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“Noi ai Mondiali ci andiamo. E magari li vinciamo anche“. Con queste parole sprezzanti di tutto e tutti il ct della Nazionale Italiana Roberto Mancini ha sfidato il destino soltanto qualche mese fa, forte del clamoroso trionfo a Euro 2020. Parole che adesso suonano in una maniera completamente diversa, come un gioco beffardo, una melodia stridula, una rappresentazione teatrale dal finale grottesco.

Azzurro sbiadito
Battere la Macedonia il prima possibile e poi pensare alla super sfida col Portogallo. Questo era invece il mantra di ogni italiano, probabilmente anche dei calciatori che si sono presentati in campo nella gara valida per i playoff con la Macedonia. La verità è che alla fine il Portogallo ha fatto il suo, eliminando con qualche brivido la Turchia, mentre l’Italia ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare. Per l’ennesima volta.
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Pronti, via, calcio d’inizio. Chiave tattica del match: i nostri avversari col più classico dei pullman davanti alla porta. L’Italia invece prende in mano il pallino del gioco e comincia a disegnare un calcio tutto suo, fatto di imprecisioni, di errori più o meno gravi. La fiducia nel cuore degli azzurri non manca, anche perché i macedoni sono davvero poca roba. Eppure, gli uomini agli ordini di Mancini non vincono un rimpallo, una palla sporca, non trovano un passaggio vincente, non indovinano un tiro.
E così la fiducia si esaurisce col passare dei minuti, fino a lasciare spazio a una tremenda sensazione di déjà-vu nel cuore dell’Italia. Nell’animo dei tifosi tornano a serpeggiare i vecchi agghiaccianti ricordi della mancata vittoria con la Svezia, quando l’inferno azzurro è cominciato e, in fondo, non è mai finito. I cambi del tecnico Mancini arrivano in maniera errata e tardiva, trasmettendo confusione ad un gruppo che già aveva perso lucidità e che ormai era destinato alla follia calcistica.
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Le iconiche immagini di Vialli e Mancini abbracciati a Wembley si dissolvono ineluttabilmente con l’improvviso gol della Macedonia, mentre l’idolo di casa Joao Pedro fallisce poco dopo una deviazione che avrebbe potuto salvare gli azzurri.
Finisce 0-1 con la rete di Aleksandar Trajkovski, che proprio al Renzo Barbera di Palermo aveva costruito le sue fortune da calciatore e che nel 2017 con un suo gol aveva condannato gli azzurri di Ventura a giocarsi lo spareggio con la Svezia. Italia fuori dal Mondiale. Per la seconda volta di fila.

Movimento calcistico
L’appuntamento con la rassegna iridata è stato già perso in parte già a settembre, quando è stato gettato alle ortiche un primo posto nel girone che era tranquillamente alla portata, condannando tutti quanti alla roulette russa dei playoff. Le mancate vittorie con Bulgaria, Svizzera e Irlanda del Nord sono state dei preoccupanti campanelli d’allarme volutamente ignorati. Incertezza tattica, mancanza di (nuove) gerarchie e, purtroppo, assenza di qualità. Dal trionfo di Wembley qualcosa è cambiato: il giocattolo dell’Italia si è rotto.
La recente vittoria dell’Europeo aveva illuso un po’ tutti, anche perché il miracolo a tinte azzurre nel teatro del calcio è stato in ogni caso un traguardo incredibile. Quanto è successo al Renzo Barbera non può e non deve cancellare il trionfo azzurro contro ogni pronostico agli Europei, anche se è stato figlio di un percorso di rivalsa e di crescita cominciato proprio dopo la prima delusione di San Siro contro la Svezia.
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L’Italia, nel baratro più totale dopo l’eliminazione nel 2017, ha trovato in Roberto Mancini l’uomo del riscatto: ed ecco il rinascimento azzurro, come molti lo hanno chiamato. Infatti, nel periodo antecedente a Euro 2020, hanno esordito in Nazionale per la prima volta Barella, Berardi, Kean, Emerson Palmieri, Zaniolo, Izzo, Pavoletti, Di Lorenzo, Mancini, Meret, Tonali, Castrovilli, Gollini e Orsolini. Una vera e propria ventata di freschezza per spazzare via il pugno di mosche con cui eravamo rimasti. Nelle gare di qualificazione ai Mondiali in Qatar, invece, sono stati soltanto tre gli esordienti, ovvero Toloi, Scamacca e Joao Pedro.
Una paurosa frenata che non può passare inosservata e che coincide esattamente con la definizione di movimento calcistico che premia e, soprattutto, condanna l’Italia negli anni. Il calcio proposto agli Europei è stato brillante, coraggioso e meravigliosamente efficace, ma subito dopo qualcosa è cambiato. La scintilla che ci ha consentito di gettare il cuore oltre l’ostacolo è venuta a mancare e Roberto Mancini non è più stato in grado di ritrovarla. Ed ecco che i colori azzurri sbiadiscono tristemente e tornano nel solito baratro in cui sono prigionieri da oltre venti anni, dopo il mondiale 2006.
Un intero movimento calcistico, appunto, prigioniero dei soliti paradigmi e incapace di voltare pagina. Poco importa se alla fine sono stati gli episodi a condannarci, perché la crisi dell’Italia ha radici ben più profonde e cambiare rotta non sarà affatto facile.
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Il peso del fallimento
Le costanti umiliazioni della nostra maglia azzurra sono lo specchio fedele dell’intero movimento del calcio italiano sempre più misero, fermo nel tempo e inadatto nel contesto di un Paese terribilmente vecchio e indietro con i tempi. Adesso è inutile cercare di trovare un presunto colpevole per poi voltare pagina, perché dopo l’exploit di Euro 2020 l’Italia è ripiombata nel suo oblio fatto di contraddizioni e incertezze. Vere e proprie montagne russe per l’Italia, che passa dalle ceneri al sole e poi nuovamente nell’oblio più profondo. Ancora una volta ci ritroviamo con un castello di carte abbattuto e con la necessità di ripartire dalle ceneri del caos. Un caos del calcio italiano che sembra ormai diventato ciclico e terrificante, senza neanche una soluzione all’orizzonte.

Dal 2018 al 2022, due eliminazioni che minano alle fondamenta l’intero calcio italiano. Da Gian Piero Ventura che fa entrare De Rossi a pochi minuti dalla fine fino a Roberto Mancini che sceglie di far entrare Chiellini nel momento clou della partita, il cerchio è chiuso. Questione di errori ai vertici, di una mentalità ormai inadatta e di calciatori non all’altezza della situazione. Siamo fuori dal mondiale e questa volta fa più male, perché è vero che dopo essere caduti bisogna avere il coraggio di rialzarsi, ma se si continua a cadere il rischio è quello di farci l’abitudine e di restare per terra.

La cosa più brutta, è che dovremo nuovamente rinunciare alle ormai celebri notti magiche, che hanno unito negli anni l’intero popolo italiano e hanno fatto appassionare migliaia di giovani tifosi al mondo del calcio. Ora come ora, un’intera generazione di italiani a conti fatti non ha potuto e non potrà emozionarsi ai gol della Nazionale Italiana. Perché alla fine si riduce tutto alla passione, all’emozione, e se non ci sono sentimenti il calcio è morto. Ne dobbiamo mangiare ancora di pasta asciutta.