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Footballnews24.it > Interfan > Le leggende dell’Inter: Lothar Matthäus, il braccio armato del Trap
InterInterfan

Le leggende dell’Inter: Lothar Matthäus, il braccio armato del Trap

Il quadriennio all'Inter di Lothar Matthäus, uomo simbolo della squadra che con Trapattoni conquistò lo Scudetto dei Record nel 1989

Angelo Rocca
Angelo Rocca  - Autore 1 mese fa
Aggiornato 2022/06/05 at 6:21 PM
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15 Min di lettura
Lothar Matthäus , ex campione dell'Inter
Lothar Matthäus , ex campione dell'Inter
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Indice
Sturm und DrangInter da recordSul tetto del mondoIl numero unoLa dolorosa separazioneMatthäus e il Trap, gli ingredienti del successo

È il 1988. Il Milan ha appena conquistato il primo campionato dell’era Berlusconi e prepara l’assalto all’Europa e al Mondo. Sull’altra sponda del Naviglio, invece, ci sono pochi motivi per sognare. Dopo due anni di vacche magre all’Inter, Giovanni Trapattoni va dal presidente Ernesto Pellegrini per fare il punto sul futuro nerazzurro e per parlare dei correttivi da apportare alla squadra. Il tecnico, abituato alle sfarzose stagioni juventine, sa che il salto di qualità auspicato dal numero uno del club non arriverà senza un campione vero. E gli fa un nome e un cognome: Lothar Matthäus. “Questo non è Pelé, Platini o Maradona, ma per me è più importante. Ci farà vincere”.

Richiesta esaudita. Pellegrini versa 5.6 miliardi nelle casse del Bayern Monaco e accontenta il Trap, di cui si fida ciecamente perché conosce la ricetta della vittoria. Il centrocampista tedesco, realizzando la previsione dello scafato timoniere di Cusano Milanino, si rivelerà la chiave dello Scudetto dei Record, quello dei 58 punti (su 68 disponibili) di fronte alla concorrenza dei cugini rossoneri guidati da Sacchi e del Napoli di sua maestà Maradona. Con l’Inter è un colpo di fulmine, Lothar intuisce al volo cosa ci si aspetta da lui: che si carichi la squadra sulle spalle. Ma lui non ha paura di prendersi responsabilità notevoli, nonostante sia appena arrivato nel campionato abitato dai più celebri fuoriclasse.

Lothar Matthaus
Lothar Matthaus

È il condottiero presente in ogni zona del campo, in ogni momento della partita. Sul pallone pesante, rigore o punizione che sia, c’è lui. In fase difensiva, a richiamare e a dare una mano, c’è lui. E se qualche mossa dell’allenatore non gli va a genio, lo fa presente senza timori. Matthäus tratta alla pari con Trapattoni, gli dice quello che pensa a viso aperto, senza inganni, e basta uno sguardo perché il braccio e la mente si intendano. “Una volta convinto – ricorda il Trap – entrava in campo e i suoi occhi scintillavano come quelli di una belva. Era generoso, un leader con quattro palle e un destro di inaudita potenza”.

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Sturm und Drang

Lothar è il fiore all’occhiello della campagna acquisti con cui l’Inter si rifà il look per la stagione ’88-’89: insieme a lui, arrivano Berti, Bianchi, Diaz e Brehme; salutano, invece, il senatore Altobelli, Passarella e Scifo. Da subito, anche in allenamento, il tedesco trasmette una carica agonistica e carismatica sconosciuta ai compagni. Impressiona veterani come Bergomi – “era il nostro leader assoluto, non aveva paura di nulla” – e nuovi arrivati come Bianchi – “mai visto nessuno con la sua progressione e col suo destro”. E il Trap, uomo di fiuto, gli consegna la maglia numero 10, quella dei grandi.

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Anche se non è proprio un 10; o meglio, non solo. Il suo calcio ingloba la tenacia di un 4, le incursioni di un 8 e l’aura del 10, il giocatore a cui affidare le palle che scottano. Un centrocampista tuttofare, insomma, dotato di acume tattico e di straripante potenza. Matthäus è lo Sturm und Drang, un ponte tra illuminismo e romanticismo calcistico. Il tedesco debutta alla Scala del Calcio alla seconda di campionato, nella gara contro il Pisa vinta 4-1, e non manca di timbrare il cartellino: il quarto centro è suo.

L’Inter si arrampica in vetta, badando poco alle critiche per un gioco giudicato troppo attendista. Trapattoni ha contropiedisti di prim’ordine, capaci di accelerazioni in grado di mettere al tappeto chiunque, e asseconda le inclinazioni della sua squadra. Presto, però, arriva l’inconveniente che può guastare i piani dei nerazzurri. In Coppa Uefa, infatti, Lothar esce per mano dei suoi ex compagni del Bayern, che annullano l’ottimo 2-0 raccolto dalla Beneamata all’Olympiastadion di Monaco.

