Simbolo di juventinità dalla nascita e protagonista indiscusso del calcio degli anni ’70, Roberto Bettega compie oggi 72 anni. Le tappe di Penna Bianca, chiamato così per la prematura comparsa di capelli bianchi, narrate dagli esordi a casaJuve fino al tramonto in Canada, passando per il prestito al Varese e la successiva consacrazione che ha dato il via ad un’intera vita calcistica trascorsa tra Juventus e Nazionale, per poi ritirarsi dalla scena e quindi tornare a casa sua nelle vesti di dirigente, formando la famosa Triade che tante gioie ha dato e tante altre ha tolto alla Vecchia Signora e allo stesso Bettega.

Juventus, Roberto Bettega: dalle origini a casaJuve alla consacrazione col Varese
Il Natale è da sempre la festività più bella e attesa dell’anno da tutti i bambini e dalle rispettive famiglie per godersi del tempo spensierato con i propri cari. Un Natale diverso fu quello in casa Bettega, quando il 27 dicembre 1950 nacque Roberto, secondogenito di papà Raimondo e mamma Orsola. Robertino, così veniva chiamato da tutti, visse una vita tranquilla, facendo quello che tutti i bambini sono soliti fare alla sua età, fino a quando non scoprì il pallone che presto fece breccia nel suo cuore. Si trovava nel bel mezzo della curva Filadelfia del vecchio Comunale di Torino, ad assistere insieme al padre, tifosissimo della Juventus, al derby tra bianconeri e granata. Bastarono pochi minuti al piccolo Bettega per capire da che parte stare, prendendo una decisione che avrebbe sancito un passo decisivo dal quale sarebbe stato impossibile tornare indietro: la Juventus.

Così, in quel pomeriggio della primavera del 1958, Bettega fece la sua scelta, iniziando a vedere il mondo a tinte bianconere, aiutato dalla vittoria dei suoi nuovi beniamini, impostisi contro i propri cugini per 4-1 grazie alla doppietta di Omar Sivori e di William Charles. Da quel giorno in poi, il pallone diventò un chiodo fisso, tanto fisso che papà Raimondo se ne accorse e seguendo la sua profonda fede bianconera, senza batter ciglio, lo infilò in macchina e lo portò a casaJuve, la scuola calcio per aspiranti calciatori della Vecchia Signora. Ad accogliere il piccolo Bettega fu Mario Pedrale, figura che risultò fondamentale per la sua crescita, una crescita che Roberto affrontò di petto, aiutato dal bacio di Madre Natura che gli regalò un talento sconfinato.
Bettega iniziò pian piano a farsi notare e ci riuscì sempre più, tanto che ad appena tredici anni era già alto 170cm, svettando rispetto ai compagni in qualsiasi foto di squadra. Raffinatosi aggirando tra centrocampo e attacco, a 18 anni Pedrale decise di affidare quel talento cristallino a Ercole Rabitti, l’allora allenatore della prima squadra al quale confessò poche e semplici parole: “Io dico che è nato attaccante, se il fisico lo sorregge, può diventare una punta alla Charles“. Rabitti credette a quelle parole, ma dal momento che allora non esisteva l’attuale Juventus Next Gen e in caso quel talento non lo si poteva addolcire, venne deciso di mandarlo in Serie B al Varese per farsi le ossa , allora allenata da un certo Nils Liedholm, uno che il calcio italiano lo aveva masticato grazie alla sua longeva esperienza al Milan prima da calciatore, poi da allenatore.

