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Libri e Sport

Atlante Mourinho, frammenti di un discorso amoroso: andare oltre lo Special One

Alla scoperta del libro di Furio Zara: Atlante Mourinho frammenti di un discorso amoroso sull'allenatore più iconico del calcio, il ritratto della persona che più di tutti ha cambiato i codici del mondo del pallone misto alla biografia di un uomo che ha realizzato il suo scopo: diventare José Mourinho

Lorenzo Mariantoni
Lorenzo Mariantoni  - Autore 3 mesi fa
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47 Min di lettura
Atlante Mourinho
Atlante Mourinho
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Indice
Non avrai altro Io all’infuori di meQuando Mou diventò MouIl condottiero (quasi) infallibileFratelli nella lottaCattivissimo MouIl grande comunicatoreDaje RomaFurio Zara, il suo Atlante Mourinho: un uomo oltre la biografia

L’allenatore più iconico del calcio raccontato attraverso i suoi stessi occhi. Un discorso frammentato che racchiude in sé la grande essenza dell’allenatore per eccellenza: José Mourinho. Molti più di un semplice essere umano. Molto più di un banale tecnico. Un icona mitologica del mondo calcistico che ha fatto innamorare folle di tifosi fino a farli impazzire di gioia. Con Mourinho non esistono tonalità di grigio. Esiste solo il bianco e il nero. O sei con lui oppure contro di lui. Lo si ama, detesta e idolatra allo stesso tempo. Perché quando senti di avere dentro di te un destino che ti appartiene allora percepisci questa unicità.

Aspetto che solo lui è riuscito ad elevare fino a toccare Dio e dirgli cosa dovesse fare. L’epicità è la sua virtù, il rumore dei nemici la sua condanna. O tutto o niente. Ed ora per l’allenatore “Abituato all’eccellenza” si prospetta una nuova sfida: dopo un decennio dal Triplete nerazzurro è tornato in Italia all’ombra del Colosseo per far risorgere Roma. La sua Roma. Una sfida che ha accettato dopo qualche fallimento e la fama del bollito che a lui non si addice proprio. Perché si può invecchiare, ma lui non sarà mai un pirla. La storia meravigliosa dell’allenatore che ha cambiato la prospettiva del calcio. Tutto questo nel libro di Furio Zara intitolato Atlante Mourinho: frammenti di un discorso amoroso sull’allenatore più iconico del calcio.

José Mourinho, ex allenatore del Manchester United in rotta verso Roma?
José Mourinho, ex allenatore del Manchester United in rotta verso Roma?

Non avrai altro Io all’infuori di me

Il primo capitolo di Atlante Mourinho non può non aprirsi con una sentenza definitiva: “Non sono il migliore al mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me”. Una dichiarazione che fa capire molto della personalità strutturata in cui il suo unico obiettivo è e sarà sempre Dio. Quando nel 2004 José approda al Chelsea lo fa in maniera netta e senza alcun timore.

I Blues sono un club nobile in cui l’oligarca russo Roman Abramovich ha investito moltissimi soldi. Un esborso economico che non ha portato ad alcun successo. E per questo viene chiamato Mourinho. Il paragone con Dio è incalzante perché anche José come Nostro Signore è incredibilmente enigmatico. Rivela, ma allo stesso cela dentro di sé qualcosa che va oltre. È ovvio che confrontare Mourinho con Dio può sembrare un esperimento azzardato, però, se pensiamo a come si è sempre dipinto il paragone non gli darebbe troppo fastidio. Magari tra Dio e José potrebbe scoppiare una grande amicizia o un’enorme rivalità.

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La fede e Mourinho. Un argomento che va a braccetto anche per volere dello stesso Special One: “Dio deve pensare che sono un bravo ragazzo, altrimenti non mi avrebbe dato così tanto: ho una famiglia straordinaria, faccio il lavoro che ho sempre sognato, deve avere un’ottima opinione di me”. Una stima certamente ricambiata anche perché José cita spesso il suo rapporto con Dio.

Un sentimento nato quando la madre lo portò in pellegrinaggio dalla Madonna di Fatima. Un amore che riesce ad andare oltre il mero racconto religioso. Perché il lusitano si sente spesso graziato da Dio come quando al Chiambretti Show del 2009 Mourinho, parlando della sua laurea ad Honoris Causa, spiego: “Solo uno su 21 non voleva darmi la laurea ad Honoris Causa, ma è normale neanche Gesù piaceva a tutti”. Ciò che lo fa sentire speciale è questa sua diversità verso gli altri. Quest’ultimi visti come un manipolo di persone che fanno il suo stesso lavoro, ma che non sono minimamente avvicinabili a lui. Perché lui è unico.

Mourinho e Abramovich al Chelsea
Mourinho e Abramovich al Chelsea

Un mosca bianca in un mondo fatto di ingiustizie. Il fatto che lo lega indissolubilmente a Dio è il suo sentirsi uno e trino. Padre, Figlio e, perché no, Spirito Santo. Colui che si è vestito di super poteri misti a quel senso di divinità. La stessa investitura che nell’aprile del 2014 gli concede The Sun in prima pagina. L’antefatto è l’impresa nei quarti di Champions League con il suo Chelsea. In quell’occasione batté il PSG e il quotidiano inglese lo piazzò in prima pagina con maschera, mantello e un guanto nero. Un Batman in tutto e per tutto accompagnato dalla frase: “Forget the Special One. He’s now the INCREDIBLE ONE”.

