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Il Diavolo è tornato, la Milano rossonera festeggia, 11 anni dopo il Milan è Campione d’Italia. Il 22 maggio sul calendario è una data storicamente nerazzurra, l’Inter nel 2010 fu incoronata Regina d’Europa a Madrid, ma l’epilogo di Reggio Emilia questa volta è diverso da quello della capitale spagnola e non poteva essere altrimenti visto che il capoluogo emiliano, il 7 gennaio 1797, diede i natali al tricolore italiano.
Non riesce il bis all’Inter, l’appuntamento con la seconda stella è rimandato per il momento, la squadra di Simone Inzaghi si consola con la doppia vittoria in Supercoppa e Coppa Italia, impreziosite dal fatto di aver battuto in entrambi i casi i rivali storici della Juventus. Ma non i cugini rossoneri. Solo in caso di sconfitta del Milan contro il Sassuolo la Beneamata sarebbe salita sul tetto d’Italia, peccato però che I sorprendenti di Stefano Pioli abbiano archiviato la pratica già al termine dei primi 45’ di gioco.
Giroud e Kessiè hanno letteralmente spazzato via i neroverdi in poco più di mezz’ora, assistiti dal solito intraprendente e devastante Rafael Leao, non a caso eletto miglior giocatore della stagione. Se il portoghese si è rivelato decisivo nelle battute conclusive del campionato, Oliviero lo Sparviero è stato l’uomo dei gol pesanti, l’ago della bilancia dell’annata del Diavolo: al suo cospetto si sono inchinate Inter, Napoli e Lazio, match chiave ai fini della lotta al titolo.
Leadership ed esperienza unite al dinamismo e alla freschezza delle giovani leve. Visione lungimirante quella di Gazidis e Massara, mentalità vincente quella di Paolo Maldini: un capitano si riscopre tale nei momenti difficili, lo storico numero 3 ha proseguito quanto iniziato sul terreno verde di gioco, ha guidato la Sua Squadra da dietro le quinte, non ha mai fatto mancare il proprio appoggio a Stefano Pioli. Il pugno in segno di vittoria di Cuore di Drago, mentre saluta dal pullman i tifosi rossoneri all’uscita dal Mapei Stadium alle ore 22:20 di domenica sera, è una delle immagini più belle ed emozionanti dell’ultimo weekend di Serie A.
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Un’immagine scudetto come l’abbraccio tra Pioli e Giroud al momento della sostituzione del bomber transalpino, l’esplosione di gioia dell’allenatore parmigiano al triplice fischio e il discorso di ringraziamento ai tifosi davanti Casa Milan prima della parata scudetto. Rangnick chi? Ride bene, chi ride ultimo. Il responso della stagione dell’austriaco sulla panchina dello United è per certi versi accostabile al triste epilogo di Napoleone a Waterloo, ad averceli i vari Bruno Fernandes, Pogba, Cavani, Cristiano Ronaldo.
E invece no, il Milan non ha avuto bisogno di tutto questo, ha scelto la linea verde, l’ha preferita all’esperienza e alla maturità, anche se ha beneficiato di queste per formare nuovi volti che costituiscono il presente e il futuro del club. E’ lo scudetto della rivalsa per chi ha attraversato periodi difficili, ha vissuto anni travagliati, ma alla fine ha superato gli ostacoli col Diavolo in fondo al cuor ed ha avuto ragione.
Ha ripulito gli errori commessi nel post-Berlusconi, prima Yonghong Li, poi il primo Elliott con Mirabelli e Fassone. Altro che trofei il passaggio alle cose formali rischiava di rallentare il percorso di costruzione e di rinascita. Con l’addio di Kessiè, nonostante la dirigenza abbia provato a più riprese a convincere l’ivoriano a rinnovare, il Milan chiuderà definitivamente i conti col passato. Il club davanti a tutto, la maglia che indossate è più importante del singolo: Donnarumma e Calhanoglu lo hanno vissuto sulla propria pelle, il primo ha pagato un prezzo troppo alto, Maignan lo ha letteralmente cancellato dagli archivi rossoneri; il secondo inaspettatamente è stato uno dei protagonisti dei festeggiamenti pre e post-scudetto, una comparsa di cui tutti avremmo fatto sicuramente a meno, con annessi riferimenti alla Coppa Italia nerazzurra.
Tornando a Stefano Pioli. Se avessimo chiesto un giudizio, un parere al grande Eduardo De Filippo, probabilmente l’artista partenopeo avrebbe ribattezzato il tecnico emiliano come l’artefice magico.
Si fa fatica ad individuare una figura che più di altri si è rivelata determinante nell’aver contribuito al trionfo rossonero. Io un’idea ce l’avrei: l’umiltà, l’eleganza e la determinazione di un uomo che ha avuto tanto coraggio nel calarsi in una dimensione difficile da interpretare. Da Ibrahimovic a Krunic, Pioli ha attribuito ad ogni singolo componente della rosa rossonera la stessa importanza. Tutti per uno, uno per tutti. Non c’è cosa più bella al mondo nel vedere un uomo piangere di gioia ed esternare spontaneamente le proprie emozioni. Chapeau!