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Pasadena, 17 luglio 1994. Ogni italiano ricorda dov’era quel giorno, durante quella partita, la finale dei Mondiali tra Italia e Brasile. Io, che avevo poco più di un mese di vita, probabilmente ero in braccio a mia madre, che non è mai stata una grande tifosa, ma che durante le partite della Nazionale sedeva con mio padre e i nonni a guardare l’Italia. L’autore e protagonista di questo libro, invece, era al Rose Bowl Stadium di Pasadena, California. In campo, da titolare e con la fascia da capitano al braccio. E pensare che non avrebbe neanche dovuto giocarla, quella partita, dopo il tremendo infortunio avuto nella seconda gara del Mondiale, contro la Norvegia. Rottura del menisco, a 34 anni. Previsto uno stop lunghissimo. Invece Franco Baresi è lì, dopo soli 25 giorni, a correre, a pressare, a chiudere su ogni pallone, ad intervenire ogni volta che i grandi giocatori di quel Brasile, soprattutto Bebeto e Romário, provano ad impensierire la porta difesa da Pagliuca. Anche grazie alla sua strepitosa difesa, i tempi regolamentari e i supplementari si concluderanno 0-0. Si va ai rigori, e lui tirerà il primo. È da qui che parte la storia di Libero di sognare, il libro che racconta la vita e la carriera di uno dei più grandi difensori della storia del calcio mondiale.
Un ragazzino di campagna con un sogno Mondiale
I pensieri, le paure, le emozioni di Baresi prima di calciare quel rigore sono il punto di partenza di ogni capitolo, che si sviluppa poi in un lungo flashback. Lo storico capitano del Milan rievoca la sua vita partendo dall’infanzia, nella campagna di Travagliato, in provincia di Brescia. Nato l’8 maggio 1960 in una famiglia contadina, quarto di cinque figli, il piccolo Franco inizia a giocare con gli altri bambini del paese, spesso con palloni improvvisati. Il ricordo di quei momenti è vivido, sembra che siano passati pochi anni. Il lettore viene catapultato in un mondo diverso da quello attuale, in una dimensione più piccola, intima. La genuina nostalgia di Baresi ci porta a vivere con lui quegli anni, il primo Mondiale, quello di Messico 1970, ascoltato in radio. La delusione per la sconfitta in finale dell’Italia accende in Franco il sogno di vincere quella Coppa, che alzerà al cielo dodici anni dopo.
Le prime esperienze nella squadra di paese
Il ricordo della prima esperienza in una squadra non può prescindere da quello che, nell’Italia di quegli anni, era il luogo per eccellenza in cui i ragazzini di paese iniziavano a giocare: l’oratorio. La figura fondamentale di Don Piero Gabella, parroco che fonda la USO Travagliato e mette su una vera e propria società per i ragazzi, è ricordata con enorme affetto e gratitudine. Nella squadra del paese, Franco inizia a muovere i primi passi, imparando a rispettare le regole, sperimentando sulla propria pelle la fatica degli allenamenti e le prime responsabilità. Si avvera anche il sogno di giocare in squadra con suo fratello maggiore, Beppe, che sarà poi, dopo qualche anno, rivale in tanti derby con l’Inter. È lì che Baresi si mette in mostra, tanto da ottenere una serie di provini con il Milan, che lo aggrega alle giovanili. Sta per iniziare la carriera da professionista che lo porterà ai vertici del calcio italiano e mondiale.
Dalle giovanili all’esordio
L’arrivo in una grande città, per un ragazzo di campagna, non è semplice da affrontare. Baresi ricorda le difficoltà dei primi tempi, la lontananza dalla famiglia e i sacrifici fatti negli anni dell’adolescenza. Ma tutto questo è mitigato dalla presenza degli amici, i compagni di stanza con cui condivide la vita a Milanello, le serate ad ascoltare musica, o al cinema. Il ricordo delle prime partitelle contro i “grandi”, delle urla di Nereo Rocco appena uno di loro osa toccare Rivera, diverte ed emoziona allo stesso tempo. Baresi inizia a destreggiarsi come libero, ultimo difensore, non disdegnando qualche sortita offensiva che caratterizzerà in futuro l’evoluzione del ruolo del quale sarà uno dei pionieri. Prima di compiere 18 anni, nell’aprile del 1978, arriva la grande occasione: viene convocato in prima squadra. Esordisce col Milan, da titolare, nella vittoria per 1-2 sul campo del Verona, che resterà la sua unica presenza in quella stagione. Quello dell’esordio, dall’emozione per la chiamata, ai primi allenamenti con Rocco e Liedholm, alla battuta del Paròn a fine partita “Ma t’ha giugà anca ti?!” (“Ma tu hai anche giocato?!”) è un ricordo indelebile nella memoria del futuro capitano.