Liedholm, grande conoscitore e sperimentatore del settore giovanile, decise di buttare Robertino subito nella mischia e, non ancora ventenne, Bettega lo ripagò della fiducia siglando 13 reti in trenta presenze, un bottino che lo consacrò come migliore realizzatore del torneo insieme al compagno di squadra Ariedo Braida e ad Aquilino Bonfantini del Catania. Con il Varese ormai proiettato verso la promozione in Serie A e con Bettega protagonista indiscusso di quella cavalcata, molti osservatori iniziarono ad aguzzare la vista e tra quegli occhi incuriositi c’erano anche quelli di Rabitti che, in men che non si dica, lo richiamò alla base per la sua Juventus. Tornato a Torino non più come giovane promessa, Robertino, ormai diventato Roberto, stupì tutti per lo strapotere fisico e l’intelligenza tattica, venendo considerato da tutti “un opportunista in grado di farsi trovare pronto all’appuntamento col gol, sempre alla ricerca della palla e del gioco” , iniziando così a scrivere uno dei capitoli più belli della storia della Vecchia Signora.
Juventus, Roberto Bettega: la prima vita e il calcio alla morte
L’incredibile stagione disputata in Serie B ha fatto sì che Bettega fosse richiamato a casa, pronto a giocare un ruolo decisivo in una squadra che, però, in quegli anni, stava vivendo un vero e proprio periodo di ricostruzione con la squadra affidata ad Armando Picchi e la dirigenza caratterizzata dai nuovi volti di Giampiero Boniperti, nuovo amministratore delegato, e Italo Allori, nuovo direttore generale. Tale ricostruzione non ebbe fine e assunse le vesti della tragedia a causa dell’improvvisa e prematura morte di Picchi, colpito da un male incurabile e scomparso a soli trentasei anni, un evento che indusse Boniperti a scegliere come suo sostituto Cestmir Vycpalek.

Nonostante il grosso processo di ricostruzione intrapreso nell’estate del ’70, la Juventus si presentava ai nastri di partenza pronta a vincere tutto, grazie a un gruppo squadra caratterizzato sia da giovani promesse come Fabio Capello, Franco Causio e Roberto Bettega appunto, sia da vecchie leve quali Sandro Salvadore e Helmut Haller. La fortuna maturata in Serie B permise a Bettega di essere schierato nell’11 titolare all’esordio assoluto in Serie A contro il Catania e così come ripagò la fiducia di Lieholdm col Varese, allo stesso modo lo fece alla Vecchia Signora segnando il gol vittoria contro la squadra siciliana, aprendo un ciclo di gol che arrivò a fine stagione a 13 marcature in 28 presenze, le stesse messe a segno nella serie cadetta con la squara biancorossa.
Roberto Bettega, dall’incubo pleurite al ritorno ai massimi livelli
La prima stagione con la maglia della Juventus fu solo il preambolo di un’altra stagione fortunata, considerando che nella stagione ’71-’72 Bettega segnò addirittura 10 gol in appena 14 partite, con la consacrazione definitiva arrivata il 31 ottobre 1971 con la doppietta rifilata al Milan con un colpo di tacco al volo che beffò Cudicini e fece togliere il cappello a Nereo Rocco. Diventato ormai orgoglio di papà Raimondo, suo primo supporter, e ormai beniamino dei tifosi, la vita di Bettega presto cambiò dopo una partita con gol contro la Fiorentina al Comunale di Torino.

Così come la fortuna lo aveva baciato fino ad allora, la sfortuna ebbe la meglio e il 1 gennaio 1972 Roberto Bettega subì la prima doccia fredda della sua carriera, scoprendo una diagnosi terribile: pleurite, una malattia che lo obbligò a terminare anzitempo la stagione. Mentre lottava fuori dal campo, sugli spalti comparivano striscioni vergognosi: “Bettega polmone marcio”, insulti che però non scalfirono Roberto, tanto che riuscì a tornare in campo per la primavera e unirsi ai compagni per celebrare la festa Scudetto al quale contribuì grazie ai 10 gol segnati in avvio di stagione. “Un brutto colpo, davvero… ma ho saputo reagire alla malasorte con coraggio, senza perdermi d’animo. A vent’anni è giusto non demoralizzarsi, nonostante il recupero sia avvenuto dopo una battaglia durata otto lunghi e difficili mesi”. Il 24 settembre 1972, Bettega fece il suo trionfale ritorno in campo nella sfida contro il Bologna, tornando a fare quello che aveva sempre saputo fare, calciare il pallone e giocare a calcio, ma stavolta con un sapore tutto diverso grazie al calcio dato alla morte, sicuramente il gol più bello della sua carriera.

