Il calcio è sicuramente uno degli sport più appassionanti e popolari al mondo. Basta un cortile e un oggetto simile ad una sfera per lasciarsi alle spalle tutti i problemi e sentirsi come all’interno di uno stadio gremito di tifosi. Fra gli aspetti più affascinanti, che avvicinano a questo sport, c’è sicuramente tutto quello che accade fuori dal campo, ciò che è extra-calcistico. Storie, racconti e aneddoti danno al futbol magia e mistica.
A proposito di popolarità e di mistica, non si può non parlare del Manchester United, una delle squadre con più tifosi al mondo, e in particolare della maglia numero 7, forse una delle più iconiche e più ambite della storia di questo sport. Per comprenderne a pieno l’importanza non possiamo che presentare le figure che l’hanno indossata e che l’hanno resa leggendaria a suon di giocate, gol e trofei.

Manchester United, la numero 7 nel ricordo di Johnny Berry
Il Manchester United nel 1958 è di ritorno in aereo dalla trasferta a Belgrado in Coppa dei Campioni. I Red Devils sono riusciti a qualificarsi per la semifinale grazie al 3-3 ottenuto sul campo della Stella Rossa, dopo aver vinto in casa 2-1. Quella semifinale i ragazzi di Matt Busby purtroppo, non la giocheranno mai. L’aereo, una volta atterrato a Monaco per fare rifornimento, al terzo tentativo di ripartenza, si schianta contro la recinzione dell’aeroporto e contro un capannone che contiene carburante: l’esplosione è istantanea.
Di tutti i passeggeri se ne salvano incredibilmente solo 20 tra cui l’allenatore, Matt Busby, e l’attaccante Johnny Berry che a causa delle ferite riportate, non sarà più in grado di giocare. Quest’ultimo, fino al momento dell’incidente, era stato proprio il numero 7 del Manchester United. I Busby babes non riuscirono mai a vincere la famigerata coppa ma Matt l’avrebbe inseguita per 10 anni prima di alzarla al cielo, grazie ad un fuoriclasse con la maglia indossata proprio da Berry: George Best.
Manchester United, George Best: il “Quinto Beatles”
“Ho speso tutti i miei soldi in alcol, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato”. Basterebbe questa frase per capire la dimensione del personaggio di cui stiamo parlando. Come ci racconta Federico Buffa e contrariamente a come si pensi, questa frase Best non l’ha mai rilasciata a nessun giornalista bensì ad un cameriere che gli stava portando l’ennesima bottiglia di Don Pérignon mentre era a letto con l’ennesima Miss Mondo.
In realtà il 7 non è il primo numero che Best indossa ma nella storia lo ricordiamo con quello sulle spalle poiché coincide con le gloriose vittorie in campo europeo del Manchester United che mancano da tempo e che si vogliono riportare. È il primo che l’ha indossata in un certo modo, con un certo stile e che da semplice maglia, l’ha fatta diventare La maglia.
George Best nasce a Belfast nell’ Irlanda del Nord, ama apparire, è bello, è popolare, non ha limiti e ovunque si trovi è accompagnato da fiumi di champagne. È tra i primi uomini immagine della storia, è un imprenditore. In letteratura lo definiremmo un poeta appartenente al decadentismo, un uomo che vuole fare della sua vita un’opera d’arte.
A 19 anni vince già un campionato e rifila una doppietta nei quarti di finale di Coppa dei Campioni al Benfica. La partita finisce 5-1 per i Red Devils e la stampa portoghese, il giorno seguente, affascinata dal suo stile di vita, lo definirà il “Quinto Beatles”.
Nonostante continuino ad arrivare i trofei, l’anno giusto per la Coppa dei Campioni è il 1968. Il Manchester, trascinato dal fuoriclasse di Belfast – 1 gol e 2 assist contro il Real Madrid nelle semifinali – , è finalmente in finale della desiderata coppa e ancora una volta contro c’è il Benfica.
Manchester United, Best e la prima Coppa dei Campioni
La finale è a Wembley e i Red Devils passano in vantaggio grazie alla rete dell’attaccante Bobby Charlton, il più giovane sopravvissuto all’incidente aereo. Il Benfica pareggia e la partita va ai supplementari. Best si avventa su un pallone spizzato dopo il rilancio del portiere, la palla tocca una volta terra e, quasi in controbalzo, con il difensore che non sa se intervenire o meno, dopo un tocco di punta scivola sotto le gambe di quest’ultimo. George è ormai a tu per tu con il portiere, finta di corpo e gol a porta sguarnita.

