- Continua a leggere sotto -
Barcellona, lunedì 5 luglio 1982, ore 17:40; l’impianto dell’Estadio de Sarriá è un catino ribollente di tifo, speranza e imprecazioni. Sul terreno di gioco si stanno affrontando nell’ultima partita del gruppo C di qualificazione alle semifinali della Coppa del Mondo di calcio di Spagna ’82 l’Italia del redivivo Paolo Rossi e del Vecio Bearzot, reduce dall’inaspettata vittoria per 2-1 contro l’Argentina di Maradona, e il favoritissimo Brasile di Zico, Falcão e Sócrates. L’Italia, al 34° del primo tempo, sta conducendo per 2-1 grazie a una doppietta di Pablito a vanificare il momentaneo pareggio proprio di Sócrates, ma si trova costretta a un cambio: il difensore Fulvio Collovati è impossibilitato a proseguire il match a causa di un infortunio alla caviglia sinistra.

Nei pressi della panchina azzurra il diciottenne sostituto, dall’aspetto molto più attempato a causa del grosso paio di baffi che lo contraddistingue, fatica a causa dell’emozione ad allacciarsi gli scarpini da calcio prima di entrare in campo: il suo nome è Giuseppe Bergomi, ma per tutti lui è Beppe, lo Zio. “Ragazzo, scaldati“, gli ha detto poco prima il Vecio Bearzot: poche parole per suggellare il debutto con la maglia della Nazionale in un Mondiale, per un giocatore che avrebbe scritto pagine fondamentali del calcio italiano e non solo, riuscendo a entrare nell’immaginario degli appassionati ben oltre la ristretta cerchia del suo club di appartenenza, i nerazzurri dell’Inter. Una storia che avrebbe potuto prendere una piega molto diversa, nelle sue fasi iniziali.
- Continua a leggere sotto -

Giuseppe Raffaele Bergomi: l’infanzia rossonera dello Zio nerazzurro
Giuseppe Raffaele Bergomi nasce a Settala, piccola cittadina di meno di 8.000 anime a 15 km da Milano, il 22 dicembre del 1963. Il piccolo Giuseppe si appassiona ben presto al calcio, iniziando da giovanissimo a a calpestare il terreno di gioco con le squadre giovanili della Settalese dove si fa notare per le sue doti non solo da difensore, suo ruolo naturale, ma anche per la sua presenza e incisività in zona gol, finendo spesso per ascrivere il suo nome al tabellino dei marcatori. Il giovane Bergomi si distingue anche per la sua incrollabile fede milanista, tramandatagli dalla famiglia: sono gli anni del Milan di Rivera Pallone d’Oro e delle coppe internazionali, e Beppe sogna la maglia rossonera.

L’occasione tanto attesa, dopo anni passati a far parlare di se sui campetti dell’hinterland milanese dove sfoga la sua passione alternandola ai momenti in cui aiuta i genitori Franca e Giovanni lavorando alla pompa di benzina e autonoleggio di famiglia, arriva per Beppe all’età di undici anni: Giulio Trezzi, osservatore del Milan, lo convoca per un provino con la prospettiva di entrare nelle giovanili del Diavolo, sebbene Bergomi non abbia ancora raggiunto i dodici anni di età necessari per poter essere schierato in campo. Il provino va bene e, per tre mesi, Beppe si allena con i rossoneri. Al momento di iniziare a disputare i primi tornei, però, la doccia fredda: in seguito alle visite mediche di rito, gli vengono riscontrati reumatismi nel sangue. Il giovane Bergomi viene così rispedito a casa per curarsi, con la promessa di risentirsi a guarigione completata.
- Continua a leggere sotto -
Leggi anche: Inter, è scontro con Digitalbits: all’appello mancano diversi pagamenti
Beppe non si perde d’animo, e una volta rimessosi torna a giocare con i suoi amici nella Settalese. Nel frattempo, abituato a dover giocare contro giocatori anagraficamente più grandi di lui, per dare un’immagine più adulta e minacciosa si è fatto crescere due baffoni i quali, uniti a due ciglia foltissime, lo fanno sembrare molto più vecchio di quanto in realtà lui sia. Appena dodicenne, Bergomi è talmente più forte dei suoi avversari da inanellare due stagioni con la Settalese in cui, da difensore, va in rete rispettivamente 24 e 30 volte, giocando il sabato con i Giovanissimi e la domenica con gli Allievi e attirando l’attenzione di moltissimi club prestigiosi fra i quali di nuovo il Milan, ma anche la Juventus e, soprattutto, l’Inter.