Con la Juventus che in quegli anni continuava a rinnovarsi, Bettega era sempre lì. Cambiavano i compagni di reparto ma lui era inamovibile e così, con i nuovi compagni di reparto quali Roberto Boninsegna e José Altafini, trascinò la Vecchia Signora al secondo titolo consecutivo, segnando 8 reti in 27 partite. Numeri che si ripetettero anche nella stagione successiva ’74-’75 (6 marcature) e che valsero la tanto attesa chiamata in azzurro ad opera di Fulvio Bernardini, dando inizio a una nuova fase della vita di Bettega, una fase caratterizzata da tante gioie ma anche da incredibili delusioni, considerando che dieci anni dopo la diagnosi di pleurite, un tremendo infortunio lo obbligò a dare forfait alla spedizione dell’Italia nei mondiali di Spagna del 1982, i mondiali di Paolo Rossi ed Enzo Bearzot, i mondiali del terzo titolo azzurro.
Alla vigilia della stagione ’74-’75, Roberto Bettega fece i conti con il terzo cambio in panchina della sua carriera bianconera con Vycpalek ai saluti e Carlo Parola a prendere il suo posto. Il feeling con il nuovo tecnico non fu immediato, ma questo non gli impedì di condurre la Juventus al titolo, il 16° della sua storia. Un bottino che però non fu arricchito nella stagione successiva, quando i bianconeri persero la volata finale dello Scudetto contro i cugini del Torino, nonostante i 15 gol segnati da Bobby Gol. Nella stagione ’76-’77, Bettega ne mise a segno addirittura 17 e questa volta bastarono a portare i suoi compagni in trionfo, merito anche del cambio in panchina che aveva visto Parola ai saluti, sostituito da un giovanissimo Giovanni Trapattoni, uno che di lì a poco avrebbe vinto tutto con i bianconeri.
La Juventus di Trapattoni
Voluto fortemente da Giampiero Boniperti, l’allora giovane e promettente Trapattoni si ritrovò a gestire una Juventus in formato macchina da guerra, una corazzata cinica, grazie all’innesto di Romeo Benetti, alla perseveranza di Roberto Boninsegna e al genio di Franco Causio, blindata in fase difensiva con Dino Zoff tra i pali e una difesa che più che un quartetto sembrava una muraglia, grazie alla coppia Gentile-Cuccureddu, fiancheggiata da Francesco Morini e Gaetano Scirea. La Juventus che venne costruita da e per Trapattoni fu una squadra formato Europa, capace di vincere, difatti, il primo trofeo internazionale della sua storia, la Coppa Uefa del ’76-’77, vinta dopo aver eliminato le due squadre di Manchester, lo Shakhtar Donetsk, il Magdeburgo, l’AEK Atene e l’Athletic Bilbao in finale, con il ritorno in Spagna aperto proprio dalla marcatura di Bettega, ormai conosciuto da tutti come Bobby Gol.

