Quando si parla di umanità, lo sport è uno dei docenti più sottovalutati in assoluto. Dietro la metaforica cattedra, in questo caso, siede un personaggio che l’appellativo “Maestro” non lo ha guadagnato per caso, bensì in seguito ad un esempio di gestione emotiva e ambientale mai vista prima: Tommaso Maestrelli. Consultando i sacri testi calcistici, non vi è alcuna traccia di leggi universali riguardanti la coesione di uno spogliatoio. Ce la si augura, ovviamente, ma il football non è alchimia, anzi, è la rappresentazione più fedele della società in cui viviamo: esistono fazioni, ideologie diverse, individualità trascinanti e contesti all’interno dei quali convivere, pena l’implosione della convivenza stessa. La Lazio della stagione 1973/74 è esattamente tutto questo: Chinaglia, Wilson, Pulici, Oddi e Facco da una parte, Martini, Re Cecconi, Frustalupi, Garlaschelli e Nanni dall’altra, quasi ad emulare il più classico degli spaghetti-western di Sergio Leone.
Eppure, Maestrelli sa bene che per quei fatidici 90 minuti le anime dei suoi ragazzi possono chiedere una tregua, lasciando spazio al cuore ed al talento calcistico in loro possesso. Ciò che non diede tregua all’allenatore laziale, purtroppo, fu il suo fegato, irrimediabilmente colpito da un tumore e che ne causerà la scomparsa il 2 dicembre del 1976. Ma la Storia, quella con la S maiuscola, non può e non deve essere dimenticata, anzi, un dovere morale accompagna tutti noi, soprattutto quando si parla di figure come quella di Maestrelli: oltre il tempo, oltre le novità e l’inesorabile vento di cambiamento che travolge il mondo calcistico e non. Il 2 dicembre 1976 sarà sempre ricordato come la data nella quale il Firmamento decise di aggiungere una stella, senza dubbio tra le più belle mai esistite e degna di essere raccontata nell’eternità. In onore di tale avvenimento, ripercorriamo la folle cavalcata della Lazio tricolore di Maestrelli nella stagione 1973/74.
Maestrelli e l’approdo alla Lazio in Serie B
Un passo indietro è necessario per comprendere il ruolo cruciale che Maestrelli ha avuto nella Lazio dello Scudetto. Come ogni dinastia calcistica che si rispetti, i successi delle Aquile sono figli di uno dei periodi più duri della squadra capitolina. Il 23 maggio 1971, infatti, Sandro Mazzola abbraccia il fratello Ferruccio, disperato ed in lacrime. Quest’ultimo viene sovrastato dai festeggiamenti della Milano nerazzurra, appena laureatasi Campione d’Italia, ma né lui e tantomeno i compagni possono trattenersi dal somatizzare la sentenza di fine campionato: la Lazio è ufficialmente in Serie B. Vittoria Sbardella, allora DS dei biancocelesti, non ha dubbi: via Juan Carlos Lorenzo, dentro proprio Tommaso Maestrelli.
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Lucchese, Bari, Reggina, Foggia: piazze sicuramente calde, ma ben lontane dalle ambizioni della società capitolina. Maestrelli nuota in mezzo all’infinito oceano di scetticismo che lo circonda, affondando ogni dubbio con una frase ferrea ed emblematica: “Senza Giorgio Chinaglia non posso garantire nulla”. È fatta, la base dalla quale ripartire c’è, adesso tocca al Maestro riportare la Lazio ai piani alti del calcio italiano. Oltre a Chinaglia, rimangono colonne portanti per ogni reparto del campo, su tutte Pino Wilson, storico capitano. Grazie alla qualità mantenuta, la Serie B viene superata al primo tentativo, collezionando il secondo posto e riaffacciandosi subito in Serie A. Ed è qui che comincia l’ascesa biancoceleste verso la gloria più assoluta.
Maestrelli e la Lazio dello Scudetto: eleganza, genialità e sregolatezza
Stagione 1973/74, scende in campo la Società Sportiva Lazio. Davanti a Felice Pulici, tra i numeri 1 più forti del campionato italiano, troviamo il reparto difensivo: Petrelli (o Facco) e Martini come terzini, ruolo da stopper affidato ad Oddi e quello da libero a Il Padrino Pino Wilson. Centrocampo: semmai doveste trovarvi nel bel mezzo di una gara di resistenza, auguratevi che Re Cecconi e Nanni non siano i vostri avversari, soprattutto quando la regia del gioco viene pilotata da Frustalupi. Conclude la corazzata laziale l’attacco: quando Vola un’aquila nel cielo, le due ali non possono che essere Garlaschelli e Manservisi, entrambe al servizio di Giorgio Long John Chinaglia. In panchina, inamovibile e in totale controllo di questa folle orchestra calcistica, il Maestro per eccellenza, tale Tommaso Maestrelli.
La sinfonia più dolce, però, arriva il 12 maggio 1974. La voce è quella di Enrico Ameri, il quale si alterna con Sandro Ciotti nel raccontare le emozioni domenicali di Lazio e Juventus a Tutto il calcio minuto per minuto. Ai biancocelesti basta la vittoria col Foggia per laurearsi campioni d’Italia per la prima volta nella loro storia, con i bianconeri che devono augurarsi un passo falso della banda Maestrelli. Ma opporsi al destino è inutile, motivo per cui al 60’ la storia laziale si compie, grazie ad un rigore di Chinaglia. Ameri descrive la scena in maniera didascalica: “Chinaglia entra in questo momento in area, ma fa cenno all’arbitro di voler modificare ancora la posizione del pallone: forse c’era un po’ di terra e avrebbe potuto influire sulla direzione della palla. Dopo aver deposto nuovamente il pallone sul dischetto, Chinaglia se ne allontana: prende ora la rincorsa, ecco che si muove in questo istante… entra in area… colpisce la palla, rete! Sulla destra, l’urlo dell’Olimpico ha accompagnato l’azione di Chinaglia”. Al triplice fischio, l’entusiasmo non è contenibile: la rete di Chinaglia fa sì che la Lazio sia Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia. Del resto, Maestrelli ci aveva avvertito: senza Chinaglia, non si poteva garantire nulla. Eternamente grati, Maestro.