1977, l’anno della svolta: Bergomi approda all’Inter
È il signor Buffi da Crema, fidato collaboratore di quel Sandro Mazzola che proprio nel 1977 ha dato il suo addio al calcio giocato per iniziare la sua carriera da dirigente fra le fila del Biscione, a proporre alla giovane promessa della Settalese un provino, da tenersi il 1° settembre del 1977: Bergomi non se lo fa dire due volte, e, passato senza patemi e senza complicazioni di sorta il provino, passa dalla Settalese all’Inter per tre milioni di lire più cinque milioni in caso di prosecuzione proficua della sua carriera fra le fila delle giovanili nerazzurre. Vicino di sedile sul pullman che lo porta al provino, un certo Riccardo Ferri: segno del destino.

Sono anni in cui il baffuto giovane del Biscione è obbligato a girare i campi con gli Allievi dell’Inter portandosi sempre appresso il documento di identità: l’allenatore di quella formazione giovanile nerazzurra, Arcadio Venturi, è infatti costretto ogni singola domenica a esibire un qualunque documento che attesti l’effettiva età del povero Beppe, sospettato dagli avversari di essere molto più vecchio di quanto dichiarato; avversari che rimangono spesso titubanti anche di fronte ai documenti del giovane, insinuando il dubbio che l’Inter punti ad avvantaggiarsi schierando in campo effettivamente lo zio di uno dei giocatori. Insinuazioni esilaranti quanto, ovviamente, totalmente infondate.
- Continua a leggere sotto -

Su una cosa però gli avversari di quella formazione Allievi dell’Inter hanno ragione: Bergomi dimostra una maturità decisamente sopra la media per un giovane della sua età; una peculiarità che, unita alle sue indiscusse doti tecniche e atletiche, gli consente di bruciare le tappe della sua carriera, arrivando in soli due anni a vestire anche la maglia della nazionale italiana Juniores. Ed è proprio mentre si appresta a disputare con la maglia degli azzurrini la finale dell’Europeo Juniores a Lipsia che la vita lo mette di fronte a un tragico avvenimento che lo costringerà a crescere ancora più in fretta: appena giunto nella città tedesca, infatti, Bergomi riceve una telefonata dalla madre che lo informa che il padre è morto; un durissimo colpo per la giovane promessa del calcio italiano, che fa subito le valigie e rientra nella sua Settala per ricongiungersi alla sua famiglia.

Beppe Bergomi 1979/1981: Eugenio Bersellini e l’approdo in Prima squadra
Il lutto familiare, pur foriero di lunghi strascichi nei pensieri del giovane Bergomi, non ne frena l’ascesa calcistica; le ottime prestazioni nelle formazioni giovanili spingono l’allora tecnico della Prima squadra dell’Inter, Eugenio Bersellini, ad aggregarlo al suo gruppo nel corso della stagione 1979/80, per poi farlo esordire allo stadio Comunale di Torino in Coppa Italia il 30 gennaio 1980 nella partita di ritorno dei quarti di finale contro la Juventus. In quel momento, Bergomi ha 16 anni, un mese e otto giorni. Lo 0-0 finale condanna l’Inter all’eliminazione dopo 1-2 interno subito nella gara di andata, ma l’incontro segna comunque un momento importante della vita di Beppe, ormai ufficialmente rinominato Zio dopo uno scambio di battute con il mediano nerazzurro Gianpiero Marini negli spogliatoio del Biscione.