Il grande Manchester United ne segna altri due e per la prima volta, così come il calcio inglese, è campione d’Europa. Matt Busby che aveva sognato ogni giorno di alzare quella coppa per i 10 anni successivi all’incidente, può finalmente onorare i suoi ragazzi che a Monaco hanno lasciato la loro vita.
Quello stesso anno Best riceverà anche il Pallone d’Oro. Lascia Manchester a soli 28 anni e in totale, con il club, vince due campionati, una FA Cup e due Charity Shield. Nell’apice della carriera di un calciatore normale, Best, che un giocatore normale non è, lascia definitivamente il grande calcio. Riflettendoci bene, forse ci è andata meglio così: alcuni personaggi devono essere goduti per un breve e glorioso periodo perché non possono abbandonare la scena sfioriti, non sarebbe la stessa cosa.
Manchester United, Bryan Robson e il ritorno dei Red Devils
Negli anni successivi la maglia viene indossata da giocatori come Willy Morgan, che ricopre il ruolo di Best e che cerca di imitarlo ovviamente non riuscendoci, e Steve Coppell, un altro macina chilometri. È il 1981 quando i Red Devils ufficializzano l’acquisto dal West Bromwich Albion di Bryan Robson che, pur essendo l’opposto del talento nordirlandese, riesce a raccoglierne l’eredità sempre con il 7 sulle spalle. Bryan sarà anche il capitano più longevo della storia del club.
Mancino sopraffino, intelligenza, duttilità, dinamismo e vizio del gol: queste sono le caratteristiche di “Capitan Marverl”, uno dei suoi soprannomi. Il suo nome non è fra i più ridondanti probabilmente a causa del periodo dominante del Liverpool e dell’ombra dell’altro Robson, Sir Bobby che di mestiere ora fa l’allenatore. Con il Manchester vince 7 titoli tra cui 2 campionati, 3 FA Cup, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea.
Tutte e 3 le FA Cup, che adesso il Manchester United sta cercando di riportare a casa, coincidono con il suo nome: 3 gol fra semifinale e finale nel 1983, gol in semifinale nel 1985 e gol in finale nel 1990. Con il club britannico ottiene 345 presenze e 74 gol mentre con l’Inghilterra 90 e 26 reti. Vinto il secondo scudetto dopo 26 anni e scrollato via tale peso, Bryan abbandona Manchester dopo averlo traghettato da uno dei momenti più oscuri fino alla fine dello scorso millennio.
Nell’esperienza finale con lo United, Robson cambia numero e da 7 passa al 12. Da quell’anno, infatti, rivoluzionando il calcio, le maglie si sceglieranno prima dell’inizio della stagione e per tutta la sua durata rimarranno tali, con tanto di cognome inciso sulle spalle.
Manchester United, Eric Cantona: genio e sregolatezza
L’eredità del 7 finisce così nelle mani del calciatore che i tifosi dei Red Devils premieranno ” Calciatore del secolo” e del quale la leggenda Sir Alex Ferguson dirà: “Il giocatore giusto, nella squadra giusta e al momento giusto”.
Parliamo del francese Eric Cantona sinonimo di personalità, leadership, ribellione e impulsività. Dal punto di vista caratteriale è paragonabile proprio a George Best ma il classe 1966 è figlio della caotica Marsiglia di quegli anni, non dipende da nessuno se non da sé stesso e non cerca consensi, lui è Eric Cantona e basta.

“King Eric”, tra Leeds e Manchester United, è stato in grado di vincere ogni campionato che ha giocato tranne quello della sospensione a causa del famoso “calcio volante” rifilato al tifoso del Crystal Palace, Mattew Simmons, dopo aver ricevuto uno dei tanti cartellini rossi della sua carriera. A sostegno dell’ assoluta originalità, Cantona aggiunge un altro particolare a questa maglia magica: il suo colletto è sempre alzato.
Con i Diavoli Rossi conquista anche un FA Cup e all’età di 31 anni si ritira dal calcio. Ancora oggi il dibattito su Eric Cantona divide ma come non potrebbe farlo una figura del genere? O si è dalla sua parte o si è contro, non ci sono vie di mezzo.
Quel che è sicuro è che “The King” ha cambiato per sempre la storia del club inglese tanto che, ancora oggi, dalle tribune dell’Old Trafford, si sente intonare il suo nome dai tifosi che l’hanno visto come una guida scesa dall’alto, come un condottiero che ha riportato il titolo dopo quei famosi 26 anni.
Manchester United, David Beckham, lo “Spice Boy”
Lasciata la Francia, la maglia ritorna di nuovo in Inghilterra e questa volta cade su un giovane biondino dai piedi raffinati: David Beckham. La 7 sostituisce la 10 che aveva indossato fino al ritiro di Eric. Finalmente David può vestire la divisa del suo idolo, un certo Bryan Robson.

