Lo sport del calcio è uno sport intenso, che per molti va oltre il semplice intrattenimento. I tifosi, spesso compiono le azioni più malvedute, dentro e fuori gli spalti. E, come spesso accade quando si vive uno spazio che esalta l’istintività e la mancanza di filtri verso espressioni ed emozioni come quello dello stadio, tristemente, non è inusuale che spicchino le manifestazioni di odio. Un odio che è quasi viscerale e motore di moltissimi atti di violenza, di cui gran parte a sfondo razziale.
La storia del calcio è dunque legata a doppio filo con episodi di discriminazione razziale. Sono soprattutto i tifosi i protagonisti e quasi sempre anche dei peggior eventi, ma purtroppo è un comportamento abbastanza generalizzato. Uno dei più recenti episodi è accaduto il 19 marzo, in Serie A, in occasione del derby tra Roma e Lazio. La partita, vinta dai biancocelesti, è stata oggetto di tensioni dentro e, soprattutto, fuori dal campo di gioco.

Sono i tifosi laziali, infatti, a fare, tristemente, notizia e a riaccendere una problematica mai sopita. Dalla Curva Nord dello stadio Olimpico, i tifosi biancocelesti cosiddetti “irriducibili” in particolare hanno levato cori razzisti. Uno di loro indossava una maglia dal nome inequivocabile: “Hitlerson”. La società calcistica non può che prendere le distanze dall’accaduto.
La stessa poi, come riportato dall’ANSA, ha annunciato la volontà di “costituirsi come parte civile per il risarcimento dei danni provocati”. Intanto il giudice sportivo della Lega Calcio Serie A, Gerardo Mastandrea, che ha “chiesto ulteriori indagini”, deciderà sul caso entro il 4 aprile prossimo. L’accaduto riscuote l’attenzione anche di altre personalità istituzionali.

Abodi: cultura a fianco del controllo
Il ministro per lo sport e per i giovani, Andrea Abodi, stando all’ANSA, ha commentato l’episodio soffermandosi sulla necessità del controllo individuale e l’aiuto fondamentale che può apportare la tecnologia aggiunge: “Non credo invece nella militarizzazione degli stadi”. Poi ha concluso: ” Non dobbiamo trovare alibi, bisogna intervenire a livello culturale partendo dalle scuole e ci deve essere collaborazione tra istituzioni”.
Le iniziative volte alle sensibilizzazione verso il tema partono già all’interno delle istituzioni calcistiche. Partendo dalla Serie A fino a quelle del calcio femminile e dilettantistiche, la stessa F.I.G.C. ha proposto un evento volto all’abbattimento degli stereotipi razziali che si terrà nelle giornate del 9 e 10 aprile.

Evento che già dal nome, “#UnitiDagliStessiColori”, manda un messaggio preciso. Questo proprio a sottolineare quanto il semplice controllo, per quanto capillare ed individuale possa essere, non sia sufficiente a contrastare certi eventi ma che vada affiancato a proposte culturali. Queste iniziative sono, infatti, tanto importanti quanto necessarie; specie a fronte di una Storia che purtroppo è ricca di questi eventi.
Calcio e razzismo in Italia nella storia recente
Lungo la secolare storia del calcio, i comportamenti violenti e razzisti sono pressoché innumerevoli, purtroppo. E, anche negli anni recenti, gli episodi di questo tipo si ripresentano in maniera cronica, indipendentemente dall’importanza della categoria in cui si gioca. Infatti, proprio in questo 2023, in una partita di Serie D ben quattro giocatori dello United Riccione hanno ricevuto insulti e cori razzisti. L’episodio è aggravato dal mancato intervento dell’arbitro.
A Treviso, invece, è un arbitro di seconda categoria a ricevere insulti, dopo aver assegnato un rigore che ha segnato il pareggio tra le squadre in gioco. L’arbitro in questione, Mamady Cissè, ha immediatamente sospeso la gara e poi abbandonato il campo. L’evento, come nelle precedenti occasioni, ha riscosso anche l’attenzione del presidente della F.I.G.C. Gabriele Gravina.