“Quanti anni hai, ragazzo?”
“Ne ho 16“.
“16? Ma se sembri mio zio!“
Questo il dialogo che battezza Bergomi col soprannome che gli resterà cucito addosso ben oltre la fine della sua carriera calcistica. Nel frattempo la giovane promessa continua a inanellare prestazioni importanti, e nel novembre del 1980 conquista il Torneo di Montecarlo con la maglia della nazionale italiana Juniores U18. Bergomi appare ormai pronto al debutto nel massimo campionato, dove Bersellini lo fa infine esordire da subentrante al posto dell’infortunato Oriali il 22 febbraio 1981, all’età di 17 anni e due mesi esatti, nella vittoriosa gara interna dell’Inter contro il Como terminata col risultato di 2-1 grazie alle reti di Ambu e Prohaska per i nerazzurri e di Gobbo per gli ospiti.

La certificazione definitiva della fiducia che Bersellini, insieme a tutta l’Inter, ripongono nel loro nuovo astro nascente arriva il 4 marzo del 1981, quando il giovane Bergomi fa il suo esordio in Coppa dei Campioni nella partita casalinga valida per l’andata dei quarti di finale che l’Inter pareggia per 1-1 contro gli jugoslavi della Stella Rossa con reti di Caso e Repčić, punteggio che, unitamente allo 0-1 strappato nella gara di ritorno con rete di Muraro, consente all’Inter di accedere alla semifinale nella quale verrà poi eliminata dal Real Madrid. La marcatura impeccabile con la quale Bergomi disinnesca Petrović, da più parti definito il Rivera jugoslavo, non passa però in osservata: il Biscione assiste compiaciuto all’ascesa di un calciatore che dei suoi colori sarebbe diventato nel tempo capitano e bandiera .
- Continua a leggere sotto -

Stagione 1981-1982: Bergomi, l’Inter e la Nazionale di Bearzot
Le ottime prestazioni di Bergomi nella stagione 1980/81 gli spalancano spesso le porte della titolarità nel corso di una stagione che, anche per il suo strascico mondiale, si rivelerà fondamentale per la sua carriera da calciatore. In quella che sarà poi ricordata come l’ultima stagione di Eugenio Bersellini sulla panchina nerazzurra, conclusa con un deludente quinto posto in campionato e un’ancor più deludente eliminazione ai sedicesimi di finale di Coppa Uefa per mano dei rumeni della Dinamo Bucarest, ma coronata dalla conquista della Coppa Italia nella doppia sfida col Torino di Giacomini, Bergomi si toglie più di qualche sfizio personale.
Il 6 settembre 1981, infatti, per lo Zio arriva la prima rete da professionista, ed è un gol emblematico: Bergomi va infatti a segno con un tiro di sinistro di prima intenzione su azione successiva a calcio d’angolo al minuto 89 della sfida valida per l’ultima giornata della fase a gironi della Coppa Italia 1981/82 contro i cugini del Milan; è il gol del 2-2, quello che condanna il Diavolo all’eliminazione dalla competizione e che Bergomi festeggia abbracciando con riconoscenza Bersellini. La prima rete in campionato arriva invece il 10 gennaio 1982 nella partita casalinga vinta per 2-1 dall’Inter sul Bologna, quando lo Zio incorna in modo vincente un corner dalla destra battuto da Prohaska al 34′ del primo tempo sbloccando una partita poi messa in cassaforte da Altobelli al 76′ e inutilmente riaperta dal bolognese Fiorini al 79′.
Leggi anche: Italia, la figlia Cinzia su Enzo Bearzot: “Era indifferente alla popolarità”
Le prestazioni convincenti della nuova stella dell’Inter non passano inosservate al tecnico della Nazionale maggiore italiana Enzo Bearzot, che lo fa esordire con la maglia dell’Italia nella partita amichevole del 14 aprile 1982 contro la Germania Est persa dall’Italia per 1-0. Bergomi disputa gli ultimi 20 minuti del match, lasciando al Vecio l’impressione di avere a disposizione un giocatore che potrebbe tornargli molto utile, tanto da inserirlo nella lista dei 22 convocati per il Mondiale di Spagna 82. Bergomi vive la fase a gironi e la prima partita del gironcino all’italiana per l’accesso alle semifinali contro l’Argentina dalla panchina, salvo poi prendersi il proscenio nella leggendaria partita vinta dall’Italia per 3-2 contro il Brasile in seguito alla già citata sostituzione di Collovati.