Il suo destro non è un destro qualsiasi. È in grado di mettere la palla dove vuole, a lui non serve arrivare sul fondo per crossare, crossa direttamente dalla 3/4, inutile fare ulteriore fatica quando hai un piede così. Le traiettorie disegnate per i suoi compagni sono praticamente perfette.
L’importante è che loro facciano il movimento poi ci pensa David a metterla sui piedi. L’unico calciatore in grado di calciare verso la porta allo stesso modo di come calcia le punizioni, una delle sue specialità, senza differenza né di stile né di rincorsa per impattare il pallone.
Se abbiamo paragonato Cantona a Best per il comportamento dentro e fuori dal campo, Beckham e il nordirlandese sono sicuramente avvicinabili per la loro assoluta viralità e influenza. David Rappresenta un brand mondiale, è una star, quasi un attore più che un giocatore. Tra le altre cose, nel 1999, sposa Victoria Adams, ex membro dello storico gruppo di fine anni 90, le Spice Girls, capace di rimanere in vetta per 7 settimane nella classifica discografica del Regno Unito con il pezzo Wannabe.
Lo “Spice Boy”, da allora chiamato così, proprio in quell’anno realizza il treble con il Manchester United, rivale del City, vincendo campionato, FA Cup e una Champions League indimenticabile. In finale, infatti, gli inglesi incontrano i tedeschi del Bayern Monaco. I bavaresi passano in vantaggio dopo 5 minuti e lo mantengono praticamente per quasi tutta la partita, non facendo conto però con la mistica e con quel destro fatato.
Manchester United, la Champions League e l’addio di David Beckham
Nel primo dei tre minuti di recupero finali, dalla sinistra Beckham batte un corner verso il portiere salito ormai per l’ultimo assalto. La palla dopo essere stata nella terra di nessuno esce dall’area e con un tiro velleitario da fuori, incontra il piede di Sheringham che la mette in rete per l’1-1. Non è finita.
Nell’ultimo minuto, David si ripresenta ancora dalla bandierina. Questa volta la palla è indirizzata direttamente verso Sheringham che non deve far altro se non toccarla leggermente sul secondo palo dove c’è Solskjær che la spinge oltre la linea di porta. Tripudio Red Devils.
I ragazzi di Ferguson, non sapendo neanche bene come, vincono e alzano al cielo la seconda Champions League della storia del club. Sir Alex è incredulo, non se ne capacita di come sia possibile segnare due gol nel giro di 3 minuti e diventare campioni d’Europa, ma a fine partita proverà lui a dare una spiegazione: “Football, bloody hell”, “É il football, dannazione”.
David vestirà la maglia del Manchester United fino alla stagione 2002/2003, per poi approdare al Real Madrid dei galacticos dove giocherà centralmente facendo correre ancor più il pallone rispetto a sé stesso. Tornando al nostro caro George Best, di Beckham dirà: “Non sa calciare col sinistro, non sa colpire di testa, non sa contrastare e non segna molto. A parte questo, è ok”. The best proprio in tutto.

Manchester United, Cristiano Ronaldo: il predestinato
“Ci sono stati molti giocatori che in questi anni sono stati segnalati come il nuovo George Best. Questa è la prima volta che per me è stato un complimento”. Il nordirlandese ci aveva visto ancora bene. Innamoratosi di lui in un’amichevole estiva, Sir Alex Ferguson, per rimpiazzare David Beackham, decide di acquistare dallo Sporting Lisbona, l’appena diciottenne portoghese Cristiano Ronaldo.
Le qualità del ragazzo nato a Madeira (Portogallo), sono indiscutibili e le giocate si vedono, sono quelle del fuoriclasse destinato a rimanere della storia. Va leggermente sgrezzato e reso più concreto. Nessuno avrebbe potuto farlo meglio di Sir Alex. L’allenatore mette le cose in chiaro fin da subito: “Che maglia vuoi?” gli chiede, “La 28 come quella che avevo allo Sporting“ risponde il portoghese. “No, tu prendi la 7” ribatte il mister. Segna il suo primo gol su punizione nella vittoria per 3-0 contro il Portsmouth.

