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Tra tanti calciatori italiani, c’è chi ha girato tutte le squadre, segnando gol a raffica; chi invece è rimasto in una, diventando capitano e bandiera, meritandosi un posto nell’Olimpo del club. E poi ci sta lui, quello dall’aspetto semi-principesco che con le sue prodezze riesce a far innamorare anche i più amorfi passionalmente. “Prodezze” si fa per dire, poiché un centrocampista come Giancarlo De Sisti non poteva essere paragonato a un campione del Real Madrid o del Bayern Monaco, con i centrali eleganti tutto dribbling e poco cervello. Picchio era semplice, umile, casereccio, in grado di fare sempre la cosa giusta al momento giusto, senza aver bisogno di strafare nelle grandi gare, o di mettere il pallone in rete svariate volte, andando a incalcare il ruolo del moderno, e altresì perfetto, centrocampista. Tra Roma e Fiorentina, ripercorriamo la sua camminata negli scenari del calcio italiano.
De Sisti, la Roma e l’arrivo nel calcio che conta
Quella di Giancarlo De Sisti è una carriera non eccessivamente brillante, e neanche ricca di memorie, ma tanto basta per essere considerato una bandiera di entrambe le squadre.
Romano di nascita e nell’intercalare, come lo si può vedere nelle interviste, Picchio è entrato nelle giovanili della Roma nel 1959. Vinse il campionato juniores nelle due stagioni, nel 1959-1960, e nel 1960-1961. Le qualità ci furono, tant’è che lo stesso ragazzo, non elegantissimo nelle giocate, si rese protagonista in entrambe le stagioni, con la sua calma e lungimiranza. Nel mentre, infatti, esordì in prima squadra a 17 anni nel 1961 contro l’Udinese. I giallorossi all’epoca vissero un periodo d’oro, con la partecipazione e la vittoria della Coppa delle Fiere. Il primo titolo della squadra capitanata da Giacomo Losi, il “core de Roma“, non avvenne però ancora grazie a De Sisti, che collezionò solo una manciata di presenze anche negli anni successivi, sebbene la sua innaturale dote di trottola a centrocampo.
De Sisti, l’approdo alla Fiorentina e lo Scudetto
Fino al 1964, De Sisti divenne un punto fisso della Roma allenata da Luis Carniglia, andando a segno nell’ultimo anno ben 7 volte. Ma ciò non bastò per evitare la sua successiva cessione, a causa delle difficoltà finanziarie dei giallorossi. Il presidente Evangelisti, nonostante avesse poi successivamente trasformato il club in una società per azioni, non evitò l’approdo del Picchio a Firenze, per 250 milioni di lire. Il ragazzo, tuttavia, era legato troppo alla Capitale e per un giovanotto di soli 22 anni, tale offerta non furono solo parole, in quanto il patron Nello Baglini della Fiorentina lo volle fortemente.
Con la viola, risapute anche le sue doti tecniche non eccelse ma meritevoli, giocò tutte le gare di campionato 1964-1965, andando a mettere su una leadership del tutto priva di ostacoli: possiamo dire quasi assoluta. La squadra gli nasce intorno al suo leader, che in men che non si dica arrivò al suo culmine nella stagione 1968-1969. In quell’anno, la Fiorentina vinse uno storico scudetto e il garzoncello romano, di cosiffatta tecnica, si rese un equilibratore di notevole rispetto. Si arrivò persino ad affermare che non avrebbe sbagliato mai un passaggio nella sua carriera viola.
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De Sisti, la consacrazione in Nazionale e i Mondiali
Le doti da capitano nella Fiorentina, portarono De Sisti a una chiamata del tutto particolare. Nonostante facesse già parte della Nazionale italiana, sin dalle Olimpiadi di Tokyo del 1964, senza però che la squadra ne prendesse parte, il suo esordio assoluto avvenne nel 1967, nella gara contro il Cipro vinta 5-0. Il momento considerato d’oro arriva nell’Europeo vinto nel 1968. Picchio giocò titolare solo l’ultima partita, la finalissima vinta per 2-0, ma tanto bastò perché l’Italia potesse fargli vincere il suo primo titolo europeo.