Al trionfo europeo seguì poi il quinto Scudetto della carriera di Bettega con la maglia della Juventus, vinto nella stagione ’77-’78. Da quel trionfo i bianconeri si presero due anni sabbatici in campionato, accontentandosi del 6° trionfo della loro storia in Coppa Italia contro il Palermo. Tuttavia la Juventus era la squadra che in quegli anni comandava in lungo e in largo, e il ritorno sul tetto d’Italia si concretizzò durante la stagione ’80-’81, quando la Vecchia Signora vinse ancora lo Scudetto e Bettega il suo 6° titolo personale. Quell’anno, però, fu il più complicato dal punto di vista realizzativo per Bobby Gol, il quale mise a segno solamente 5 gol in 25 partite.
Roberto bettega, la lite furiosa con l’arbitro Agnolin
Alle problematiche in campo si aggiunse un’altra serie di questioni, ovvero la furibonda lite con l’arbitro Gigi Agnolin e le accuse ricevute dai giocatori del Perugia che lo accusarono di aver truccato le partite, minacciando proprio i giocatori avversari affinché lo lasciassero segnare. La lite con il direttore di gara Agnolin ebbe inizio durante un derby Juventus-Torino, a partire dall’annullamento dubbio di un gol bianconero e dalla convalida di un altrettanto dubbio gol granata, più una serie di altre decisioni che permisero al Torino di vincere 2-1 quel match. Tuttavia, quella partita scatenò l’ira di tutti, tra cui Furino, Gentile, lo stesso Bettega e soprattutto il capitano Dino Zoff, con Bobby Gol che alimentò le polemiche portando a giornali e televisioni una frase pronunciata da Agnolin in campo: “Vi faccio un c**o così”, e che costò al direttore di gara una squalifica di 4 anni. Bettega, invece uscì dalla doppia vicenda con una squalifica complessiva di un mese.
Roberto Bettega, il recupero dall’infortunio e la the last dance
Sembrava ormai essere tutto in salita, guai però a dirlo a Bettega, lui, torinese di nascita e testardo come pochi, mise in più di un’occasione in pratica i consigli di mamma Orsola, stare zitto e imparare ad aspettare. Aspettare sì, perché nella stagione sfortunata ’81-’82, quella dei mondiali in Spagna, nonostante la proposta del Vecio di attenderlo per cercare di recuperarlo fino all’ultimo da quel tremendo infortunio al ginocchio occorso mesi prima, lui decise di non farsi aspettare, preferendo continuare il recupero in quel di Torino e permettendo, difatti, la chiamata di Paolo Rossi, uno che quel mondiale lo decise dalla prima all’ultima partita, trascinando l’Italia al terzo titolo mondiale. Quella stagione però non fu solo ombre, perché a fine anno la sua bacheca si arricchì del 7° Scudetto e della seconda Coppa Italia.

La stagione ’82-’83 fu quella dell’ultimo ballo bianconero di Bobby Gol, che fece la sua ultima apparizione in un Juventus-Genoa il 15 maggio 1983, ricevendo il commiato dal campionato italiano. Sebbene fosse arrivata la the last dance con la Serie A, la carriera di Bettega in bianconero non era ancora finita, c’era ancora una partita da giocare, la più importante di tutte, la finale di Atene di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo, in cui i bianconeri partivano favoriti. L’incredibile carriera di Bobby Gol, fatta di tante luci e qualche, forse di troppo, ombra, data per lo più dalla sfortuna, si concluse in un incubo non appena il tiro imprendibile di Felix Magath infranse i sogni di Bettega e di tutto il popolo bianconero. Se non altro però, quell’ultimo ballo Bobby Gol lo giocò con un abito davvero elegante, al fianco di campioni che di lì a poco avrebbero rappresentato la fortuna della Juventus, tra cui Michel Platini, Paolo Rossi e Zbigniew Boniek.
Roberto Bettega, i numeri di Penna Bianca in bianconero
Rimandato l’appuntamento con la storia, Penna Bianca, ormai chiamato così a causa della prematura comparsa di capelli bianchi, consegnò la sua maglia al suo primo amore, la Juventus, chiudendo una carriera in cui in tredici anni e 481 presenze (326 in Serie A, 73 in Coppa Italia e 27 in Europa), ha vinto 7 Scudetti in un decennio, il primo del 1972 e l’ultimo nel 1982, due Coppa Italia (1979 e 1983) e una Coppa Uefa (1977), sfiorando due volte la vittoria della Coppa Campioni, la prima agli esordi con la maglia bianconera contro l’Ajax nel 1973, la seconda in quello che fu l’ultimo ballo ad Atene contro l’Amburgo nel 1983.