Josè Mourinho al Porto
Josè Mourinho al Porto

Anche Batman–Mourinho, come ogni eroe che si rispetti, ha le sue caratteristiche. Il suo super potere risiede nella comunicazione, come ogni volta che si trova davanti ad una videocamera riesca ad attirare l’attenzione dello spettatore. Il suo modello comunicativo è volto alla continua ricerca del Male. Quell’oppressione che fa vivere le persone nel disagio. Nella sua enorme carriera più volte ha individuato il maligno nei campionati in cui ha giocato. Ai tempi dell’Inter era la Juventus, passando poi per il Barcellona e l’universo Guardiola in Spagna fino al Manchester United e Arsenal quando sedeva sulla panchina di Stamford Bridge.

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Questo suo essere contro il cattivo di turno lo fa elevare a stendardo delle proprie squadre. Lui è il muro su cui tutti dovranno sbattere e di conseguenza i suoi calciatori si sentono al sicuro. Lui concede al suo popolo un unico verbo e lo fa nella maniera più pura ed eloquente. Ogni volta che accade qualcosa i suoi giocatori devono sentirsi sereni. Dal Portogallo fino all’Italia, passando per Inghilterra e Spagna l’immagine è quella del comandante senza paura. Un uomo solo contro tutti e i suoi avversari lo odiano, ma allo stesso tempo ne ammirano le gesta rimanendo in estasi.

Massimo Moratti e Josè Mourinho
Massimo Moratti e Josè Mourinho

Il suo essere speciale risiede nella sua coerenza. Perché Mourinho in oltre due decenni di carriera è rimasto sempre simile all’immagine più vicina di sé stesso. Una coerenza che lascia sbalorditi perché, nonostante il gioco del calcio si evolva sempre di più, lui si sente il più bravo di tutti. Come disse nel 2015: “Sto diventando sempre più bravo nel mio lavoro. Riesco a leggere in modo chiaro le partite”. Manca veramente poco all’auto-standing ovation e il gioco è fatto.

Uno stratagemma che conosce solo lui di cui detta perennemente le regole. Ha una visione religiosa del proprio lavoro. Tutto nel suo mondo è perfettamente bilanciato e questo è tangibile ogni qualvolta comincia una nuova avventura. La sua promessa è fatta di dedizione, amore e passione per il proprio lavoro. Una dottrina chiara e semplice adottata al Chelsea, all’Inter ed ora alla Roma. Quando nell’estate 2021 si è presentato ha chiarito subito una cosa: “Non sono qui in vacanza, fra tre anni mi vedo festeggiare”. Poi compie un gesto dei suoi: si alza e delicatamente sposta la tenda che gli dava fastidio. D’altronde è e sarà sempre Show must go on.

Quando Mou diventò Mou

Come tutte le leggende viventi anche Mourinho ha all’interno della sua biografia un momento, un fotogramma che gli consegna la storia del calcio mondiale. Si tratta di una data incredibilmente iconica per lui: 9 marzo 2004. È incredibile a volte il destino, il 9 marzo Mourinhano coincide perfettamente con la nascita della società con cui lui farà la storia. Si perché il 9 marzo 1908 presso il ristorante l’Orologio nasce l’Internazionale Milano. L’epifania di Mourinho corrisponde ad un preciso istante che non segue le leggi della fisica.

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All’Old Trafford di Manchester si gioca il ritorno degli ottavi di finale di Champions League. Il Porto guidato da un quarantunenne Mourinho e il Manchester United del condottiero Ferguson. All’andata la partita finì con la vittoria per due reti a uno da parte degli uomini di José. È tutto pronto al Teatro dei Sogni per una partita che si preannuncia scoppiettante.

Mourinho e Ferguson
Mourinho e Ferguson

Il Manchester United passa in vantaggio grazie al gol di Scholes, ma poi all’ultimo minuto accade l’imponderabile: il portiere Howard ribatte malamente un calcio di punizione con la palle che ricade sul piede di Costinha che pareggia i conti siglando il gol qualificazione. In quel preciso istante Mourinho comincia a correre dai suoi per esultare. Il momento in cui Mou diventa Mourinho è tutto in quella corsa che l’ha reso celebre.

Quella è la corsa di un uomo che ha capito che il vento lo porterà davvero lontano. Il destino è nelle sue mani e le sue braccia corrono verso il destino. Un fato che lo vuole al centro del mondo calcistico. Grazie al gol di Costinha ha appena eliminato dalla competizione la squadra favorita. È il segno che l’universo del calcio sta per cambiare per sempre. Perché finalmente Mourinho ha preso per mano la penna ed ha iniziato a scrivere la sua storia.