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L’affermazione da titolare: la gioia dello Scudetto e la delusione della Serie B
Nella stagione successiva il Milan, venduto Turone, decide di puntare su Franco come libero dopo delle ottime prestazioni nel vittorioso Torneo Città di Milano. Nelle partite contro Flamengo, Fluminense e Juventus il giovane Baresi convince appieno il tecnico Liedholm e viene promosso a titolare fisso. La prima stagione è indimenticabile: il Milan vince lo scudetto della stella, il decimo della sua storia. Il numero 6, da timido e silenzioso com’era quando si trovava al tavolo con i suoi miti Rivera e Bigon, diventava un vero leader in campo, tanto da giocare da titolare tutte le partite. Ma dopo la grande gioia dello scudetto, arriva la batosta: il Milan viene retrocesso in Serie B per lo scandalo del Totonero. Per Baresi è un duro colpo: rimane totalmente scioccato nello scoprire di aver giocato partite truccate. La stagione in B è trionfale, si ritorna subito in Serie A, ma Franco deve fare i conti con un problema ben più grande dei giocatori avversari.
Dalla sedia a rotelle al trionfo al Bernabéu
Il periodo della sua malattia è rievocato in modo da mettere tensione ed ansia al lettore che, come me, non conosceva bene questa parte della sua carriera. Baresi perde peso, non riesce neanche più a camminare, è costretto in sedia a rotelle, e nessuno riesce a capire quale sia il problema. La scoperta di aver contratto un’infezione del sangue è la svolta: si trova l’antibiotico giusto e dopo poche settimane Franco può uscire dall’ospedale sulle proprie gambe. Dopo quattro mesi torna in campo, ma la stagione è, come lui stesso la definisce, maledetta. Il Milan retrocede in Serie B, ma nonostante ciò, Baresi viene convocato dal ct Enzo Bearzot per il Mondiale di Spagna 1982. Poco prima di partire, il presidente Farina gli comunica che sarà al centro del progetto e che, se resterà, sarà nominato capitano. Il numero 6 ricorda di non aver avuto dubbi e di aver subito preso una decisione che definirà la sua carriera: resta al Milan e riceve con orgoglio la fascia. Il ricordo della spedizione Azzurra in Spagna è vivido come quello di tutti coloro che hanno vissuto quei giorni. Nonostante non giochi mai, Baresi è parte integrante di quel gruppo, dà sempre il massimo anche in allenamento. La finale contro la Germania Ovest, vista dalla tribuna poco lontano da un euforico Pertini, con il suo ormai famosissimo “Non ci prendono più! Non ci prendono più!” al momento del terzo gol, è il trionfo di un’Italia che reagisce alle difficoltà e agli scandali nel modo migliore. Franco ha realizzato il sogno che aveva da bambino, quello che dopo quella finale persa nel 1970 non è riuscito a confidare a nessuno.
La rivoluzione con l’arrivo di Berlusconi
L’anno in Serie B è quello della svolta, non solo a livello professionale. Se in campo si trova a dimostrare, con successo, di essere un vero capitano, anche fuori la sua vita cambia. Durante una trasferta ad Arezzo conosce una giovane cameriera, Maura. L’incontro è ricordato con le parole di chi, dopo tanti anni, è ancora innamorato come il primo giorno. Dopo due anni Maura diverrà sua moglie, e ancora oggi, a quasi quarant’anni da quell’incontro, Baresi ricorda ogni singolo dettaglio. Tornando al campo, il Milan torna immediatamente in Serie A e Franco inizia a sentire le prime limitazioni del ruolo di libero. Guarda le grandi d’Europa, e il loro calcio rivoluzionario e offensivo, che in Italia è solo la Roma di Liedholm a proporre. La svolta arriva nella stagione 1985-86, con la cessione della società a Silvio Berlusconi. Il nuovo presidente inizia a rivoluzionare la squadra, con l’obiettivo di portarla ai vertici del calcio europeo e mondiale. L’incontro di Coppa Italia con il Parma è decisivo per il futuro della panchina del Diavolo. L’allenatore dei ducali, il semisconosciuto Arrigo Sacchi, fa breccia con il suo stile di gioco spettacolare e offensivo con il quale elimina dalla competizione i rossoneri. Nell’estate del 1987, Sacchi arriva a Milano e, con gli innesti di van Basten, Gullit, Ancelotti e Colombo, il Milan è pronto a dominare.
