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Nel 1999 a Losanna fu fondata la World Anti-Doping Agency, l’agenzia mondiale anti-doping conosciuta più semplicemente come WADA. L’onda lunga di diversi scandali, fra cui le indagini della magistratura italiana sul professor Francesco Conconi e Michele Ferrari, costrinse il Comitato Olimpico Internazionale a creare una struttura sovranazionale apposita che si occupasse della lotta al doping. La WADA si trovò a lungo nella spinosa situazione di essere teoricamente indipendente dal CIO, ma allo stesso tempo finanziata interamente dallo stesso e con giurisdizione sugli atleti, che dipendono, attraverso i comitati nazionali, da quello internazionale. Insomma, era controllata da chi dovrebbe controllare.
Negli ultimi anni poi l’agenzia ha dovuto affrontare i processi di Parigi e di Bolzano, che hanno messo in luce gravissime mancanze e contraddizioni nei metodi, oltre a giri di finanziamenti illeciti che sfociarono in vere e proprie condanne penali per corruzione. A Parigi in particolare fu scoperchiato il caso del doping di stato in Russia e delle sue coperture nelle agenzie internazionali. A Bolzano, procedimento nato in seguito al caso Schawzer, invece furono contestate le gravissime storture delle metodologie di analisi. Malgrado tutto ciò, la WADA, il cui presidente attuale è il polacco Witold Banka, rimane l’unico ente con il potere di definire che cosa è il doping.
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Il codice della WADA: la definizione di doping
Il primo risultato della WADA fu la promulgazione del Codice mondiale anti-doping. Arrivò nel 2003 e divenne operativo il primo di gennaio del 2004. L’ultima edizione emendata è quella del 2021 ed è la quinta versione. L’introduzione del codice presenta i principi fondamentali dei programmi anti-doping e, di conseguenza, le basi del codice stesso. I principi sono tre: il valore intrinseco dello sport, la protezione della salute degli atleti e l’integrità dello sport in termini di competizione corretta fra pari.
Superati i principi fondamentali l’articolo 1 definisce il doping come: “L’occorrenza di una o più violazioni delle regole anti-doping espresse dall’articolo 2.1 all’articolo 2.11”. L’accento qui più che sul doping è sulla persona che usa doping: il dopato è chi viola le regole anti-doping definite dalla WADA. Il doping è inteso più come un’azione che come una serie di sostanze. Per esempio il tennista Fernando Verdasco è stato squalificato sebbene non ci sia stata malafede. Del resto, tuttavia, in inglese il termine “doping” è un verbo, mentre in italiano è usato più come nome.
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Che cos’è il doping? La lista delle sostanze proibite
L’articolo 2 del codice indica tutte le occorrenze che portano al doping e, di conseguenza, alle condanne. La prima e più importante è la presenza nel corpo dell’atleta di sostanze proibite, sotto forma delle stesse, oppure dei metaboliti che il corpo produce per sintetizzarle, oppure dei coprenti che mascherano il loro effetto ai test. Però è equiparato al doping anche mancare 3 test nell’arco di 12 mesi, oppure favorire l’assunzione di sostanze, così come nascondere un caso di doping, o anche solo possedere farmaci proibiti. Oppure Andrea Pinamonti è stato squalificato per il suo comportamento irrispettoso nei confronti dell’anti-doping.
Il codice quindi si basa sulla cosiddetta “Lista proibita”, l’insieme di “Lista delle sostanze proibite” e “Lista delle pratiche proibite”, di cui si parla ampiamente nell’articolo 4. La “Lista proibita” è tutto quell’insieme di farmaci (con specifiche dosi) e pratiche di allenamento considerati dopanti e quindi vietati agli atleti. Di fatto quindi il doping, così come inteso in italiano, è una lista di cose da non fare o non assumere, ma la domanda veramente importante è come si entra in quella lista.

I criteri della WADA: scienza, salute e spirito dello sport
Secondo l’articolo 4.2: “La lista proibita identifica tutte quelle sostanze e pratiche proibite come doping in ogni momento, che sia durante le competizioni o lontano dalle competizioni, in virtù del loro effetto di incremento della prestazione o coprente“. L’articolo 4.3 entra invece nel dettaglio dei criteri con cui si compila la lista. “Una sostanza o pratica viene considerata per la lista se la WADA, a sua sola discrezione, riconosce due dei tre seguenti criteri: prova scientifica o farmacologica di un incremento della prestazione, prova scientifica o farmacologica di pericolo per la salute dell’atleta, violazione dello spirito dello sport”.