Josè Mourinho con suo padre Felix
Josè Mourinho con suo padre Felix

Un racconto che parte da lontano, precisamente dal 26 gennaio 1963 in quel di Setúbal. Quel giorno nasce il figlio di Félix e di Maria Júlia Carrajola. Lui è un portiere lei una maestra elementare. Dopo una modestissima esperienza tra i pali, papà Felix diventa un allenatore di calcio e decide di assoldare suo figlio José, appena tredicenne, come scout. Un ruolo di spessore che gli permette da subito di studiare l’avversario e qualche volta anche dirigere i raccattapalle. Un’immagine divina quella del piccolo Mourinho che dice ai raccattapalle come restituire la sfera nel modo giusto.

In un certo senso potrebbe essere questa la sua primissima esperienza da allenatore, solo che lui ancora non lo sa. Nel suo scopo cosmico c’è il pallone, ma non quello giocato. Perché José è un difensore non troppo bravo. Infatti la sua carriera sportiva termina a soli 24 anni. Dal Rio Ave fino al Comercio Industria proverà a tirare calci ad un pallone, però l’effetto non è quello sperato. Poco male perché lui vuole che il calcio faccia parte della sua vita.

Josè Mourinho da calciatore
Josè Mourinho da calciatore

Studia a Lisbona e si diploma come insegnante di educazione fisica. Inizia presto ad allenare una squadra di bambini con disabilità mentali e motori. Un’esperienza che l’ha segnato come uomo e poi come allenatore. Perché la sfera che ruota sul prato verde è la sua vita. Nel frattempo, prende il patentino UEFA in Scozia. È il primo passo per iniziare la propria carriera.

Siamo nel 1988 e Mourinho ha 25 anni. In quel preciso istante diventa un uomo, entra nello staff dell’Estrella Amadora, ma soprattutto si unisce in matrimonio con la sua Tami. Nomignolo per Matilde Faria. I due si conoscono da adolescenti e si legano per l’eternità. La famiglia per José è il caposaldo su cui si deve poggiare ogni essere umano. Il loro matrimonio porta al mondo due vite: Matilde, nata nel 1996 e nel 2000 viene al mondo José Mario.

La prima ha una vita social attivissima e vanta amicizie di un certo spessore. L’altro, invece, è più riservato. Mou, nel 2013, si è tatuato i nomi dei suoi figli. L’amore per il nucleo familiare è immenso e “L’amore è fondamentale”. Tornando alle questioni di campo, l’altra famiglia del portoghese. Nel 1992 compie il definitivo salto di qualità.

Entra a far parte dello staff tecnico dello Sporting Lisbona, la squadra più popolare dell’intero Portogallo. Il primo ruolo è quello di traduttore, conosce bene l’inglese ed è alle dipendenze di Bobby Robson. Tecnico inglese tutto bastone e carota che ha una certa fama nel mondo del calcio.

Josè Mourinho con Sir Bobby Robson

Il legame tra Mou e Bobby scoppia immediatamente, tanto che quando il tecnico britannico si accasa al Porto pretende di avere come secondo proprio José. insieme vincono: due campionati di Portogallo, e una Coppa del Portogallo. I due sono praticamente complementari e nel 1996 Robson si reca sulla panchina del Barcellona. Mourinho lo segue in pompa magna in Spagna.

In quel Barcellona ci sono tanti campioni, da Ronaldo il Fenomeno, fino a Pep Guardiola. Mourinho dimostra da subito le sue doti da comunicatore e diventa confidente di tutti i calciatori. Gli viene affidato l’incarico di guidare il Barcellona B e quando Robson lascia i blaugrana, Mourinho torna da secondo al fianco di Louis van Gaal.

Nel 2000 Mou è pronto a camminare con le proprie gambe. Torna a casa e inizia a guidare il Benfica. La sua avventura durerà solo nove partite. I cambi societari saranno fatali per Mourinho che si vedrà costretto alle dimissioni.

Van Gaal e Mourinho
Van Gaal e Mourinho

Ma la sua stella sta nascendo e nell’aprile del 2001 si siede sulla panchina dell’União De Leiria. Una società di poco conto che Mourinho porta a competere con le super squadre del Portogallo in un solo anno. Ormai il genio è uscito dalla lampada e nel gennaio del 2002 si siede sulla panchina del Porto.

Una panchina non proprio semplicissima, perché i Dragões – i Draghi – sono scivolati in una sorta di depressione cronica. Non vincono un campionato dalla lontana stagione 1986/1987. Nella sua prima stagione cominciata dall’inizio Mou centra subito un Triplete: vince campionato e Coppa di Portogallo e si aggiudica anche la Coppa Uefa ai danni del Celtic.

Centra subito un’impresa storica che fa da anticamera alla vittoria in Champions League della stagione 2003/2004. La squadra è una corazzata lusitana in tutto e per tutto. Già da questi primi scampoli di carriera si capisce molto di Mourinho: in quella squadra ci sono solo due grandi giocatori Deco e Ricardo Carvalho. Gli altri si sono prodigati sotto il verbo professato da José. Il Grande Condottiero ha preso il definitivo controllo dei suoi calciatori.

Il suo Porto dopo aver battuto i Red Devils, batte in quarti il Lione e procede agevolmente nella semifinale. Mourinho si aggiudica la finale battendo il Deportivo La Coruña. L’ultimo atto si gioca contro il Monaco di Didier Descahmps. Una partita praticamente già scritta.