Il Milan degli Immortali
Gli anni di Sacchi sono quelli che Baresi ricorda più nel dettaglio in tutto il libro. Gli allenamenti estenuanti, la cura maniacale del tecnico, la fatica, vengono ripagate dai trionfi in campo nazionale e non solo. Lo scudetto vinto contro il Napoli di Maradona è solo l’inizio. La Coppa dei Campioni dell’anno successivo è ricordata con riferimento particolare alla partita contro la Stella Rossa, giocata nella nebbia di Belgrado e ripetuta il giorno dopo. Anche Baresi la ritiene un punto di svolta per quel Milan. Il ritorno a Milano della semifinale contro il Real Madrid è per Franco la gara in cui si sente davvero libero, nella quale capisce definitivamente che il suo ruolo è cambiato, che il calcio è cambiato, anche grazie a loro e al visionario che siede su quella panchina. Gli anni successivi sono caratterizzati da grandi trionfi sia con Sacchi che con il suo successore, Fabio Capello. Non mancano, però, gli episodi controversi, come quello contro l’Atalanta in Coppa Italia. Un rigore da lui segnato, decisivo per il pareggio e il passaggio del turno, nato da una rimessa laterale che i bergamaschi avevano concesso per permettere i soccorsi ad un avversario, accasciatosi in area. Quella palla non restituita è un errore che ancora oggi genera mille domande, così come l’abbandono del campo durante una partita di Coppa dei Campioni contro il Marsiglia. Episodi che Baresi ricorda, con onestà e senza alibi, come macchie nella storia rossonera.
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Il cerchio si chiude
Con il ricordo del Mondiale di USA 1994, si chiude il percorso iniziato con la rievocazione, all’inizio di ogni capitolo, delle sensazioni e dei pensieri di Baresi prima di battere quel rigore. Il tremendo infortunio subito contro la Norvegia è rievocato con tutte le sensazioni che passano nella sua testa in quel momento, come se fossimo presenti anche noi. Dolore, rimpianto per il “sogno spezzato”, senso di colpa per aver ignorato la stanchezza, ma anche determinazione. L’operazione in America e la riabilitazione sono affrontate con il sostegno di Mara e dei figli, Edoardo e Gianandrea. Poco a poco, alla determinazione si aggiunge anche la speranza di tornare in tempo per la finale, di compiere un’impresa che avrebbe dell’incredibile. I ricordi di quel Mondiale si alternano a quelli degli ultimi anni, dell’addio al calcio nel giugno 1997, del ritiro della sua numero 6, la prima maglia ritirata in Italia. Si torna su quel dischetto, il capitano della Nazionale, tormentato dai crampi e dopo soli 25 giorni dalla rottura del crociato, sta per battere il primo rigore di quella serie. Se avessimo raccontato una favola, Baresi quel rigore lo avrebbe segnato, avrebbe spiazzato Taffarel e dato fiducia alla squadra, che avrebbe poi vinto il Mondiale. Baresi avrebbe alzato quella Coppa da capitano dopo altri dodici anni dal trionfo in Spagna, vissuto da comprimario. Invece, purtroppo, la vita non è sempre una favola. La palla finisce alta, Baresi si dispera, e il suo errore, insieme a quello di Roberto Baggio all’ultimo tiro, è decisivo per la vittoria del Brasile.
Conclusioni
Libero di sognare è un meraviglioso viaggio nella vita e nella carriera di un grande campione. Dagli inizi sui campetti di provincia ai più grandi stadi del mondo, il lettore ripercorre la storia di una bandiera, di un capitano, e di uno dei più grandi difensori che il calcio mondiale abbia mai visto. Nonostante la sua grandezza sia innegabile, nell’opera non c’è alcuna autocelebrazione, Baresi non infonde alcuna inutile enfasi nel suo racconto. Tutto è rievocato con sobrietà e umiltà. Certo, c’è consapevolezza del proprio valore, come è giusto che sia, e un pizzico di orgoglio nel ricordare quelle imprese storiche, ma non si cerca di riproporle come semplicemente grandi risultati raggiunti. In questo libro è dato molto più spazio alle sensazioni, ai pensieri, ai sentimenti del numero 6, ai sacrifici e alle difficoltà che ha affrontato e che non si vanta mai di aver brillantemente superato come in realtà ha fatto. Libero di sognare è la storia di un uomo, più che di un campione, di un ragazzo che non ha mai smesso di inseguire i propri sogni, e che con tanto duro lavoro e impegno è riuscito a realizzarli. È una lettura leggera, breve ma coinvolgente, che resta nella memoria di qualsiasi appassionato così come la storia del suo autore.