Lothar Matthaus 1989
Lothar Matthaus 1989

Inter da record

Si scorge il pericolo deragliamento, ma il treno del Trap si rimette immediatamente sul giusto binario, battendo di misura il Milan nel derby di fine ‘88. E a marzo, l’Inter dà un altro colpo di acceleratore al suo campionato con la vittoria all’Olimpico sulla Roma, in cui Matthäus mette lo zampino con un gol e un assist per l’ariete Serena. Il dieci interista ha una marcia in più: è infallibile dal dischetto, terrorizza i portieri con i suoi tuonanti tiri dalla distanza ed è capace di prodezze assolute. Come quella mostrata nel match col Como dell’aprile ’89, quando si sbarazza di un avversario sterzando sul destro e scaglia un bolide che va a morire all’incrocio dei pali.

La Beneamata è la proiezione del suo strapotere, una squadra schiacciasassi che lascia le briciole al Napoli, unica insidia reale al dominio degli uomini di Trapattoni. Allo scontro diretto con Maradona, la capolista si presenta forte di 7 punti di vantaggio: una vittoria significherebbe tredicesimo titolo. Careca prova a rovinare la festa di San Siro con un prodigioso destro da fuori, che porta in vantaggio i partenopei. Ma i padroni di casa incassano il colpo senza fare una piega e ristabiliscono la parità grazie a Berti. L’1-1 sarebbe sufficiente per tagliare il traguardo in testa; Lothar, però, non è tipo da accontentarsi ed esorta i suoi ad assaltare gli azzurri, contravvenendo alla prudenza del Trap, scatenato in panchina.

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A pochi minuti dal 90’, il direttore di gara fischia un fallo dalla lunetta, in posizione favorevole per il destro dinamitardo del centrocampista tedesco. Che prende la mira e spara all’angolino un proiettile inavvicinabile per l’estremo difensore avversario. È il gol scudetto. Nove anni dopo l’ultimo titolo, l’Inter torna a cucirsi il tricolore sul petto al termine di una corsa forsennata come quelle che eccitano Lothar, fan della velocità. È lui, il tedesco voluto dall’allenatore per aumentare la cilindrata del motore interista, l’uomo copertina del campionato 1988-89.

Trapattoni e i tedeschi dell'Inter
Trapattoni e i tedeschi dell’Inter

Sul tetto del mondo

Nell’estate 1989, ad arricchire la colonia tedesca dell’Inter arriva Jurgen Klinsmann, pilastro della Mannschaft. L’innesto dell’attaccante, però, cozza con le esigenze del capocannoniere in carica Aldo Serena, orfano del partner ideale Diaz. Le due punte si pestano un po’ i piedi inizialmente, ma il solito Matthäus maschera la nostalgia dell’argentino integrando in maniera robusta la produzione offensiva del puntuale Klinsmann.

Il centrocampista piega la Juventus con uno dei suoi bolidi e va a segno – due volte – anche contro la Roma. I campioni d’Italia non danno segni di cedimento, non perdono di vista il Napoli e a gennaio una doppietta di Lothar riduce a un punto lo svantaggio nei confronti dei partenopei. Il 10 mette in ginocchio la Sampdoria punendola da calcio piazzato e da opportunista d’area di rigore, fa centro pure contro il Milan. Tuttavia, rossoneri e i campani prendono il largo: a fine stagione, la Beneamata dovrà accontentarsi del gradino più basso del podio.

Il morale dell’indomito Matthäus si rialza col Mondiale italiano, ultimo appuntamento di una stagione che fino a quel momento lo ha visto trionfare soltanto in Supercoppa italiana. Troppo poco per la sua insaziabile fame di successi. Esordisce a San Siro, casa sua, contro la temibile Jugoslavia e la spazza via tirando fuori dal cilindro la migliore esibizione con la maglia della sua nazionale: segna due gol, uno dei quali da stropicciarsi gli occhi. Mette la firma pure nella goleada rifilata agli Emirati Arabi e passa agevolmente il girone.

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Agli ottavi, il derby tra i tedeschi dell’Inter e gli olandesi del Milan se lo aggiudicano i primi, in un incontro ricco di tensione. La Cecoslovacchia viene regolata da un rigore del campione nerazzurro, che in semifinale si ripete dal dischetto nella lotteria con l’Inghilterra. E la finale, con l’Argentina, la decide un altro interista di Germania: Andreas Brehme. Lothar può finalmente sollevare al cielo di Roma la Coppa più ambita, quella che quattro anni prima gli era sfuggita proprio contro l’Albiceleste a Città del Messico.

