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Una colonna portante della Juventus di Trapattoni, un componente inossidabile dell’Italia di Bearzot, un simbolo chiave del binario Ital-Juve. Antonio Cabrini è stato, e rimarrà, un grande protagonista nella storia del calcio italiano, facendo parte di quel periodo in cui la Penisola rasentava l’élite calcistica nel mondo. Un curriculum colmo di successi in territorio nazionale e fuori dai confini si fece spazio in una figura, capace di etichettarsi come unico nel suo ruolo durante gli anni ’70-’80. Già, perché nell’epoche delle arcigne e note colonne difensive, il nativo di Cremona interpretò il suo ruolo, quello di terzino sinistro, regalandogli una dinamica offensiva, difficilmente visibile in quel contesto. Un’interpretazione che passò alla storia e che gli permise di diventare uno dei calciatori italiani più importanti di sempre.

Dall’esordio nella sua città natale, all’approdo nel capoluogo piemontese
Cremona non fu solamente la sua città natale prediletta. bensì diventò anche il luogo nel quale fece il suo esordio nel calcio dei grandi. Alla tenera età di 16 anni, nella stagione 1973/74, Antonio Cabrini esordì nella Cremonese, collezionando 3 presenze in Serie C, che fecero da apripista per il suo futuro. Difatti un mix di potenza e velocità esaltavano il talento di un ragazzo in rampa di lancio, tenuto a diventare il titolare nella stagione successiva. Le prestazioni sopra la media attirarono la giusta attenzione di formazioni importanti, una su tutte la Juventus, che decise di acquisire il ragazzo, in compartecipazione con l’Atalanta, e visionarlo da vicino.

La militanza nelle giovanili della Cremonese: il cambio ruolo, il passo decisivo
Ci sono momenti pronti a cambiarti il destino, scelte che inizialmente sembrano sbagliate, per poi definirsi a lungo termine sensate e logiche. Sarà stato questo il pensiero avuto da Antonio Cabrini al termine della sua carriera, ripensando al suo passato nelle giovanili della Cremonese, quando il suo tecnico Nolli decise di arretrarlo di qualche metro, cambiandogli in sostanza il ruolo. “Quel giorno fu chiaro che il calcio cremonese ed italiano aveva perso una discreta ala, ma acquisì un promettente terzino sinistro“ dichiarò l’ex allenatore, che in maniera visionaria regalò anni di carriera eccellenti ad una delle sue scoperte più importanti.
La Serie B con l’Atalanta per conquistarsi la maglia della Juventus
Il detto “farsi le ossa” è un diktat poco affine all’attuale contesto del calcio italiano, il quale spinge verso una promozione definitiva dei talenti tricolori, seguendo le tracce dei campionati esteri. Tale fattore, però, fu espressione di meritevole importanza negli anni passati, laddove un periodo trascorso nelle serie inferiori, rappresentava un’ importante tappa di crescita. Questo fu il motivo principale che portò Antonio Cabrini, nella stagione 1975/76, ad indossare la maglia dell’Atalanta, e partecipare al campionato di Serie B. Il difensore fu conscio del fatto che lasciare il segno con la maglia orobica, gli sarebbe valsa automaticamente la promozione nella massima categoria, ma soprattutto l’approdo alla famigerata società Juventus. Fattore, questo, che lo spinse ad una grande annata, condita da 35 presenze ed una rete e il successivo riscatto da parte della società bianconera del suo cartellino.
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La conquista della corsia mancina: la titolarità nel club ed in Nazionale
Dopo aver stupito nelle categorie inferiori, avvenne il grande ed unico salto, quello che avrebbe definito gli standard della sua carriera: l’approdo alla Juventus. Le sole 19 primavere alle spalle, e le metodiche piuttosto dure utilizzate dall‘allenatore Giovanni Trapattoni, furono motivo di grande apprendimento del giovane Antonio Cabrini, che fece il suo esordio in una gara casalinga contro la Lazio e nel complesso terminò la sua prima annata bianconera, con all’attivo 7 presenze. Il primo anno gli permise di conquistare il suo primo scudetto, ma soprattutto il suo talento colpì l’allora CT della Nazionale Enzo Bearzot, che decise di scommettere sul ragazzo e di lanciarlo da assoluto titolare nei mondiale del 1978. Il torneo, che si concluse con un quarto posto per gli Azzurri, rilanciò le aspirazioni del terzino, che si conquistò meritatamente la palma di miglior giovane dell’edizione.