Colpisce che il solo incremento della prestazione non costituisce doping. La differenza fra integratori e doping si gioca quindi sugli altri due criteri: i pericoli per la salute e la contrarietà allo spirito dello sport. Per fare un esempio, l’EPO (un potentissimo farmaco salvavita) presenta gravi rischi per la salute se assunta con lo scopo di incrementare la prestazione ed è naturale che sia bandita. Di recente hanno poi fatto scalpore le parole di Dino Baggio sui rischi del doping. Se però una sostanza come l’EPO non avesse questi gravi effetti collaterali, è possibile che sarebbe consentita. Tuttavia entra in gioco il terzo criterio: lo spirito dello sport.
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Fra scienza concreta e filosofia astratta: lo spirito dello sport
Di fatto i criteri si basano sui principi fondamentali del codice della WADA e sono visibilmente richiamati nell’articolo 4. I primi due (pericolo per la salute e incremento della prestazione) sono dimostrabili scientificamente, anche se la comunità scientifica può metterci diverso tempo a dimostrare in modo univoco che la data sostanza o metodologia ha effetti negativi o di miglioramento della prestazione. Basta vedere le amplissime discussioni sulle droghe leggere, oppure le risposte a Dino Baggio di Roberto Mancini sui problemi legati al doping dei calciatori. Il terzo principio è quello più spigoloso, perchè non è scientifico in senso stretto.
Che cos’è lo “Spirito dello sport”? Nella prima parte il codice lo descrive come: “Lo spirito dello sport è la celebrazione dello spirito umano, corpo e mente. È l’essenza dell’Olimpismo e si riflette nei valori che noi troviamo negli sport quali: salute, etica, fair play e onestà, diritti degli atleti, eccellenza della prestazione, carattere e educazione, divertimento e gioia, lavoro di squadra, impegno e dedicazione, rispetto per regole e leggi, rispetto per se stessi e gli avversari, coraggio, spirito di comunità e solidarietà. Lo spirito dello sport si esprime nel modo in cui noi giochiamo puliti. Il doping è contrario alle fondamenta dello sport”. Lo spirito dello sport di fatto è una serie di concetti astratti e non facili da definire in maniera pratica.

I limiti delle norme della WADA
Lo spirito dello sport come criterio si apre quindi a diverse interpretazioni. In pratica un farmaco che incrementa la prestazione senza rischi per la salute diventa doping solo se contrario a una norma astratta. Inoltre, così com’è strutturato, il codice non riesce ad anticipare le nuove sostanze che entrano in commercio e può agire solo una volta che queste sono state studiate. Sotto questo punto di vista però la stessa WADA bandisce come proibite non solo singole sostanze, ma anche intere categorie di farmaci come gli steroidi anabolizzanti. L’anti-doping poi arriva spesso tardi, solo a fine ottobre 2022 fu revocato per doping un oro alla russa Natalia Antyukh delle Olimpiadi del 2012.
Un altro limite sono le esenzioni terapeutiche. Se un atleta per ragioni sanitarie ha necessità di assumere un farmaco che però è proibito dalla WADA, può fare richiesta alla federazione internazionale di ricevere un’esenzione per quella data sostanza. Come è evidente, questa norma si presenta a molte interpretazioni e certificati medici non proprio cristallini. Negli ultimi anni per esempio si sono moltiplicate le esenzioni terapeutiche per farmaci antiasmatici: lo stesso Alex Schwazer ha ammesso di aver preso sotto esenzione (e quindi legalmente) questi farmaci, anche se non soffriva di asma e se ne è poi allontanato con Sandro Donati..
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Ma alla fine, che cos’è il doping?
La WADA definisce una serie di criteri per definire che cosa è il doping e si impegna per aggiornare almeno una volta l’anno la lista proibita. Le federazioni però possono avere norme diverse, l’UCI ciclistica ha per esempio norme molto più stringenti e da tempo ha chiesto alla WADA di bandire l’antidolorifico Tramadol come doping. Oppure la camera ipobarica è bandita solo in Italia come pratica dopante. Però non c’è una vera e propria definizione e il doping rimane di fatto una lista che viene aggiornata in base alle nuove evidenze scientifiche o al sentimento più che altro astratto dello spirito dello sport.
Il confine fra doping e integratore rimane molto sottile e il mondo delle esenzioni terapeutiche non è facile da discernere. Tuttavia bisogna sempre con forza bandire gli aiuti farmacologici alla prestazione sportiva. In questo senso la WADA, sia pure in maniera astratta, definisce molto bene come il doping sia contrario a tutto quello che è lo sport: etica, salute, competizione onesta, rispetto e gioia. Alla fine la definizione che si può estrapolare è ancora una volta poco pratica ma molto chiara: il doping è ciò che è contrario allo sport.