Il Porto archivia la pratica con tre gol e Mourinho rimane incredibilmente compassato nelle esultanze. Anni dopo spiegherà il motivo: “Non ho esultato molto perché non mi sembrava una finale di Champions League, ma una partita molto calma e controllata. Dopo il triplice fischio dell’arbitro Kim Nielsen non mi sentivo campione d’Europa: l’ho capito solo tempo dopo”.

Mourinho vince la Champions col Porto
Mourinho vince la Champions col Porto

Già da quella finale, però, le sorti di Mourinho e il Porto sono destinate a separarsi. Il portoghese è già promesso sposo del Chelsea. Perciò, la sua ultima apparizione con i Draghi è la finale di Champions League. Quando si arriva al momento della separazione, il Porto decide di puntare su un allenatore italiano: Gigi Delneri. Colui che ha ben figurato con il Chievo Verona. L’allenatore friulano non entra in sintonia con l’ambiente e dopo 38 giorni viene sollevato dall’incarico.

Questo per spiegare come il fantasma dello Special One sia sempre e comunque all’interno di tutte le squadre che allena. È un’altra sua caratteristica, come se volesse far capire a tutti che dopo di lui arriva il diluvio. Quando lui lascia il Chelsea, nella sua prima esperienza, esprime tutto il suo pensiero: “Mi rimpiangerete, quando perderete tutte le partite in casa”. Sembra la follia di un allenatore sempre sopra le righe, ma è realmente così?

Antonio Conte, allenatore dell'Inter @Image Sport
Antonio Conte, ex allenatore dell’Inter @Image Sport

Analizzando i numeri si evince che: dopo l’addio di Mourinho il Porto continua a stravincere in patria, ma in Europa conquista solo una Coppa Uefa nel 2011. Nel Chelsea del post-Mourinho la vittoria è tornata a Stamford Bridge dopo quattro anni con Carlo Ancelotti. Nell’Inter l’attesa è stata di oltre un decennio. La società nerazzurra del post-Triplete ha cambiato tanti allenatori, trovando in Antonio Conte l’uomo del rilancio.

Al Real Madrid, lasciato nel 2013, invece? Da quando il lusitano ha lasciato la Spagna i blancos hanno vinto due campionati e ben quattro Champions League. Infine, le sue ultime esperienze targate Manchester United e Tottenham sono troppo precoci per essere analizzate. Però un cosa la si può dire, senza paura di essere smentiti. La traccia lasciata da Mourinho è senza dubbio indelebile, però il diluvio vero e proprio non c’è mai stato.

Mourinho sulla rivista Rolling Stone
Mourinho sulla rivista Rolling Stone

Il condottiero (quasi) infallibile

Nel terzo capitolo del libro viene brevemente analizzata la figura di Mourinho come colui condannato alla vittoria eterna. Lo Special One è un allenatore che fa della vittoria la sua nona essenza. Per lui vincere equivale ad un’abitudine, anzi come ha tenuto a sottolineare: “Un vincente non è mai stanco di vincere e io non voglio perdere mai”.

La costruzione della mentalità vincente passa per ben 25 trofei. O meglio: “25 trofei e mezzo”, ricordando la finale di League Cup che, ai tempi del Tottenham, non gli hanno fatto disputare. Mourinho non conosce la tavolozza dei colori neanche quando si tratta dell’argomento che più gli sta a cuore: la vittoria. Lui stesso è totalmente inserito in un progetto che gli scenari possibili sono due: o stravince oppure straperde.

Non esiste il compromesso per un uomo che fa del successo il suo pane quotidiano. Colui capace di andare ovunque e vincere trofei su trofei. Facendo innamorare ogni volta la dirigenza che ha deciso di ingaggiarlo. Il paragone come il moderno Fonzie di Happy Days è perfetto. Perché anche Mou ha la capacità di catalizzare l’attenzione su di sé. Anche quando non riesce ad ammettere di aver fallito. Non è capace di mostrarsi vulnerabile.

José Mourinho, allenatore della Roma @Image Sport
José Mourinho, allenatore della Roma @Image Sport

Proprio come Arthur Herbert Fonzarelli non riesce a pronunciare la frase: “Ho sbagliato”. Quel momento viene sempre e comunque evitato facendo leva su elementi esterni. È dal 2017 che non alza un trofeo, la Coppa Uefa con il Manchester United. Sono passati più di quattro anni e la sua collezione di orologi necessita di un aggiornamento. Perché “Quando vinco cambio il vecchio orologio e non lo indosso più”. Come il Dio del Tempo Crono pretende di poter fermare l’istante del proprio successo muovendolo a suo piacimento.

La sua è arte del compiacimento sempre e comunque. Tutte le squadre da lui allenate si sono sciolte dietro le sue lusinghe e il suo modo di arrivare a costruire una mentalità vincente, ma fatta di perenni proclami di guerra. La sua arte della comunicazione va oltre l’idea della vittoria. Ha la capacità innata di saper mostrare l’orizzonte della vittoria ai suoi ragazzi.