I numeri registrati con la Juventus hanno reso Bettega il calciatore nato a Torino con all’attivo più gol di tutti, che lo rendono, difatti, il terzo marcatore più prolifico nella storia del club, dietro solo a Giampiero Boniperti (179 gol) e ad Alessandro Del Piero (289 gol), mantenendo un distacco di +6 da David Trezeguet quarto (172 gol). Alle sue spalle in quella che invece è la classifica dei bomber torinesi di sempre c’è Sandro Mazzola, che con l’Inter segnò 162 volte, più indietro i successivi giocatori bianconeri Claudio Marchisio e Sebastian Giovinco, due che con Bettega condividono proprio le giovanili e una vita trascorsa in bianconero. Proprio con la Formica Atomica, Bobby Gol condivide anche un altro dato particolare, l’esperienza oltreoceano, in Canada, a Toronto, Bettega nella squadra che fu dei Toronto Blizzard e Giovinco nel Toronto FC.
Roberto Bettega, l’esperienza canadese
Il ritiro dalla scena italiana di Roberto Bettega non coincise con quello dal mondo del calcio, considerando che Penna Bianca decise di provare l’esperienza oltreoceano, trasferendosi nel giugno del 1983 nella North American Soccer League (NASL) e approdando nella squadra canadese, ormai scomparsa, dei Toronto Blizzard. La nuova esperienza con la casacca biancarossoblu iniziò ufficialmente il 6 giugno, in quello che fu l’esordio dolceamaro contro il Vancouver Whitecaps nella regular season. L’esperienza in Canada durò solo due anni, anni in cui in entrambe le occasioni Bobby Gol riuscì a raggiungere la fase play-off (Soccer Bowl) del campionato, venendo eliminato prima dai Tulsa Roughnecks nel 1983 e poi dai Chicago Sting nel 1984.

Al termine del secondo anno dell’avventura canadese, un percorso spesso scelto dai calciatori ex Serie A ormai a fine carriera, Bettega decise di tornare in Italia, chiudendo con un bottino di 11 gol in 48 presenze, e consapevole di alcune voci circa un imminente fallimento della lega canadese, concretizzatosi difatti di lì a poco. Il ritorno in Italia però non fu fortunato, e l’aspettativa di firmare un anno di contratto con l’Udinese di Zico si interruppe a causa dell’ennesima doccia fredda della sua carriera calcistica dovuta a un brutto incidente nell’autunno dell’84 che gli costò alcuni giorni in rianimazione. Bettega, da testardo torinese, vinse anche quella battaglia, ma quell’episodio, difatti, pose fine alla sua carriera agonistica, dalla quale si ritirò ufficialmente dopo quel brutto episodio.
Roberto Bettega e la carriera in Nazionale
Sebbene la carriera di Roberto Bettega in Nazionale venga ricordata per la mancata partecipazione al mondiale del 1982 a causa di un infortunio al ginocchio, la sua presenza in maglia azzurra iniziò nel 1975 grazie al lungimirante Fulvio Bernardini, uno che veniva considerato un profeta nel selezionare calciatori ‘dai piedi buoni’. L’esordio tuttavia arrivò in maniera tardiva rispetto a quelle che erano state le prestazioni di Bobby Gol fino a quel momento e si concretizzò dunque solo il 5 giugno 1975 contro la Finlandia nel match di qualificazione agli Europei, poi terminato 0-0, in quella che era una Juventus travestita da Nazionale a causa dell’alto numero di bianconeri in squadra.