La condanna da parte del presidente è più che evidente nelle aspre, ma doverose, parole in merito alle aggressioni riportate dall’USIP (Unione Italiana Sport Per tutti). Il massimo esponente delle istituzioni calcistiche italiane infatti le ritiene figlie “di una cultura becera che deve essere espulsa dal nostro sistema”.
Gravina: il daspo non è più sufficiente
Il presidente della F.I.G.C., come riportato in un articolo a cura di Mara Cinquepalmi per la Treccani, dopo questi eventi recenti esprime dichiarazioni ancora più forti. Le affermazioni di Gravina risultano in una richiesta di una collaborazione maggiore da parte delle istituzioni giuridiche.
“Servono sanzioni più pesanti, non solo da parte nostra ma anche dai giudici. Chi viene fermato dalla polizia per atti di violenza non può cavarsela con un fermo di un’ora o di un giorno e poi con un daspo. Per noi il daspo non è più sufficiente, servono sanzioni più forti e che puniscano veramente questi delinquenti”.

Queste parole lasciano poco spazio d’interpretazione alla proposta del presidente. Proposta che arriva a ridosso dell’ ottavo report da parte dell’ A.I.C. dal titolo emblematico: “Calciatori sotto tiro”.
Calcio e violenza: il report Calciatori sotto tiro
L’Associazione Italiana Calciatori nella stagione sportiva del 2013-14 ha istituito un osservatorio che va a documentare tutti gli atti di violenza; intimidazione e minaccia che colpiscano qualsiasi giocatore di qualsiasi categoria. “Calciatori sotto tiro” dunque opera come vero e proprio report di denuncia e purtroppo vede spesso aumentare le statistiche, soprattutto nei casi di attacchi al giocatore singolo, ma anche alla squadra o anche il loro mezzo.
Infatti come evidenzia il documento del quinquennio 2013-2018 nel 2014, tra le altre cose, l’autobus dei giocatori dell’Avezzano viene preso d’assalto dagli ultras della Vastese, squadra d’eccellenza abruzzese. Episodi dal retrogusto quasi fondamentalista, come questo, sono frequenti sì, ma non quanto gli attacchi individuali. Uno dei casi più inquietanti riportati risale al 2017 all’interno della Serie A.

Gli “irriducibili”, che poi hanno rivendicato il gesto hanno appeso tre manichini col cappio al collo. I manichini indossavano le maglie di tre calciatori romanisti. Ad accompagnare il tutto anche uno striscione “Un consiglio senza offesa, dormite con la luce accesa”. Come se non bastasse poi, la Lazio ha minimizzato il tutto. La Roma, invece, non ha voluto sporgere denuncia.
Calciatori sotto tiro: il focus sul razzismo
In questo panorama, già di per sé molto denso, L’A.I.C. nella stagione 2018-2019 pubblica il suo primo report interamente dedicato agli episodi di razzismo. L”allora Presidente dell’associazione, Damiano Tommasi. L’ ex giocatore della Roma nel suo prologo afferma:
“L’impegno dell’A.I.C. in questo ambito continua nella ricerca spasmodica di una chiave, di un grimaldello he sia repressivo o formativo, regolamentare o mediatico ma che possa davvero far girare pagina ad un paese ed ad uno sport che meritano altro tipo di visibilità”.

