“Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce“. Questa frase, tratta dal libro Vita e Pensiero di Pietro Roveda racchiude l’ultimo anno del Napoli. Una macchina perfetta pazientemente creata dal mago Luciano Spalletti, si è dissolta in pochissimo tempo. Spentasi in un battito di ciglia e riscopertasi tremendamente instabile, specie dopo la caduta della sequoia che rendeva maestosa questa foresta.
Allo storico campionato 22/23 era seguita un’annata disastrosa, dove i campioni d’Italia hanno chiuso al 10°, fuori dalle coppe. Prima volta nella storia della Serie A in cui i detentori del trofeo concludono a metà classifica. Un risultato che ha messo il patron De Laurentiis sul banco degli imputati, assieme all’intera squadra. Con il malumore dilagante per le strade di Napoli, il numero 1 azzurro ha optato per l’all-in chiamando Antonio Conte.
Il passato juventino non è andato troppo giù ai tifosi, con tanto di siparietto dove Antonio ha rifiutato di rinnegare la sua fede, con un laconico “Non chiedetemi cose che non farò“. Ma la mentalità vincente ha scaldato l’ambiente, che ora torna a credere nello Scudetto. Soprattutto se dovesse arrivare anche Romelu Lukaku, pupillo di Conte, nonché protagonista di mille battaglie all’Inter. Una coppia da sogno, per sperare di tornare nell’Olimpo. Ma siamo sicuri che un’accoppiata del genere possa portare dei benefici?
Il comandante Antonio
Sicuramente sì, perlomeno a breve termine. Qualificazione in Champions o Scudetto che sia, sarà il campo a dirlo. Ciò che è impossibile non considerare è però la storia che accomuna queste due figure, tanto grandi quanto controverse. Antonio Conte lo conosciamo bene. È un guerriero. Lo è in panchina, come lo è stato da calciatore. Sempre pronto a guidare la sua truppa, con estrema determinazione, senza mai accettare cali di tensione. La disciplina è ciò che conta realmente. Nessuna distrazione, barra dritta sempre e comunque, sangue e sudore.
Il terreno prediletto di Conte sono le “macerie”: squadre da ricostruire, preferibilmente fuori dalle coppe, con una buona base ma letteralmente allo sbando. Anche in questo caso, la storia ci arriva in soccorso. Il salentino si è consacrato alla guida della Juventus, raccogliendo una società priva di certezze, reduce da due settimi posti, ma con la solida BBC non ancora divenuta tale. Poi è arrivata l’Italia, con cui ha sfiorato il miracolo a EURO 2016, Infine Chelsea e Inter, riportate a vincere il titolo dopo diversi anni, per poi arrivare al Tottenham, che da 12° in classifica a metà stagione giunse 4°. Ebbene, cos’avevano in comune queste squadre?
Il lupo perde il pelo…
Esattamente come il Napoli attuale, Antonio potè costruire il proprio progetto a sua immaginazione e somiglianza, sguazzando nella mancanza di certezze e plasmando la propria creatura nella maniera a lui più congeniale. Come sempre: corsa, sacrificio e disciplina. Ed è stata la fortuna di Conte. Ma allo stesso modo, ogni grande figura porta con sé un’enorme Spada di Damocle. E quella del salentino è stata una sola: le conseguenze degli addii.
Difatti, Conte non si è mai separato in modo idilliaco dalle squadre in cui è stato. Spesso e volentieri se n’è andato sbattendo la porta, lasciando non di rado un pessimo ricordo sotto il punto di vista del rapporto con la dirigenza. Persino con la sua amata Juve, Antonio ha avuto modo di arrivare allo scontro con il presidente Andrea Agnelli, sperando in seguito in un ritorno mai verificatosi. Ma non solo, il pregio di Conte si è rivelato la rovina delle società in cui è stato.
Partendo dal Siena, per proseguire con Italia, Chelsea e Tottenham, l’addio di Conte ha provocato un crollo verticale impossibile da fronteggiare. Sportivo e finanziario. E l’eliminazione dal Mondiale con Ventura ce la ricordiamo bene. Cercato dal Napoli già a ottobre, Conte aveva preferito aspettare, probabilmente perché aveva già captato i malumori della piazza e voleva evitare di diventare uno dei colpevoli bersagliati dai tifosi. Meglio accettare l’offerta (succosa come da copione) a giugno, con un’intera preparazione estiva da svolgere e carta bianca per il mercato.
De Laurentiis pende dalle sue labbra, o almeno pare, e ha accettato di assecondarlo in tutto e per tutto. Del resto, anche un orgoglioso come Aurelio, non sempre affabile con giornalisti e allenatori, ha annusato il clima nel capoluogo campano e ha preferito andare sul sicuro. La difesa a tre è il mantra di Conte: sono arrivati Buongiorno, Rafa Marin e Spinazzola ma manca il centravanti. Con la grana Osimhen ancora da risolvere, Antonio ha già avanzato la propria richiesta: Romelu Lukaku.