Giunse il momento dei Mondiali, quelli di Messico 1970. De Sisti giocò quasi tutte le partite, imponendosi come ago nella bilancia nella Nazionale di bandiere come Riva e Riviera, andandosi a ritagliare uno spazio importante persino nella Partita del Secolo contro la Germania Ovest. Ma ciò non bastò a portare in auge il ragazzo romano, poiché l’Italia perse per 4-1 la finale contro il Brasile.
Superata la cocente delusione in Messico, iniziò tuttavia a essere chiamato in pianta stabile dalla Nazionale fino agli Europei del 1972, dove gli azzurri vennero eliminati dal Belgio per un bugiardissimo 1-2.
De Sisti, il ritorno a Roma e il futuro incerto
Picchio De Sisti con la Fiorentina visse indubbiamente il suo periodo migliore, avendo giocato più di 250 partite ed essendosi in qualche modo, imposto da leader indiscusso. Ma l’arrivo di Gigi Radice sulla panchina viola, e l’acquisto di Giancarlo Antognoni, portano il centrocampista romano a essere più emarginato dalla società. Lui stesso dichiarò, per quanto riguarda il suo periodo piuttosto nefasto: “Per la prima volta fui tentato a fare polemica, in quanto stavo fuori sapendo di essere utile. Ma Radice aveva le sue idee, quindi mi stetti zitto“.
Nella stagione 1973-1974, fece ritorno quindi a Roma, la città che lasciò sempre nel cuore nonostante il suo ruolo a Firenze. La squadra del barone Liedholm vide in lui il giocatore perfetto, per via delle sue doti da playmaker di scarsa fallibilità nei match che contano. Sembro essere arrivata la fine dello show: il Picchio che diventa grande, e deve fare una scelta importante in vista del futuro. Invece con i giallorossi conquistò un ambitissimo terzo posto, spalleggiato da Juve e Napoli. La Fiorentina, dall’altro canto, arrivò al nono posto. La trottolina romana si prese quindi una rivincita di tutto rispetto.
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De Sisti, l’addio al calcio giocato e l’inizio…di quello allenato
De Sisti giocò nella Roma altri 5 campionati di altissimo livello, supportato da un maestro del calcio come Liedholm. L’allenatore svedese vide in lui il giocatore perfetto per il suo gioco, improntato sulla tattica e sul gioco di squadra. Picchio, dal passaggio facile e preciso, non fece attendere il suo contributo fondamentale. Questo, perlomeno, fino all’arrivo in panchina di Gustavo Giagnoni, tecnico irascibile ma di spessore notevole. De Sisti ha 35 anni, e non sembrerebbe essere più il giocatore degli anni d’oro a Firenze.
Le critiche su di lui arrivano a palate e, malgrado la sua persistente decisione di non voler ritirarsi dal calcio giocato, prese la sofferente decisione nel 1979, proprio quando tornò il barone sulla panchina romanista. Periodo di silenzio che terminò nel 1981 quando, clamorosamente, si mise alla guida della sua amata Fiorentina. Partendo dalla zona retrocessione, portò i viola al tanto atteso quanto improbabile quinto posto. Nella stagione successiva, tuttavia, perse lo scudetto all’ultima giornata contro il Cagliari, dopo una stagione pazzesca. De Sisti non perse però il ruolo.
De Sisti, il periodo da allenatore e il ritiro
Ben presto per De Sisti arrivarono le prime grane. Un granuloma sub-dentario lo portò a interrompere momentaneamente la sua guida della Fiorentina, per via di un malore accorso nel match di Coppa Italia contro il Pescara. La squadra senza di lui annaspa: entrò infatti in campo dopo soli 45 giorni su insistenza di Ranieri Pontello, che lo ringraziò con un esonero che trasuda ancora oggi profonda ingratitudine, sostituito da un più principesco Ferruccio Valcareggi. Da allora delle parentesi brevi prima in Nazionale, poi all’Udinese con cui non evitò una retrocessione piuttosto scontata. Nel 1991 fu chiamato ad allenare l’Ascoli, ma neanche lì riuscirà a far valere il suo pragmatismo, diventando addirittura vittima di messaggi minatori da parte degli ultrà marchigiani.
Adesso cosa fa il nostro Picchio? Dal 2009 allena la rappresentativa dei Parlamentari Italiani. Una parabola piuttosto importante per quello che è considerato a tutti gli effetti un leader, seppur non politico. Un figlio di Firenze nato a Roma, che in qualche modo è riuscito a far appassionare molti italiani al bel gioco e alla mentalità vincente. Questo fu De Sisti.