Mourinho e Maicon all'Inter
Mourinho e Maicon all’Inter

Fratelli nella lotta

La sua grande dote da comunicatore fa si che lui riesca sempre ad instaurare un rapporto con tutti i giocatori che allena. Perché lui alla squadra si presenta così com’è senza filtro o velo nascosto. Non è un allenatore che gira intorno alle cose, ma le affronta senza peli sulla lingua. La carriera di Mourinho potrebbe essere raccontata attraverso un film di guerra.

Riesce ad instillare una psicologia della vittoria ai suoi calciatori grazie a poche e semplici regole: oltre quel confine c’è il nemico, voi fate quello che dico e sarete premiati. La sua genialità sta nel mostrarsi così com’è instaurando un rapporto con ogni singolo membro dello spogliatoio. Più volte ha dichiarato “Non è mai un giocatore a vincere i trofei, è sempre la squadra”.

Questo è simbolico e rappresenta al meglio il patto di fratellanza che firma, metaforicamente parlando, con i suoi ragazzi. Riesce a creare quel senso di famiglia all’interno degli spogliatoi alimentando il teorema belligerante.

Mourinho e Drogba al Chelsea
Mourinho e Drogba al Chelsea

Da questa parte del fronte ci siamo noi, dall’altra il nemico. Sembrerebbe l’intro di un film di guerra e ascoltando le dichiarazioni che ne fanno i suoi giocatori un po’ così lo è. Zlatan Ibrahimovic ha riferito che “Per Mourinho avrei ucciso”, Drogba ci sarebbe addirittura andato in guerra e Lukaku ha detto di essersi sentito: “Il suo sergente in campo”. Un monito che riecheggia sempre più forte. Un totem, un nemico da abbattere ad ogni costo, sempre e comunque.

Manchester United, Ibrahimovic e Mourinho
Manchester United, Ibrahimovic e Mourinho

Riesce a caricare di figure belliche qualsiasi cosa. Anche un mero taglio di capelli. Se con Guardiola si aspetta la rivelazione di un mondo migliore, Mourinho alleva soldati e forma orde di eserciti. Tutti sono desiderosi di buttarsi nel fuoco con lui.

Sono due i suol soldati più fedeli. Il primo è Ricardo Carvalho. Il difensore portoghese ha sempre fatto tutto ciò che lo Special One gli ha chiesto. Non si tratta di semplici parole, ma di vedere e proprie dimostrazioni di affetto. I due hanno condiviso lo spogliatoio al Porto, Chelsea e al Real Madrid. Carvalho dice di lui: “Mourinho è il miglior allenatore del mondo. Ma ha un unico problema non sa convivere con le sconfitte”.

Mourinho e Carvalho al Chelsea
Mourinho e Carvalho al Chelsea

Il secondo soldato è Marco Matrix Materazzi. L’uomo dell’ultimo abbraccio interista di Mourinho. Quello avvenuto nell’antistadio del Santiago Bernabeu dopo la vittoria in Champions League. L’immagine equivale ad una scena struggente di un film: Mourinho sale sulla macchina del Real Madrid e dopo pochi metri si ferma, scende e corre da Matrix ad abbracciarlo. I due piangono pensando all’attimo che è stato e all’incertezza del futuro.

Le sue doti sono molteplici, ma quella del padrone della psicologia dei propri calciatori è, probabilmente, la migliore. Riesce a toccare le corde del cuore di ogni singolo giocatore che allena. Si sente padre, allenatore e capisce che: “Bisogna entrare nella testa dei calciatori per adattarsi e farli rendere al meglio, fa parte del lavoro”. Lui sa come deve prendere i propri calciatori per farne delle macchine perfette.

L'abbraccio tra Materazzi e Mourinho
L’abbraccio tra Materazzi e Mourinho

Riesce ad inquadrarli e ne esalta vizi e virtù. L’esempio lampante è come gestisce l’enormità della figura di Ibrahimovic. I due hanno entrambi un ego spropositato e fanno dell’arroganza un vezzo. Si incontrano per una stagione all’Inter e poi due al Manchester United. Zlatan non parla del rapporto con lo Special One, ma del fatto che l’espressione del suo allenatore fosse sempre la stessa.

“Facevo cose incredibili e vedevo Mourinho sempre lì con la stessa faccia”. Un altro che per Mourinho ha gettato il cuore contro l’ostacolo è Samuel Eto’o. Il centravanti camerunense si è sacrificato fino a diventare terzino, per non parlare di Diego Milito diventato un attaccante formidabile nell’anno del Triplete dell’Inter. La bellezza di Mourinho è quella di continuare ad alzare l’asticella della difficoltà. Questo accade specialmente con i campioni che allena. Tutti vogliono dimostrare di essere alla sua altezza e fanno qualsiasi cosa pur di riuscirci.

Mourinho
Mourinho, ex allenatore dell’Inter

Per chiuderla è molto facile lavorare con lui, basta seguirlo. Un gioco da ragazzi che però a volte non ha funzionato. Il giocatore ideale per Mourinho è quella capace di morire su un campo da calcio. Uno come Essien e anche altri top player giovani da lui allenati. Al Real Madrid ha lanciato calciatori del calibro di Morata, Nacho e Casemiro. Anche se talvolta la sua ricerca del talento perfetto l’ha portato a qualche piccolo errore. Come Davide Santon che a 18 anni sembrava, per Mourinho, il nuovo Giacinto Facchetti.