Lothar Matthäus
Lothar Matthäus

Il numero uno

Italia ’90 restituisce al campionato e all’Inter un giocatore se possibile ancora più consapevole della sua forza. E consolida lo status di trascinatore che si è creato nelle due stagioni precedenti. I nerazzurri trovano la quadra subito e agganciano in testa la Sampdoria alla decima giornata della campagna ‘90-’91, sconfiggendo il Napoli. Non può mancare – come in tutti i big match che si rispettino – il marchio di Matthäus, che inaugura la gara sfondando la porta del povero Giovanni Galli. Nessuno, neanche France Football, può sottrarsi alla tirannia del tedesco quando il 1990 sta per concludersi.

Va a lui il Pallone d’Oro di quell’anno, un premio che onora continuando a sottolineare quanto pesi il suo contributo nello scacchiere tattico di Trapattoni. All’alba del 1991 stritola il Lecce con una doppietta e consegna l’effimero titolo d’inverno ai suoi prodi. Tiene vivo il duello con la Samp nelle settimane successive, ma nel faccia a faccia di San Siro tradisce i nerazzurri facendosi parare un rigore dal portiere doriano Pagliuca. È la battaglia che segna la resa dell’Inter al cospetto della truppa di Boskov, in cammino verso il primo scudetto della sua storia.

Un epilogo diverso, invece, sublimerà la cavalcata europea dell’Inter, impegnata in Coppa Uefa. Competizione che passa per la turbolenta rimonta sull’Aston Villa, per il derby lombardo con l’Atalanta, per la semifinale con lo Sporting – sbloccata al ritorno da un rigore di Lothar – e che si conclude con la doppia finale tutta italiana contro la Roma. All’andata, davanti al popolo bauscia, il 2-0 griffato Matthäus–Berti ipoteca il trofeo; nel secondo round, combattuto sul ring dell’Olimpico, il tedesco trionferà di nuovo a distanza di un anno dal Mondiale. Chiudendo in bellezza la sua stagione più prolifica: 16 gol in campionato, 1 in Coppa Italia e 6 in Coppa Uefa.

Lother Matthaus
Lothar Matthaus

La dolorosa separazione

È la fine di un ciclo: di lì a poco, Trapattoni interromperà il rapporto con il club nerazzurro per tornare alla Juventus. E Pellegrini, inseguendo il modello berlusconiano, si affiderà a uno dei più promettenti profeti della zona: Corrado Orrico. Il tempo si incaricherà presto di svelare la fragilità del progetto, che naufragherà con le dimissioni del tecnico toscano. La stagione 1991-92 è nettamente in tono minore anche per il leader interista, il cui rendimento altalenante ricalca quello della squadra. E ha un epilogo triste quando i legamenti del suo ginocchio cedono a San Siro nell’aprile 1992, in un incontro col Parma.

Lothar non si abbatte: va in Colorado per operarsi e torna in Italia con una determinazione vorace, vuole recuperare in breve la migliore condizione per risollevare la sua squadra. Ma la società, spiazzando un po’ tutti, decide di vendere il tedesco. Forse credendo, ingenuamente, che non potesse dare più il 100%, che fosse ormai destinato al declino. Niente di più sbagliato. Il ritorno al Bayern Monaco e lo scorcio conclusivo della sua carriera daranno ampiamente torto alla valutazione dell’Inter, a cui è costretto a dire addio controvoglia. “Se non avessi avuto il problema al ginocchio – affermerà in seguito – sarei rimasto sicuramente all’Inter”.

Giovanni Trapattoni ai tempi del Bayern Monaco @Image Sport
Giovanni Trapattoni ai tempi del Bayern Monaco @Image Sport

Matthäus e il Trap, gli ingredienti del successo

La mesta uscita di scena, immeritata per un campione del suo calibro, è l’unica pagina trascurabile della sua esperienza a Milano. Resa immortale dalle sue galoppate impressionanti, dai solchi lasciati sui terreni di gioco, dal carisma magnetico che ipnotizzava i compagni. E anche dal rapporto con Trapattoni, mentore poi riabbracciato al Bayern, a cui era legato da una profonda stima professionale e umana. Lui e il tecnico erano due caratteri forti, espressioni di due concezioni di calcio spesso in contrasto: le scintille, infatti, non mancavano.

Ma Matthäus non ha mai perso l’occasione per riconoscere i meriti al suo mister, che lo ha migliorato sotto molti aspetti. L’abilità con il piede debole, ad esempio, a cui Lothar non faceva mai affidamento prima dello sbarco in Italia. Il campione tedesco ha segnato una generazione di tifosi interisti e ha lambito quattro decenni di calcio internazionale. Dal 1979 al 2000, ha giocato cinque Mondiali – di cui è recordman di presenze (25) – ha vinto ovunque ed è stato, a cavallo tra anni ’80 e ’90, il volto dell’unica antagonista all’altezza del Napoli maradoniano e del lussuoso Milan di Sacchi. L’allenatore in campo dell’Inter dei record, il braccio armato del Trap.

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Angelo Rocca
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