La splendida marcatura attuata nei confronti del temuto Serginho, con l’unica pecca costituita dall’impercettibile quanto determinante, a detta del portiere italiano Zoff, deviazione in occasione della rete del momentaneo pareggio brasiliano messo a segno da Falcão al 68′ minuto, poi vanificata dal 3-2 definitivo di Paolo Rossi, non sembrano garantirgli una maglia da titolare anche per la successiva sfida di semifinale con la Polonia, nonostante la squalifica per somma di cartellini gialli di Gentile: Bearzot infatti, data la concomitante squalifica del pericolo numero uno della Nazionale polacca Boniek, non ritiene necessario schierare una difesa eccessivamente folta contro una Polonia che si sarebbe verosimilmente schierata in campo con una sola punta; l’intercessione di Zoff, che vede il calciatore particolarmente on fire, gli vale però una maglia da titolare anche per quella sfida, che l’Italia vince per 2-0 con una doppietta dell’indiavolato Rossi e con Bergomi, assoluto padrone della sua zona di campo.

Anche Bearzot si rende conto del momento di assoluta grazia in cui si trova il giovane Beppe. Decide di schierarlo titolare al posto dello squalificato Antognoni anche nella finalissima contro la Germania Ovest dell’11 luglio, dove Bergomi non solo si ricopre di gloria grazie alla conquista della Coppa del Mondo certificata dal 3-1 finale, ma si toglie anche due sfizi niente male: quello di annullare dal campo il temuto futuro compagno di squadra Rummenigge e quello di contribuire insieme a Scirea alla rete del 2-0 siglata da Tardelli al 69′ minuto, entrando così nell’azione di uno dei gol più leggendari della storia della Nazionale italiana, se non il più leggendario in assoluto alla pari col gol decisivo di Rivera nella celebre Italia–Germania Ovest 4-3 di Messico ’70. A 18 anni e 202 giorni, Bergomi diventa il secondo giocatore al mondo più giovane a vincere un Campionato del Mondo alle spalle del brasiliano Pelé, che lo aveva vinto nel 1958 in Svezia all’età di 17 anni e 249 giorni.

Bergomi 1982-1988: Pacione, Zenga e l’arrivo di Trapattoni
Il quadriennio successivo al trionfo di Spagna ’82 è un periodo di grande affermazione personale per lo Zio, ormai privo dei leggendari baffi, ma non lo è altrettanto ne per l‘Inter ne per la Nazionale italiana. L’Italia manca infatti la qualificazione agli Europei di Francia del 1984 e vede la spedizione ai Mondiali di Messico 1986 terminare con la deludente eliminazione agli ottavi di finale per mano della Francia di Platini, mentre l’Inter, affidata negli anni ai tecnici Marchesi, Radice, Castagner e anche Mario Corso nell’ultima parte della stagione 1985/86, non riesce ad andare oltre i due terzi posti nei campionati 1982/83 e 1984/85, raccogliendo magre figure anche in Europa, ambito in cui l’apice si concretizza nelle due eliminazioni consecutive in Coppa Uefa, entrambe per mano del Real Madrid, nelle edizioni del 1984/85 e del 1985/86.