La storia gli ha consegnato un’immagine sbiadita però la sua idea risiede nella teoria dei meloni: “I calciatori giovani sono un po’ come i meloni: solo dopo averlo aperto e assaggiato sei sicuro che il melone è buono. A volte hai dei meloni fantastici ma non sono molto buoni; altri meloni sono un po’ brutti ma quando li apri hanno un sapore fantastico”.

Santon e Mourinho all'Inter
Santon e Mourinho all’Inter

Il rapporto con il calciatore non può essere costruito in un solo giorno. E questo i ragazzi allenati da José lo sanno bene, alcuni meglio di altri. Il bisogno del campione è quello di arrivare all’altezza di José oppure sei fuori o peggio vieni scritto nella sua lista nera. Gli esempi perfetti sono Luke Shaw e Andry Shevchenko. Con entrambi Mourinho ha avuto rapporti conflittuali perché entrambi volevano essere dei principi in una squadra fatta di uomini.

Tutti dediti alla filosofia Mourinhiana: noi contro gli altri. È il suo modo di percepire il madridismo negli anni spagnoli. In quel periodo lo spogliatoio del Madrid è una vera e propria bomba ad orologeria. Tutti si trasforma in una questione enorme, da Iker Casillas che fraternizza con il nemico Barcellona, passando allo specchio prima delle partita fino all’umiliazione pubblica contro Mesut Ozil. Però, anche qui Mourinho sa sempre come farsi perdonare. Che sia con una chiamata oppure con un endorsment pubblico.

O come quando ai Red Devils mise fuori squadra Paul Pogba perché ritenuto un giocatore che non poteva rappresentare il capitano del Manchester United. Il suo trucco è quello di affrontare ogni singolo calciatore per vedere come la squadra reagisce. Se è insubordinazione allora si finisce sulla lista nera, ma a quel punto la battaglia non può più essere combattuta.

Ronaldo e Mourinho
Calciomercato Juventus, Cristiano Ronaldo porta Mourinho

A meritare un capitolo a parte è il rapporto conflittuale con Cristiano Ronaldo. I due sono entrambi portoghesi, ma questo non ha fatto comunque scoccare la scintilla. Si sentono eletti dal Signore e già questo presuppone un rapporto conflittuale. Non hanno veramente niente da spartire, perché con l’arrivo di Mourinho dall’Inter CR7 non si è mai messo a disposizione della squadra. Motivo per cui Mourinho gli ha sempre preferito calciatori più umili. Nonostante i numeri siano eccezionali, lui preferisce Ronaldo il Fenomeno, quello brasiliano.

Mourinho e Guardiola
Mourinho e Guardiola

Cattivissimo Mou

Non sarà mai un allenatore come tutti gli altri. Non sa essere comune a tutti noi esseri umani. Perché fa della guerra intellettuale la sua forza, e della battaglia sul campo la sua condanna. Perché per lui c’è sempre un male da combattere. Un totem da dover scardinare per poter arrivare al successo. Incarna perfettamente il cammino dell’eroe, costretto ad un vero e proprio viaggio per completare sé stesso.

Il bello di tutta questa vicenda risiede nel fatto che a lui piace risultare antipatico, perché fa parte della sua strategia comunicativa. Le grandi doti da narratore si sprecano quando individua il nemico da attaccare. Chi se non Pep Guardiola? Il nemico per antonomasia da sbeffeggiare e prendere sempre di mira. Alla base dello scontro c’è la loro visione differente del calcio.

La loro rivalità si è accesa nel biennio che Mourinho ha passato in casa del Real Madrid. Con le loro sfide hanno cambiato l’immaginario collettivo, riscrivendone i codici fondamentali. Il movimento del Pallone è cambiato da quando Guardiola ha diffuso il suo nuovo verbo: il Tiki-Taka. Non un semplice stile di gioco, ma un vero e proprio modello di vita.

Guardiola, Ibrahimovic e Mourinho
Guardiola, Ibrahimovic e Mourinho

Nei suoi anni al Barcellona l’allenatore ispanico ha messo più volte spalle al muro José. La sua si è rivelata nel tempo una dittatura tecnica. Con Mourinho il primo a farne le spese. La guerra dialettica si è consumata su ogni campo possibile immaginabile. Dalla rima di “Por qué” fino alla rissa da Far West scoppiata durante un Clasico più che mai acceso. Quello il punto più basso della rivalità e della carriera di Mourinho. Quel dito nell’occhio a Tito Vilanova.

Mourinho e Tito Vilanova
Mourinho e Tito Vilanova

La differenza abissale tra i due si vede soprattutto nel rapporto con i calciatori. Guardiola pone davanti a loro una missione, mentre Mourinho si sente il portatore di quell’obiettivo. Se nel Tiki–Taka si trova la felicità, nella guerra Mourinhiana si trova la vittoria. La differenza è enorme, ma entrambi hanno cambiato la storia di questo sport. Il cattivissimo Mou allo stato puro si vede anche nella diatriba con Claudio Ranieri. I due si incrociano in Serie A e lo Special One non perde occasione per provocare il suo avversario.