Gli anni ’80: la definitiva consacrazione
Nelle due stagioni successive il Bell’Antonio, ribattezzato così per la sua popolarità nel pubblico femminile, conquistò la fascia sinistra della Juventus di Trapattoni, scalando le gerarchie. Le prestazioni e la duttilità ribattezzata con i termini terzino-attaccante, in virtù delle sue propensioni di spinta offensiva, fecero sì che Cabrini diventò un punto di riferimento del binario Ital-Juve. In questo senso il nativo di Cremona andò ad aggiungere al suo curriculum, da assoluto protagonista, la Coppa Italia del 1979 e gli scudetti del 1980/81 e 1981/82, con all’attivo un compenso di ben 12 reti.

L’immensa gioia del mondiale tricolore dell’82’: il neo nella finale di Madrid
Nonostante una concorrenza importante certificata dalle prestazioni evidenti di Luciano Maragon e Sebastiano Nela, il CT Bearzot decise di affidare la corsia mancina difensiva ad Antonio Cabrini, nell’appuntamento chiave dei mondiale del 1982. La scelta fu ripagata fin da subito, quando il Fidanzato d’Italia, sempre per via del suo bell’aspetto, realizzò una rete di fondamentale importanza nel secondo turno contro i campioni in carica dell’Argentina. L’Italia proseguì sulle orme di un percorso graduale, ma netto che al contempo portò l’Armata Azzurra dritta verso la finale di Madrid.
Gli emozionanti successi contro l’Argentina, il Brasile e la vittoria contro la Polonia in semifinale, portarono la Nazionale italiana alla possibilità di cogliere la terza stella contro la Germania dell’Ovest. In una partita dai cuori forti, toccò allo stesso Antonio Cabrini la prima occasione per sbloccare la gara al 25′ minuto: un rigore plateale concesso all’Italia vide sul punto di battuta, appunto, il terzino sinistro, che però, dapprima infastidito da un giocatore avversario, poi da un petardo lanciato nelle vicinanze, calciò un rigore che venne facilmente parato dal portiere avversario Schumacher.
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L’errore che ancora ad oggi rasenta un record negativo, come l’unico penalty ad essere stato sbagliato in una finale mondiale durante i tempi regolamentari, fu per fortuna della nazionale ininfluente circa il risultato finale. Le reti di Rossi, Tardelli e Altobelli permisero all’Italia di diventare campione del Mondo, e di aggiungere con estremo orgoglio la terza stella sul petto.

Cabrini, l’elemento di una storica linea difensiva
La gioia per un Mondiale tricolore non fu di certo l’ultimo trofeo in carriera per un Cabrini che continuò a comporre solidamente e con ottimi risultati la linea difensiva della Juventus. Quella difesa diventerà nel tempo un reparto da ricordare, proprio per via dei risultati che gli stessi calciatori riuscirono ad ottenere. Difatti, negli anni a seguire la vincita di altri due campionati italiani, sommati alla conquista della Coppa Campioni, della Supercoppa Uefa e della Coppa Intercontinentale fecero sì che il Bell’Antonio, insieme al compagno di reparto Gaetano Scirea, furono gli unici due a portare a casa tutte le competizioni internazionali per club e a cogliere questo traguardo.

Il Fidanzato d’Italia continuò il suo percorso all’interno della Juventus fino alla stagione 1988/89, chiudendo da capitano della formazione bianconera. Dopo 13 stagioni decise di concludere la sua carriera con la maglia del Bologna, per via di alcune divergenze di natura tattica convissute con il tecnico Zoff, il quale decise di schierarlo da mediano. Quella posizione occupata dal giovane Marocchi, non fu di rilievo per Cabrini, il quale cambiò aria e lasciò definitivamente l’ambiente juventino.

In Emilia disputerà due stagioni di buon valore, prima di appendere gli scarpini al chiodo nel 1991. Nell’estate del 2011 entrò a far parte della Hall of Fame storica della Juventus, a cui fu attribuita una delle stelle presenti allo Stadium.