La corazzata azzurra che salì sul tetto del mondo nel 1982 iniziò a materializzarsi proprio con l’arrivo di Bobby Gol in nazionale e grazie al rapporto che proprio Bettega instaurò con Enzo Bearzot. Legame indissolubile che permetteva al Vecio di divertirsi adattandolo nelle varie posizioni del campo e Penna Bianca che rispondeva sempre presente, divertendosi a rispondere a tutti quei cambiamenti che fecero maturare il gol, poi consegnato agli annali della storia del calcio, contro l’Inghilterra il 17 novembre del 1976: volo d’angelo e colpo di testa in tuffo a pallonetto che mise in ginocchio Clemence, spianando così le porte per il Mondiale in Argentina, l’unico, difatti, giocato da Bobby Gol.
Roberto Bettega e il mondiale che non fu
Quel mondiale la squadra girava, era ormai rodata, eppure faticava a trovare la via del gol e a concretizzare l’enorme mole di gioco prodotta, dovendosi così arrendere all’Olanda in semifinale e al Brasile nella finalina per il terzo e il quarto posto. L’occasione della vita per rifarsi ce l’aveva, o meglio, ce l’avrebbe avuta in occasione del Mondiale di Spagna del 1982, in cui a presentarsi era una squadra che sembrava una vera e propria corazzata e che ruotava proprio attorno a Bobby Gol, suo punto fisso. Ma quell’anno la sfortuna si mise di mezzo in una notte di Coppa Campioni del 17 dicembre 1981, quando un tremendo scontro contro il portiere dell’Anderlecht Muneron spezzò il sogno di Penna Bianca. E così, come nove anni prima, arrivò il terribile verdetto: distacco del legamento collaterale-mediale del ginocchio sinistro, stagioni finita.

Enzo Bearzot provò in tutti i modi ad aspettarlo, ma il recupero andava a rilento e Bettega non se la sentì di affrettare i tempi o rischiare di andare in Spagna per non giocare da protagonista e quando il Vecio gli propose di partire in qualità di uomo extra e uomo spogliatoio, Bobby Gol decise di declinare l’invito e rimanere a Torino per recuperare nel suo processo di riabilitazione. La mancata partenza per la Spagna fu una brutta botta un po’ per tutti, soprattutto per Bettega che vide svanire il sogno mondiale in occasione del ritorno dell’Italia sul tetto del mondo, ma la sua grande testardaggine e forza di volontà lo fecero tornare in Nazionale, scendendo nuovamente in campo e danzando il suo ultimo ballo nella trasferta di Bucarest contro la Romania il 16 aprile 1983 valida per la qualificazione ai campionati europei, gara dalla quale però l’Italia ne uscì malconcia e sconfitta. Quella fu l’ultima partita con la maglia azzurra con la quale, nonostante tutto, aveva collezionato 42 presenze e ben 19 reti, chiudendo un’avventura non senza rimpianti.
L’Estadio Roberto Bettega
Nonostante il rammarico per la mancata spedizione in Spagna in quella che fu l’armata Bearzot, Bettega lasciò un segno indelebile nella storia della Nazionale, non solo per quella azzurra ma anche per quella paraguaiana. Infatti Bobby Gol è stato protagonista inconsapevole di una storia che proviene dalla patria del calcio, il Sud America. Il presidente del Tacuary, squadra paraguaiana di Asunciòn, Francisco Ocampo, rimase ammaliato dalle gesta di Bettega in occasione del mondiale in Argentina del 1978, tanto che decise di intitolare lo stadio del club proprio al bomber torinese, nominandolo “Estadio Roberto Bettega”, un vero e proprio catino che fu la dimora della squadra dal 2002 al 2014.
Juventus, Roberto Bettega: la seconda vita da dirigente
Il ritiro dal mondo del calcio di Roberto Bettega fu graduale. Nel 1985, infatti, Bobby Gol diventò la prima voce tecnica della storia della televisione commentando la finale intercontinentale vinta ai rigori dalla sua Juventus contro l’Argentinos Juniors, affiancando il giornalista Giuseppe Albertini. Dopodiché iniziò a prestare la sua immagine per Canale 5, comparendo il sabato sera come opinionista dei risultati maturati in giornata, per poi diventare la seconda voce in Coppa dei Campioni affiancando Nando Martellini. Ulteriori apparizioni prima a Caccia 13, poi a Controcampo e quindi su Rete 4 e 7 Gold contribuirono a rendere più graduale l’allontanamento dalla scena del calcio, tanto che agli inizi degli anni ’90 diventò proprietario del McDonald’s di Piazza Castello a Torino, l’unico della catena di fast food presente all’epoca.