Sono anni turbolenti per lo Zio, contrassegnati nel biennio 1983/84 anche da un paio episodi tanto clamorosi quanto inconsueti per l’immagine di un calciatore la cui carriera viene ricordata per l’assoluta correttezza in campo, a fronte delle ben 12 espulsioni subite in carriera, 11 con l’Inter e una con la Nazionale. Passano infatti agli annali la sua scenata a Udine nei confronti di un guardalinee e soprattutto il colpo proibito rifilato all’attaccante veronese Marco Pacione immortalato dalla moviola di Carlo Sassi; a passare per un calciatore scorretto, però, Bergomi non ci sta, e si sfoga ai microfoni RAI: “Pacione viene fatto passare come un martire, ma vorrei farvi vedere i lividi che le sue gomitate mi hanno lasciato addosso. Ho sbagliato, lo ammetto, ma perché non si fanno vedere anche le provocazioni che ho subito?”. Momenti di nervosismo e relative conseguenze dalle quali Beppe impara molto per il prosieguo del suo percorso calcistico.
Leggi anche: Dal monologo Strunz a “Mai dire gatto se non… Buon compleanno Trapattoni
Nella stagione 1985/86 Bergomi mette a referto una stagione clamorosa con 46 presenze e 5 reti, andando a formare insieme al portiere dell’Inter Walter Zenga e al difensore Riccardo Ferri, arrivati entrambi alla titolarità nella stagione 1983/84, un terzetto fondamentale per la costruzione della formidabile Beneamata di Trapattoni, che approda clamorosamente sulla panchina del Biscione nella stagione 1986/87 con l’Intento dichiarato di permettere ai nerazzurri di interrompere il dominio degli eterni nemici della Juventus proprio da lui allenati in quello che è passato alla storia come il Decennio D’Oro della Vecchia Signora; un dominio materializzatosi con la vittoria di ben quattro scudetti su sei negli anni ’80, compreso quello della seconda stella arrivato al termine della stagione 1981/82.

La prima stagione di Trapattoni all’Inter è una stagione di rodaggio: nata sotto buoni auspici grazie all’arrivo di un pezzo da novanta per la difesa nella persona dell’argentino Daniel Passarella e a una coppia gol d’eccezione in attacco come quella composta da Altobelli e Rummenigge, autori rispettivamente di 19 e 18 reti nel campionato precedente sempre fra le fila dei nerazzurri, l’Inter paga proprio gli infortuni del Kalle tedesco, terminando il campionato al terzo posto alle spalle di Napoli e Juventus e raccogliendo amarezze anche in Coppa Italia, dalla quale viene estromessa dalla Cremonese ai quarti di finale, e in Coppa Uefa, dove viene eliminata sempre ai quarti di finale dal Göteborg. Bergomi e i suoi compagni masticano amaro, e lo fanno anche nella stagione 1987/88, stagione in cui lo Zio archivia anche la delusione dell’eliminazione con la maglia dell’Italia in semifinale agli Europei di Germania Ovest del 1988 per mano dell’Unione Sovietica; ma la gloria è dietro l’angolo.

1988-1991, estasi e caduta dello Zio Bergomi: lo scudetto dei record, le Notti Magiche e lo schiaffo a Pedersen
La sessione estiva del calciomercato 1988 porta in dote all’Inter, oltre all’addio di Altobelli a causa dei suoi attriti con Trapattoni, due calciatori che risulteranno fondamentali per la svolta in casa nerazzurra: dal Bayern Monaco arrivano infatti il difensore Andreas Brehme e soprattutto il centrocampista Lothar Matthäus. Di lui Bergomi dirà: “Nel nostro gruppo avevamo cinque o sei nazionali, ma ci mancava il grande campione: quel campione fu Lothar Matthäus. Fu lui il trascinatore di quella squadra straordinaria“. Quello conquistato al termine della strepitosa stagione 1988/89 resterà infatti negli annali dell’Inter come lo Scudetto dei Record, contrassegnato da numeri da capogiro.