Gioca indifferentemente sia a destra che a sinistra, con la palla al piede è praticamente impossibile prenderlo e con i suoi cambi di direzione e finte sembra quasi ipnotizzare i difensori avversari. Conclude la prima stagione con i Red Devils con 40 presenze totali e 6 gol di cui uno in finale di FA Cup vinta per per 3.a 0 contro il Millwall, portandosi così a casa il primo trofeo.
Nell’annata 2006/2007 il portoghese Cristiano Ronaldo riporta lo scudetto a Manchester a distanza di 5 anni con 17 gol in campionato ma la stagione che dà la svolta la sua carriera è quella successiva, la 2007/2008, dove contribuisce in modo determinante alla vittoria sia della Champions League che della Premier League. Ronaldo realizza 42 gol in 49 presenze totali superando il record di George Best di 33 centri in una singola stagione tra campionato e coppa.
Manchester United, Cristiano Ronaldo: tutto in una finale e l’arrivederci
In finale di Coppa dei Campioni, contro il Chelsea, è lui a siglare l’1 a 0, con uno stacco imperioso prima di centrare l’angolino con la testa, e a portare avanti i rossi di Manchester che poi però si fanno recuperare. La partita scivola così ai rigori. Cristiano si presenta dal dischetto: prende la rincorsa, si ferma, guarda il portiere e chiude il tiro che questa volta viene intercettato. Il rigore è parato.

Si sa quanto i rigori siano una lotteria e quanta freddezza e calma ci vuole per calciarli anche quando si è in vantaggio. Il Chelsea, infatti, ne sbaglia due e il Manchester United per la terza volta nella sua storia è campione d’Europa. I ragazzi di Ferguson corrono, si cercano, gridano e si abbracciano increduli.
Solo uno rimane da solo, al centro del campo e a pancia in sotto a piangere dalla gioia dopo tutta la tensione accumulata. A dimostrazione del fatto che anche Cristiano Ronaldo è umano e forse in quella finale l’ha mostrato nella forma più pura.
Con il Manchester United, attualmente molto attivo sul mercato per riportare un fuoriclasse di questo genere, “CR7” conquista in totale 9 trofei e un Pallone d’Oro, diventando così il secondo giocatore della storia del club a vincerlo dopo George Best. La stagione successiva, allo stesso modo del predecessore, dà l’arrivederci all’Inghilterra per andare in Spagna e sempre al Real Madrid.
Manchester United, alla ricerca di un erede
Dopo 28 anni di storia leggendaria, la 7 non riesce a trovare un successore di tale caratura. Lasciato Ronaldo finisce sulle spalle di Michael Owen e si fa molta panchina. È il turno del colombiano Antonio Valencia che fa grandi cose con la maglia 25 fino ad ottenere proprio la numero 7.
Non ne regge il peso e a fine anno torna indietro. Il 2014 sembra essere l’anno buono, infatti, il 7 finisce sull’appena campione d’Europa con il Real Madrid, Ángel di Maria. In Inghilterra “El fideo” non riesce a trovare la sua dimensione e solamente dopo un anno abbandona, destinazione PSG. Passa infine per Depay, Sanchez e Cavani, tutti talenti ma che non riusciranno mai a fare la differenza.

Dicevamo prima dell’arrivederci di CR7 all’Inghilterra. Si, arrivederci perché, nel tentativo di riportare la numero 7 sul tetto del mondo, dopo essere passato anche in Italia con la Juventus, Cristiano Ronaldo nel 2021 torna ad essere un giocatore dei Red Devils senza però ottenere gli stessi risultati. Complice l’età l’età avanzata e una rapporto non ottimale con l’allenatore, Cristiano abbandona definitivamente la terra d’oltremanica per raggiungere l’Arabia Saudita, firmando un contratto faraonico.
I tifosi del Manchester United aspettano ormai con ansia il nuovo erede, in modo da portare avanti la leggenda della numero 7. Di errori ne sono stati commessi negli ultimi anni, forse sporcando un po’ la storia di questa maglia e non se ne possono più fare altri. Il prossimo a vestirla deve essere quello giusto e si deve avere la calma di sceglierlo bene per far si che una meravigliosa storia non si trasformi in una maledizione.