Il figliol prodigo
Big Rom e Conte si sono conosciuti calcisticamente all’Inter nel 2019, per un meraviglioso sodalizio durato due anni, con tanto di Scudetto ed Europa League sfiorata, persa solamente in finale. Lukaku si è rivelato l’attaccante ideale per un maniaco del gioco fisico come il pugliese.
E probabilmente, la cessione del belga al Chelsea è stata la scintilla che ha indotto il mister a lasciare il club nerazzurro la prima volta. All’Inter, Conte non è più tornato, ma Lukaku sì, con risultati pessimi. E ora hanno l’occasione di rincontrarsi, in questo Napoli che rappresenta un terreno fertile per Antonio. Tanta fatica, ma la garanzia di avere un centravanti completo, capace di giocare spalle alla porta così come di attaccare la profondità e dotato di grande tempismo in area di rigore.
Rabbia e risentimento
Dalla sua prima avventura all’Inter, dopo la separazione con il suo mentore, Lukaku è entrato in un loop da cui non è più uscito, almeno fino a questo momento. I 115 milioni sborsati dal Chelsea per riportarlo in Inghilterra sono risultati un errore e il belga è stato spesso bollato come troppo costoso, visto anche il suo ingaggio particolarmente pesante.
In tal senso, il suo ritorno all’Inter è stato disastroso, dove spicca la finale di Champions League contro il Manchester City, e la clamorosa occasione divorata da Big Rom, a pochi passi dalla porta. I nerazzurri l’avrebbero anche ripreso la scorsa estate ma Lukaku ha giocato sporco, aspettando la chiamata della Juventus senza avvisare Marotta e la dirigenza interista. Chiaramente, quando la faccenda è venuta a galla, l’unico a rimetterci è stato il belga.
Inter ritiratasi e Juventus impossibilitata a vendere Vlahovic. Ergo: Lukaku ha dovuto “ripiegare” sulla Roma. Ingaggio esorbitante ma risultati scarsi, troppo poco per convincere i giallorossi a dargli una seconda chance a quelle cifre. Di ritorno al Chelsea, nemmeno a Londra è ben accetto e anche quest’estate è costretto a cercarsi una nuova squadra, per avere la sua rivincita contro le due società che non hanno voluto credere in lui. Ecco allora che si apre lo spiraglio Napoli, un raggio di sole in un buio mercato che gli aveva prospettato persino il triste epilogo in Arabia.
Arma a doppio taglio
Lukaku non accetta di svernare all’età di 31 anni e pare disposto a tagliarsi l’ingaggio pur di riunirsi con il suo padre spirituale. Conte sarebbe ben felice di riavere in squadra il suo pupillo, che ha smarrito la retta via dopo la prima parentesi interista. Big Rom ha bisogno del suo taumaturgo e Antonio spera nel ritorno del figliol prodigo. Ma, a questo punto, è doveroso rinnovare il quesito iniziale. Il gioco vale la candela?
Di pancia verrebbe da rispondere di sì, vedendo i trascorsi. Ma proprio basandoci sulla storia, va considerato come avere due autentiche superstar nello stesso spogliatoio porti sì enormi benefici in breve tempo. Ma a lungo termine? L’avventura più longeva di Conte è stata la Juventus, dove il salentino è rimasto tre anni, prima di sbattere la porta scottato dai no della dirigenza sul mercato da condurre. Nelle altre squadre, il pugliese non ha mai superato i due anni.
I ritmi estenuanti e il carattere battagliero di Conte si sono spesso tradotti in screzi evitabili, con dirigenza, giocatori o giornalisti, dettati dall’ira del momento e dallo stress incessante, proprio perché Antonio vive di calcio e anche la sconfitta si traduce in una faccenda personale. Una questione spinosa in un ambiente come Napoli, in cui la piazza è incandescente e vive in simbiosi con la propria squadra.
Inoltre, Conte e De Laurentiis sono due teste calde di prim’ordine. Perciò, per far sì che il matrimonio sia duraturo, almeno uno dei due dovrà scendere a compromessi con l’altro, dal momento che, la storia insegna, è complicato sopravvivere a un addio di Antonio Conte. Anche Lukaku non è esente da considerazioni: il belga può ritrovare colui che potremmo definire il suo padre calcistico.
Una coppia in grado di dare gigantesche garanzie, quello è indubbio. La missione più complicata sarà la convivenza con un ambiente che pretende, a maggior ragione dopo un 10° posto, a maggior ragione con questi due (costosissimi) nomi. Il concetto è semplice, ma occorre un meccanismo perfetto, anche perché Conte non è un uomo tanto disposto a scendere a compromessi, così come Lukaku, senza il suo mister prediletto, rischierebbe di diventare solamente un peso.