I 58 punti finali con i quali l’Inter trionfa al termine della stagione davanti al Napoli sono infatti il punteggio più alto mai realizzato da una squadra per quanto riguarda la Serie A a 18 squadre con la regola dei 2 punti a vittoria; un primato cui va aggiunto quello del maggior numero di vittorie, 26 su 34 partite, e delle reti realizzate, ben 67, con Aldo Serena capocannoniere con 22 reti davanti a un certo Marco Van Basten, secondo con 19. Bergomi è il terzino destro e spesso capitano di quella squadra leggendaria per i colori nerazzurri in un reparto completato da Brehme, Mandorlini e Ferri con capitan Beppe Baresi che gioca spesso da subentrante, partecipando così in modo fattivo alla conquista del primato per il minor numero dei gol subiti in un campionato, solamente 19, contribuendo inoltre a chiudere a doppia mandata la porta di Zenga nel 6-0 sul campo del Bologna del 21 maggio 1989, sigillando il successo in trasferta più ampio della storia dell’Inter fino a quel momento.

Il Trap, in quella magica stagione, si toglie anche lo sfizio di raggiungere due leggende interiste come Cargnelli e Herrera, eguagliando la striscia di otto vittorie consecutive da essi realizzata sulla panchina del Biscione nelle stagioni 1939/40 e 1964/65, arricchendo poi la bacheca dell’Inter con la Supercoppa Italiana 1989 e la prima Coppa Uefa di sempre nella storia dei nerazzurri nel 1991, senza però riuscire più a trovare l’acuto in campionato. Sono anni strepitosi per Bergomi, presenza inamovibile e capitano de facto in quegli anni di grandi soddisfazioni per i nerazzurri, nonché capitano ufficiale della Nazionale italiana che, nelle Notti Magiche dei Mondiali di Italia ’90, fa sognare un intero Paese prima di arenarsi nella sportivamente tragica sera del 3 luglio quando, complice un errore di Walter Zenga, l’Italia pareggia per 1-1 la semifinale contro l’Argentina di Maradona, finendo poi per essere eliminata ai rigori.
Leggi anche: Accadde oggi: 32 anni da Italia ’90, ricordando le Notti Magiche
Bergomi vive un Mondiale da assoluto protagonista, complice anche l’alta considerazione nei suoi confronti da parte del tecnico Azeglio Vicini fin dalla storica doppietta messa a segno dallo Zio ai tempi del suo esordio sulla panchina azzurra avvenuto l’8 ottobre 1986; gioca ogni singolo minuto di quella competizione, garantendo un livello prestazionale altissimo e onorando nel miglior modo possibile la fascia da capitano che porta al braccio; ma la svolta è dietro l’angolo.

Il 5 giugno 1991, nel corso della gara Norvegia–Italia, valida per le disastrose, per gli azzurri, qualificazioni agli Europei di Svezia 1992, persa poi dall’Italia per 2-1, Bergomi subentra a Ferri al 90′ minuto e dopo pochi secondi si fa espellere per uno schiaffetto al norvegese Pedersen, reo di averlo provocato, finendo poi per accapigliarsi anche con l’attaccante Sørloth. La lunga squalifica di ben 6 giornate comminatagli dalla UEFA e l’arrivo sulla panchina italiana di Arrigo Sacchi, che sembra non considerarlo un elemento necessario alla sua Nazionale, terranno Bergomi lontano dalla maglia azzurra per anni, Mondiali di USA ’94 compresi; ma la sua storia con l’Italia non era ancora giunta al capolinea.

Beppe Bergomi 1991-1999: la fascia di capitano, il record in Coppa Uefa,il ritorno in Nazionale e il ritiro
Gli anni 90 sono anni di vacche magre per l’Inter per quanto riguarda la Serie A: il Biscione, infatti, nonostante il passaggio di presidenza da Ernesto Pellegrini a Massimo Moratti nel 1995 e gli ingenti capitali investiti da quest’ultimo nel rafforzamento della squadra culminati con l’acquisto del Fenomeno Luis Nazario da Lima, in arte Ronaldo, nel 1997, non fa registrare alcuno scudetto durante l’ultimo decennio del ventesimo secolo. Sono comunque anni importanti per Beppe Bergomi, che nella stagione 1992/93 eredita ufficialmente la fascia di capitano da Beppe Baresi, passato al Modena, apprestandosi a vivere notti europee da record.