Il suo stile è noto: creare una provocazione contro il nemico per spingere i suoi a superare quell’ostacolo e andare avanti. È o non è il cammino dell’eroe? Un super potere che solo lui possiede per cui gli altri devono solo soccombere. Si tratta di una vera e propria recita perché Mourinho vuole semplicemente catalizzare l’attenzione sulla sua figura. Perché quando Ranieri, a leggenda compiuta, viene esonerato dal Leicester: José si presenta in conferenza stampa con le sue iniziali stampate sulla maglietta.

Jose Mourinho (Manchester United) e Antonio Conte (Inter)
Jose Mourinho (Manchester United) e Antonio Conte (Inter)

Un segno plateale di un rispetto che va oltre le regole del tempo e dello spazio, ma che ancora una volta gli permettono di essere l’attore protagonista. Di rivalità in Premier Legua ne vissute tante: da Wenger fino ad Antonio Conte. Con il primo, nonostante lo scontro fisico ci sia stato, non è mai mancato rispetto e professionalità. La lite è per lui il pane quotidiano. Il modo di schernire chi ha di fronte la sua arma segreta.

Con l’allenatore leccese gli animi sono tutt’ora accessi. La scintilla dello scandalo scoppia quando Conte esulta platealmente sul gol del quattro a zero in favore del Chelsea contro lo United. Mou non ci sta e richiede rispetto per l’avversario. Conte incassa, ma da quel momento è battaglia su tutti i fronti. Dalle scommesse fino alla perdita dei capelli.

L’ultima arrivata quando Mourinho, fresco allenatore della Roma, si è detto dispiaciuto di non poter affrontare Conte e l’Inter fresca Campione d’Italia. Mou ha risposto con un secco: “Ci sono allenatori nelle storie del club che non devi paragonare mai. Qui a Roma si parla di Liedholm o di Fabio Capello e non devono essere paragonati con nessuno. Se parli dell’Inter non devi paragonare nessuno a me o a Herrera“.

Mourinho ed Eva Carneiro
Mourinho ed Eva Carneiro

Lo scandalo che ha fatto più rumore è quando ha litigato con un membro del suo staff: Eva Carneiro. il medico del club è reo di essere entrata in campo “facendo perdere minuti preziosi” in una partita di campionato contro lo Swansea. I Blues sono in inferiorità numerica e Mourinho va su tutte le furie. La lite sfocia nella sua decisione di allontanare Eva dallo staff sanitario.

Il tutto scoppia in polemica quando la britannica decide di citare in Tribunale Mou. Esplode il finimondo in Inghilterra con José che viene additato con il soprannome di sessista. Il caso si risolve con il Chelsea, o Mourinho, che combinano un accordo extra-giudiziale con la Carneiro. E i Blues con un comunicato assolvono l’operato di Eva. Un altro tassello da aggiungere all’enorme puzzle della personalità di Mourinho.

Josè Mourinho all'Inter
Josè Mourinho all’Inter

Il grande comunicatore

L’uomo che sta nel personaggio è capace di qualunque cosa. Come nell’estate del 2008, il momento dello sbarco nel pianeta Inter è iconico. Si presenta ai giornalisti italiani con un completo elegante con cravatta nera slanciata. Risponde a tutte le domande in italiano e quando gli chiedono di Frank Lampard, suo giocatore al Chelsea, lui chiede il perché. E il cronista si lascia andare ad un: “È un modo furbo di rifare la stessa domanda del mio collega”. Poco prima José ha esplicitamente chiesto di non fare domande sui calciatori del Chelsea.

Quando ascolta la risposta lo Special One sorride, fa una smorfia con la bocca, si guarda davanti e continua con un “Si, si, si” poi una lunga pausa e l’esplosione “Ma io non sono pirla”. Gioco partita e incontro. In sala stampa scattano applausi e risate a più non posso. Non è una dichiarazione a caso, ha studiato italiano per cinque ore al giorno tutti i giorni. Perché al suo arrivo tutto fosse pronto per entrare in empatia con l’ambiente.

Conosce tutto del nostro idioma e grazie a questo i tifosi dell’Inter lo adorano. Che lui sia un fenomeno mediatico è presto detto, ma che sappia conquistare tutto ogni giorno è veramente incredibile. Si sente miracolato di grazia divina ed usa il suo verbo per professare il suo destino che include anche la sua squadra.

Un modo manicheo di manipolare l’opinione pubblica a sua immagine e somiglianza. Riesce ad essere sempre e comunque un passo avanti agli altri. In fin dei conti è l’unico allenatore che si affibbiato il soprannome da solo. Nel 2004, quando sbarcò al Chelsea, disse: “Sono campione d’Europa e penso di essere speciale”. Poche semplici parole per dar vita alla sua identità. Lui è lo Special One e nessuno sa farlo meglio.

La sua è una sorta di seduzione filosofica perché unisce la dote di grande paroliere a quella del sapere piacere a tutti. Il suo slogan di guerra nel biennio nerazzurro è quel Zeru Tituli che molte volte torna di moda. Un grido di battaglia al cui risposta è sempre “Il rumore dei nemici”. Perché lui dev’essere sempre e comunque al centro dell’attenzione.

