
Restando su questo discorso, gran parte delle tue scelte potevano essere dettata dal fattore età? Spesso si tende a gettare dei ragazzi molto giovani in un ambiente alquanto complicato, senza che loro si rendano effettivamente conto di quello che stanno vivendo. Tu come hai vissuto il periodo che va dall’esordio nei professionisti in poi?
“Penso che ci sia un dislivello esagerato, dalla Primavera ai grandi, anche se adesso alcune cose sono un po’ cambiate. Io, ad esempio, una volta arrivato in prima squadra all’Inter davo una mano ai magazzinieri a portare le borse in spogliatoio, senza che Bergomi o altri senatori me lo chiedessero. Tutto questo è cambiato, sia a livello giovanile ma soprattutto dilettantistico, due settori che andrebbero curati con grande attenzione”.
Nel corso della tua lunghissima carriera c’è stato qualcuno in particolare, giocatore o allenatore, dal quale hai capito che potevi trarre qualche spunto prezioso?
“Ci tengo a darti un nome in particolare, nonostante di esempi ce ne siano stati veramente tanti, perché lo ritengo importante ancora oggi. Si tratta di Javier Zanetti. Credo che lui sia un capitano vero, oltre che una persona con dei valori indiscutibili. Stiamo parlando di un esempio da seguire, soprattutto per i nostri giovani“.
Calcio e passione
Ritornando alle tue esperienze all’estero, questa volta da allenatore, sei stato un anno a Malta. Com’è stata l’esperienza al Vittoriosa Stars FC e che idea ti sei fatto del loro calcio?
“Malta è stata un’esperienza molto gradevole, perché mi ha permesso di confrontarmi con una cultura calcistica alquanto diversa dalla nostra. Non posso dire se sia migliore o peggiore, sicuramente è una realtà completamente opposta che però mi ha permesso di crescere tanto”.
Come giudichi l’avventura con i dilettanti del Cologno?
“Intanto vorrei precisare che Cologno sarà sempre casa mia, soprattutto fino a quando ci sarà la famiglia Patera. Oggi ho fatto delle scelte diverse, ma quello a Cologno è stato un vero e proprio insegnamento di vita, sia a livello professionale che umano. Vedevo tanti ragazzi vogliosi che, stremati dal proprio lavoro, venivano al campo solo per sentire le mie urla. In quel periodo sono stati loro a insegnare qualcosa a me, non dimenticherò mai quei momenti”.
Per quanto riguarda il tuo futuro nel mondo del calcio, come te lo immagini?
“Voglio continuare a fare calcio, indipendente dalla categoria. Mi ritengo molto fortunato, perché ho la possibilità di vivere a pieno il settore dilettantistico, il quale, come già detto in precedenza, è una parte fondamentale di questo sport. Il mio sogno sarebbe quello di ritornare in Serie A anche da allenatore, e pazienza se ci vorrà più tempo del previsto. Continuo col mio solito modus operandi, che è quello di voler costruire delle basi solide. La cosa importante è che non venga mai a mancare la passione nei confronti del calcio. Sono in attesa di una chiamata che mi gratifichi a livello umano, come sta succedendo adesso con i giovani. Spero di insegnare loro non soltanto le basi del calcio, ma anche i comportamenti che un professionista deve mantenere, per poter diventare un campione affermato. La mia filosofia resta sempre la stessa di quando ero giocatore: lavorare e tenermi costantemente aggiornato”.