Grazie ai trionfi in Coppa Uefa nella stagioni 1993/94 e 1997/98, infatti, oltre ad aggiungere da capitano due importanti trofei alla bacheca dell’Inter, Bergomi ascrive il suo nome nell’albo dei record della Coppa Uefa realizzando il più alto numero di presenze di sempre nella competizione, ben 96, ennesimo primato di una carriera straordinaria cui arriva a suggello la pace fatta con la maglia dell’Italia: il rendimento costante mantenuto da Beppe a dispetto di un’età fattasi ormai importante, favorito anche dallo spostamento tattico in posizione di libero voluta dal tecnico interista Gigi Simoni, gli vale infatti la convocazione da parte del tecnico azzurro Cesare Maldini per i Mondiali di Francia 1998 al posto dell’infortunato Ciro Ferrara.

Bergomi vive dalla panchina le prime due partite del girone contro Cile, 2-2, e Camerun, 3-0 in favore dell’Italia, entrando in campo invece nella vittoriosa terza partita del girone contro l’Austria, terminata col risultato di 2-1 a favore degli azzurri, in sostituzione dell’infortunato Alessandro Nesta. Lo Zio mantiene la titolarità anche nell’ottavo di finale vinto per 1-0 dall’Italia contro la Norvegia e nel quarto di finale perso dagli azzurri ai rigori contro i padroni di casa della Francia dopo che i tempi supplementari erano finiti a reti inviolate. Si tratta dell’ultima partita di Bergomi con la maglia dell’Italia, che chiude così la sua esperienza in nazionale con 81 presenze, 6 reti e la partecipazione a ben quattro edizioni della massima competizione mondiale per Nazionali, mentre per quanto riguarda gli Europei Beppe si deve accontentare della partecipazione a una sola edizione, quella di Germania Ovest 1988.

Il 23 maggio 1999 arriva per Bergomi anche l’addio al calcio giocato, sebbene ai tempi non ancora certificato; l’ultima presenza vissuta indossando la maglia e la fascia da capitano della sua amata Inter si materializza per lo Zio nell’ultima giornata del deludente campionato 1998/99, più precisamente nella partita casalinga contro il Bologna vinta dai nerazzurri col risultato di 3-1. Bergomi lascia il calcio dopo aver messo a referto 757 presenze e 28 gol con la maglia dell’Inter, record poi battuto solamente da un’altra leggenda nerazzurra come Javier Zanetti con 858 presenze; di queste 757 presenze, 519 sono quelle messe a referto da Bergomi in Serie A, 117 nelle coppe europee e 119 in Coppa Italia, cui vanno aggiunte le due presenze, una per competizione, nella Supercoppa Italiana 1989 e nel Torneo di Capodanno 1980/81. Ben 44 le presenze nel derby di Milano, per un calciatore che ha fatto della maglia dell’Inter la propria bandiera, e viceversa.

Successivamente al ritiro, Bergomi si divide fra i suoi impegni come stimato commentatore tecnico prima per Tele+ e poi per Sky, con la quale testimonia insieme al compagno di telecronache Fabio Caressa il trionfo dell’Italia ai Mondiali di Germania 2006, e la sua carriera di allenatore di varie selezioni giovanili di Inter, Monza e Atalanta, vedendo la sua carriera da calciatore suggellata dall’introduzione nel 2004 nella graduatoria FIFA 100 comprendente i 125 calciatori viventi più forti al mondo, nel 2016 nella Hall of Fame del calcio italiano e nel 2020 nella Hall of Fame dell’Inter. C’è però un cruccio nella vita dello Zio più famoso del calcio italiano: “Nella mia vita sono dovuto maturare in fretta; ho perso mio padre all’età di 16 anni e ho dovuto trasformare al più presto il calcio nel mio futuro. L’unico mio rimpianto è che lui non abbia fatto in tempo a vedermi campione del mondo. Ma a sedici anni chi ci pensava?“. Parole quanto mai rivelatrici di un uomo e di un calciatore che ha sempre fatto dei suoi principi e dei suoi valori la base fondante del proprio cammino.