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L’ultimo suo messaggio risale al primo gennaio: rispondeva con la consueta cordialità ai miei auguri di buon anno. Nulla lasciava presagire un addio prematuro. Quando muore un amico, i vivi si sentono svuotati, naufraghi in una tempesta di rimpianti e ricordi. Per ciò che è stato, per quello che si poteva ancora fare insieme.
Gianni Di Marzio era rimasto un napoletano verace anche sa da lustri risiedeva a Padova insieme alla dolcissima compagna, una moglie e una mamma ideale. L’ho conosciuta bene in un momento drammatico della mia vita umana e professionale: mi sostenne con affetto. Un sorriso che faceva breccia nella mia anima raminga. La vedevo quasi tutti i lunedì: era una sorta di darsena per il mio umore. Se Gianni mi dava forza, lei elargiva coccole, importanti per chi una mamma non l’aveva più dal 1993. In queste ore del Di Marzio professionista si è detto e scritto di tutto. Dipinse miracoli a sud di Roma, caratteri cubitali meritano le sue esperienze calabre: Catanzaro e Cosenza (anche da dirigente) nel suo cuore scugnizzo. Parimenti la Sicilia: portò il Catania di Massimino in Serie A, nel 2016 il suo amico Zamparini (avevano lavorato insieme a Venezia, con loro anche un emergente Marotta) lo volle nello staff dirigenziale del Palermo. Per molti anni è stato anche collaboratore dello scouting juventino. Consigliò il giovanissimo Cr7 a Moggi, intuì anni dopo il talento in erba di Pato.
La madre di tutte le intuizioni resta ovviamente lui: sua maestà Diego Armando. Lo consigliò a Ferlaino ma le frontiere erano chiuse. Con Don Corrado non si lasciò benissimo e anche dopo anni non ha mai perdonato quella ferita. Esonerato dopo sole due gare (perse a Firenze, doppietta di un certo Di Gennaro…) solo perché a sua insaputa l’ingegnere aveva già messo sotto contratto Luis Vinicio. Eppure Gianni fece benissimo nella sua città. gli fu affidato un manipolo di virgulti esaltati dall’esperienza di Savoldi: conquistò un posto in Uefa e la finale di Coppa Italia persa a Roma con l’Inter. Nel suo personalissimo albo di trionfi figurano anche ben due seminatori d’oro.
Ma io ho avuto modo (in presa diretta) di apprezzare anche il Di Marzio opinionista (insieme a Studio Sport con il povero Mosca e Corrado Tedeschi e poi sugli schermi di canale 34 a Number Two, storica trasmissione campana). Era diretto e mai banale: schietto come solo lui sapeva essere, un hombre vertical che non si piegava a logiche surrettizie. Era Di Marzio in fondo: poteva permetterselo.
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In tante cene al “sarago” mi ha confessato quasi tutto della sua vita. Conosco amici e nemici del Gianni nazionale, ma saranno segreti celati nel fondo della mia anima. Una cosa però posso dirla: credo che Claudio Ranieri occupasse un posto speciale nel suo cuore: lo svezzò al Catanzaro, quando il tecnico romano vinse la Premier col piccolo Leicester notai la sua sconfinata ammirazione. Lo lusingava la stima di Fabio Capello, gradiva le relazioni tecniche di Gianni durante il biennio juventino. Si fidava ciecamente delle sue conoscenze calcistiche. Posso confermarlo: puntò su De Zerbi già ai tempi di Foggia. Scommise su Sarri non rimpiangendo Benitez. Gianni era questo: guardava al di là dello steccato. Ci arrivava prima degli altri, mai rossori a dispetto di tanti altri.
Non ha quasi mai sbagliato una valutazione sul Napoli negli ultimi 25 anni. non ha mai dovuto rimangiarsi un pensiero. Il mondo del calcio era suo pane quotidiano anche a 80 anni suonati. Lucido, reattivo, scattante. Padova, Inghilterra, Sud America poi Napoli come se nulla fosse. Sembrava immortale ed un po’ ci abbiamo creduto. Suo figlio Gianluca (un collega di elevatissimo spessore professionale) gli ha augurato di allenare finalmente Diego lassù nel regno dei cieli. Ce li vedo quei due: nati per piacersi. Simili in quasi tutto, soprattutto nel genio: il “barba” ha donato un sinistro superbo al gaucho ma a Gianni ha elargito una intelligenza superiore alla media.
Il calcio perde un competente, la vita un uomo perbene.