Il report del 2019 poi si sofferma sull’aumento degli episodi di razzismo, di cui speso gli autori sono i tifosi. Numeri alla mano la situazione è, come sempre, allarmante in tutta la nazione. Soprattutto nel Nord Italia, dove si registrano il maggior numero di casi. Nello specifico il 42% degli eventi avviene sugli spalti o nelle zone di passaggio degli impianti sportivi. il 57%,invece, direttamente sul campo da gioco.
Anche il Centro Italia con il suo 37% di casi negli stadi, uno su tre, presenta numeri per niente incoraggianti. Il Sud Italia, invece, è quello che presenta la minor percentuale di casi riportati, con il 21% in entrambe le categorie, stadi e campo. Insomma, dati per nulla incoraggianti e che non accennano minimamente a diminuire con l’ultima edizione del report, riferito alla stagione 2021-2022.
L’ottavo report e l’aumento dei casi
“Dopo un lungo periodo in cui la pandemia ha tenuto lontano il pubblico dagli spalti, nel campionato 2021/2022 gli stadi sono stati gradualmente riaperti…Il ritorno negli stadi purtroppo ha riportato cori razzisti e messaggi xenofobi, insulti verbali e minacce fisiche, in particolare verso i calciatori al vertice. Con una concentrazione verso gli atleti stranieri.”

L’ultimo report di “Calciatori sotto tiro” esordisce con queste parole, prima di entrare nel dettaglio dei numeri, che già introducono una situazione ben lungi dall’essere minimamente soddisfacente e sono un buono specchio dei dati presentati. In effetti dei 121 episodi registrati, il 42% sono a sfondo razziale.
Se poi, come anche il documento tiene a sottolineare, teniamo presente che purtroppo “non tutto ciò che accade viene denunciato” possiamo dedurne le difficoltà che anche dei campioni possono affrontare. Difficoltà che non si risolvono grazie al proprio status. Essere al top del top dello sport nazionale non rende indenni da tutta una serie di violenze, tutt’altro. La maggioranza degli accaduti, ben il 67% infatti è proprio tra i calciatori della Serie A.

Questo dato potrebbe essere ritenuto ovvio e scontato, certo, ma se messo a confronto con le parole del documento assume un sapore completamente diverso. Tra le motivazioni della mancata denuncia spicca una frase: “O semplicemente perché si considera che la violenza faccia parte del <<gioco>> di essere calciatori.
Una frase tanto amara quanto rassegnata, indice di quanto all’interno di questo settore sia dato per scontato o addirittura considerato “normale”. Ciò che, purtroppo, è ovvio però è che questo comportamento violento ecceda i confini nazionali e sia tanto riscontrabile quanto problematico in altre nazioni.
Calcio e razzismo: Il Brasile e la svolta storica
Il Brasile, nazione molto legata e molto importante per lo sport del calcio, è un esempio perfetto della dimensione globale del problema. Dal 2014 al 2022 eccetto per la parentesi pandemica, gli episodi di razzismo sono costantemente aumentati. Da queste premesse arriva la decisione di penalizzare direttamente le squadre coinvolte in episodi di razzismo. Con questo il Brasile ottiene un primato nella lotta al razzismo nel calcio, tornando a fare la storia di questo sport.

Il presidente della C.B.F. Ednaldo Rodrigues, come riportato da Rolling Stone Italia, ha dichiarato in merito: “Abbiamo deciso di togliere punti ai club per dare una svolta alle sanzioni. Il resoconto della partita sarà trasmesso al pubblico ministero e alla polizia civile, così i trasgressori saranno anche puniti dalla legge”.
Queste dichiarazioni, seppure espresse in un contesto diverso, si accostano molto bene con la richiesta di Gravina per una maggiore collaborazione con le autorità giudiziarie. Il controllo e la capacità coercitiva della legge, però, non sono sufficienti a contrastare e prevenire questo tipo di eventi.
La società civile tutta deve collaborare affinché si operi a livello culturale. Un processo sicuramente lento, ma che negli ultimi anni ha visto una grande rapidità di crescita della coscienza civile. Vale lo stesso anche per la sensibilità verso il tema delle diversità e fragilità. E, fortunatamente, per ogni episodio di discriminazione c’è un “#UnitiDagliStessiColori” a manifestare il supporto della società verso le vittime di violenza.

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