José Mourinho
José Mourinho

Come il 20 febbraio 2010. Una data storica per l’istrione Mou. Il giorno in cui durante una partita di campionato tra la sua Inter e la Sampdoria si assiste al One Man Mou. I nerazzurri si vedono in doppia inferiorità numerica: Tagliavento ha estratto due volte il rosso. A quel punto José incrocia i polsi e compie il famoso gesto delle manette.

Un assalto al vagone in piena regola, San Siro regala la famosa pañolada e tutti sono con lui. È sempre il primo a difendere il suo roccaforte, la sua squadra e di conseguenza i suoi ragazzi. La sua tattica è chiara in più e più punti: la voglia di smontare e sminuire l’avversario. Accade con Lo Monaco, ma poi Mou mostra il suo lato buono. Dal fax al Como fino alla commozione in occasione del decesso della sua Yorkshire Terrier, Leya. Un uomo, un essere umano oltre la leggenda.

José Mourinho, nuovo allenatore della Roma
José Mourinho, nuovo allenatore della Roma

Daje Roma

Dal “Non sono pirla” a “Daje Roma” è veramente un attimo. Un istante fatto di un post Instagram. Perché il 4 maggio 2021 alle ore 15:09 sull’account Twitter della Roma appare un cinguettio: “José Mourinho è l’allenatore della Roma”. Un attimo dilatato nel tempo, un percorso che devia all’ombra del Colosseo.

Mourinho nei giorni seguenti inizia a lanciare il suo nuovo grido di battaglia. Quel Daje Roma che osteggia in ogni suo post nell’immensità dei social. In quel preciso istante Roma si accende e dal murales di Testaccio fino alla birra Special One. Tutti pendono dalle sue labbra e il nuovo Mou abbraccia, come sempre, la sua nuova casa. L’allenatore portoghese ha 58 anni ed ha inevitabilmente il viso segnato dalle tante battaglie.

Il Mago Helenio Herrera
Il Mago Helenio Herrera

A Roma non si vince da due decenni, ma lui ha deciso di puntare ancora una volta sul suo enorme talento. Quello che l’ha portato a tessere le fila del suo destino. Il calcio, per come lo conosce lui, è inevitabilmente cambiato. A Londra ha mostrato il peggio di sé, i nuovi allenatori praticano un’idea di calcio differente. Il lusitano sembra avviarsi con i suoi successi verso il viale del tramonto.

L’uomo però si fa forza dei corsi e ricorsi storici. Un altro grande allenatore a cui José si ispira è Helenio El Mago Herrera. Sono molte le coincidenze che legano i due: dalle stagioni fiorenti all’Inter fino allo sbarco nella Capitale a 58 anni suonati. Herrera fu il primo vero allenatore con un grande ingaggio e Mou deve il suo successo anche alla teatralità a cui ci ha abituato l’allenatore argentino.

José Mourinho, allenatore della Roma
José Mourinho, allenatore della Roma

I due si somigliano in tutto e per tutto dal gioco fino alla capacità di instaurare una famiglia all’interno dello spogliatoio. Se Mourinho percepisce 7 milioni più bonus a stagione dalle tasche dei Friedkin lo deve al Mago. L’arte della comunicazione come tratto distintivo, anche se Mou non si è mai proclamato Mago: a lui basta essere Speciale.

Da quando è sbarcato nella Capitale tutti sono impazziti, perché l’effetto che fa Mou è proprio questo. Un allenatore che sa come toccare le corde giuste inserito all’interno di un progetto nuovo ed ambizioso. L’uomo nell’ombra Dan Friedkin ha pilotato l’areo da Lisbona a Roma, Mourinho ha tracciato le basi del suo successo. Un uomo che non sarà mai normale e che anche in questa nuova avventura sarà capace di spostare gli equilibri di un club che fa dell’instabilità un suo grande difetto.

José Mourinho, allenatore della Roma @Image Sport
José Mourinho, allenatore della Roma @Image Sport

A Roma è in atto un nuova rivoluzione e come ha esplicitamente detto Mourinho al suo arrivo: “Niente viene dal niente, e niente ritorna al niente”. Parole dette da Marco Aurelio il nuovo modello di José romano e romanista. Un allenatore che ha fatto della sua missione la voglia di diventare José Mourinho e dal 2004 ad oggi c’è decisamente riuscito.

L'opera di Mourinho sulla Vespa
L’opera di Mourinho sulla Vespa

Furio Zara, il suo Atlante Mourinho: un uomo oltre la biografia

Furio Zara, nato a Venezia nel 1970, è un giornalista che ha scritto per i maggiori quotidiani sportivi e non. La carta stampata è il suo mondo. Riesce sempre a cogliere l’essenza dei campioni che intervista o di cui scrive. Nel libro dedicato alla carriera e alla biografia di José Mourinho c’è praticamente tutto. Dal racconto meraviglioso fino ai dettagli che compongono la leggenda Mourinho. Ecco perché le 190 pagine da cui è composto il suo manoscritto rappresentano il ritratto evergreen dello Special One. Un libro da mandare giù tutto d’un fiato. Con la voglia di un sequel che rappresenti ancora le gesta dell’allenatore che ha cambiato il mondo del calcio. 

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