Roberto Bettega e lo scandalo Calciopoli
L’inizio della seconda vita di Roberto Bettega cominciò dopo un periodo lontano dalle telecamere. Dal ritiro dal calcio maturato al 1983 e dopo le apparizioni televisive, la ribalta goffmaniana di Bobby Gol arrivò nel 1994 quando, undici anni dopo l’ultima volta, Penna Bianca fece ritorno a casa sua, alla Juventus, questa volta però da dirigente. Lì ci rimase fino al 2006, quando lo scandalo Calciopoli fece breccia in una società il cui percorso sembrava potesse essere eterno. Bettega era l’anello finale della Triade composta con Luciano Moggi e Antonio Giraudo, ma lui, che alla ribalta preferiva un po’ di più il retroscena, rimase sempre un po’ più defilato, un po’ sulle sue, tanto che a ricordarsi sono più i silenzi piuttosto che le dichiarazioni.

La Triade rappresentò la fortuna della Vecchia Signora, che tra gli anni Novanta e Duemila segnò uno dei cicli più vincenti della storia del club e del calcio italiano. Nonostante la posizione un po’ marginale rispetto ai soci, Bettega si distinse in particolar modo come uomo mercato, agendo principalmente sul mercato estero dove, tra i tanti, scoprì un certo Zinedine Zidane, uno dei protagonisti principali della storia bianconera di quegli anni. Nello scandalo Calciopoli che colpì la Juventus nel 2006, lui, difatti, non fu mai coinvolto nè accusato o metto sotto processo dalla Giustizia Sportiva o da quella Ordinaria. Diventato negli anni vicepresidente del club bianconero, onde evitare d’infangare ancora di più l’immagine del club, già macchiata a causa della sua posizione rispetto alla Triade, fu costretto ad abdicare rispetto al suo ruolo, rimanendo nelle vesti di consulente di mercato nell’anno della Serie B 2006-2007, rimanendovi fino alla promozione dell’anno successivo, quando poi si dimise a causa dell’emendamento della procura torinese che lo aveva iscritto tra gli indagati di un’inchiesta inerente all’ipotesi di falso bilancio di Calciopoli.
Leggi anche: Juventus, la rimonta è possibile: Allegri rilancia il sogno scudetto
Assolto definitivamente ‘perché il fatto non sussiste’, dopo due anni di anonimato, il 23 dicembre 2009 Bettega tornò a far parte della dirigenza della Juventus con l’incarico di vicedirettore generale e responsabile dell’intera area sportiva, ovvero il numero due alle spalle del presidente Jean-Claude Blanc. Dopo appena 5 mesi dall’inizio di questa nuova esperienza, il neopresidente della Juventus Andrea Agnelli mise in atto un repulisti societario che coinvolse in prima persona Roberto Bettega che, senza aver conseguito alcuni risultato sportivo di rilievo, fu sostituito dal nuovo direttore generale Giuseppe Marotta, terminando definitivamente la sua esperienza con il club il 31 maggio 2010, ritirandosi definitivamente dalla scena mediatica e dando inizio alla sua terza vita.
Juventus, Roberto Bettega: la terza vita lontano dalle telecamere
L’inizio della terza vita di Roberto Bettega coincise con il suo ritiro dal mondo del calcio e dall’intero panorama calcistico. L’addio alla dirigenza della Juventus maturato il 31 maggio 2010 ha fatto sì che l’ex bomber bianconero scivolasse sempre più nell’ombra, lontano dalla scena e dai media, un po’ come era stata la sua carriera da direttore sportivo, ad eccezione di qualche apparizione come opinionista, sempre pronto a difendere le ragioni della sua fede e della sua juventinità, tornando nel retoscena goffmaniano che da sempre caratterizza la vita di Bettega.