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Schopenhauer scriveva: «La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.» Ora, sarebbe alquanto eccessivo ridurre la carriera da allenatore di Marco Giampaolo alla massima del filosofo tedesco, sminuendo i suoi risultati in attimi fugaci ed illusori, ma in un certo qual modo il paragone del pendolo è più che azzeccato. Le prestazioni delle sue squadre alternano infatti annate strepitose, consacrando le idee e i tatticismi del tecnico, a veri e propri flop, condannandolo quasi allo status di “eterno incompiuto” quantomeno in massima serie. Ripercorriamo la carriera del “maestro”, dalla Serie A conquistata stupendo tutti a più riprese, agli attimi di dolore e gli esoneri di troppo, soprattutto quando è stato chiamato a riconfermarsi.
Marco Giampaolo, la vita da calciatore: la Serie C e l’infortunio
Giampaolo nasce il 2 agosto 1967 a Bellinzona, in Svizzera, mentre la famiglia di origine abruzzese si trovava in territorio elvetico per lavoro. All’età di un anno i genitori rientrano in Italia, nella terra natale di Giulianova dove il piccolo Marco muoverà i primi passi, anche su un campo da calcio. Inizia infatti a giocare nella squadra della città insieme al fratello Federico, le loro carriere calcistiche andranno più o meno di pari passo, galleggiando tra la C1 e la C2, con l’eccezione del campionato di Serie B giocato nella stagione 1995-96 con la Fidelis Andria, in cui colleziona 36 presenze e 1 gol, ma il quart’ultimo posta lo ricondanna alla retrocessione. Dopo circa un decennio da giocatore Marco è costretto ad appendere gli scarpini al chiodo, a soli 30 anni, a causa di un grave infortunio alla caviglia. Sotto il consiglio del suo ex tecnico Ivo Iaconi, Giampaolo decide di passare dal campo alla panchina, riscoprendosi allenatore di un certo livello.
La vocazione da allenatore: gli esordi di Giampaolo e l’altalena cagliaritana
All’età di 33 anni Giampaolo diventa osservatore del Pescara, nel frattempo inizia ad interessarsi a schemi e sistemi di gioco e diviene ben presto allenatore in seconda. Inizia la sua parentesi da vice in un romantico ritorno al Giulianova, poi Treviso e infine Ascoli. Proprio con la squadra marchigiana Marco mette in gioco il punto d’arrivo delle sue riflessioni e i bianconeri centrano il quarto posto in Serie B, ripescaggio ed è Serie A. Dettaglio non proprio ininfluente è il fatto che non ha il patentino da allenatore e durante la stagione 2005-2006 viene squalificato per 2 mesi, poi, una volta acquisito, l’Ascoli mette in mostra un 4-3-1-2 vincente, con qualità, corsa e una fase difensiva attentissima. Giampaolo finisce sotto i riflettori e le grandi piazze di A si mobilitano.
La prima grande occasione è una piazza scudettata, il Cagliari. Cellino nutre grandi aspettative e grandi simpatie per il tecnico di Giulianova, ma l’esperienza sarda sarà una vera e proprio montagna russa: il primo esonero arriva solo dopo qualche mese, per poi essere richiamato a febbraio per portare la squadra ad una salvezza quasi insperata, che arriva alla penultima giornata. Riconfermato al termine della stagione, Cagliari e Giampaolo viaggiano su strade diverse, destinate a sperarsi, un’altra volta, il novembre successivo. Cellino lo richiamerà ma la doppia delusione è difficile da digerire e l’allenatore rifiuta. Così commenterà la sua decisione: “È una decisione più politica che tecnica, la considero una mia sconfitta personale e la soffro in maniera pesante“.
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Fra noia e dolore: i 4 anni infelici, il fallimento col Brescia e la ripartenza dalla C
Dopo le esperienze cagliaritane, dal 2008 al 2012 si apre un quadriennio infelice per il tecnico che vede le sue squadre ingolfarsi e abbandonarlo, una dopo l’altra. Prima il Siena, con cui parte bene centrando un’ottima salvezza ma, come spesso gli accadrà, l’anno della riconferma gli volterà le spalle: 7 sconfitte in 10 gare ed esonero. Poi il Catania dove dura solo metà stagione, infine il Cesena che lo solleverà dall’incarico dopo 9 partite (e soltanto 3 punti conquistati), probabilmente il punto più basso della sua carriera.
Il punto più basso della carriera, per ora, direbbe qualcuno, prima di ripartire c’è tempo per un altro flop, questa volta in terra lombarda. In cerca di riscatto nel 2013 accetta la panchina del Brescia, in Serie B. La squadra è costruita per tornare in A ma ancora una volta qualcosa non funziona, o i giocatori non stanno dietro all’allenatore o l’allenatore non riesce a dialogare con i giocatori. Fatto sta che dopo la sconfitta di Crotone, la squadra esce fra i fischi e il giorno dopo Giampaolo non si presenta all’allenamento comunicando le proprie dimissioni. Reset, si riparte dalla Serie C, sempre in Lombardia nella terra limitrofa di Cremona. Finalmente qualcosa scatta, Marco si riprende la scena e dopo una buona stagione con la Cremonese finisce nel mirino dell’Empoli.
Il ritorno del maestro: l’Empoli, la Sampdoria e “le giuste condizioni di lavoro”
Nella stagione 2015-16 l’Empoli milita in Serie A, Giampaolo dopo 3 anni ritrova la massima serie e, soprattutto, un ambiente ideale dove crescere calcisticamente e diffondere il proprio credo, cosa che non accadeva praticamente dai tempi di Ascoli. Già in conferenza stampa di presentazione si intuisce il feeling fra squadra, società e allenatore: “Per me è una grande occasione: questa è una delle poche società che fa calcio. A Empoli ho notato subito grande umiltà e che al centro del progetto c’è il lavoro“. Con il bel gioco il tecnico abruzzese porta l’Empoli fino al decimo posto e una salvezza tranquilla, in Toscana lo rivorrebbero volentieri per la stagione successiva, ma Marco ha deciso di voler cambiare piazza, più prestigiosa e storica come quella della Sampdoria.
In blucerchiato Giampaolo siederà per 3 stagioni consecutive, la permanenza più lunga per lui in carriera, portando la Samp a 3 salvezze centrando la parte sinistra della classifica. È proprio a Genova che arriva la consacrazione a “maestro“, appellativo datogli da sua maestà Arrigo Sacchi; il 4-3-1-2 esalta le qualità di Schick e Quagliarella che vivranno le loro migliori stagioni, mentre l’ormai proverbiale “centrocampo a rombo” diventa un marchio di fabbrica, grazie anche all’apporto di Praet, Torreira e Linetty. II salto in una big è maturo, l’occasione è enorme perché a giugno 2019 il Milan ha bisogno di ritrovare certezze e vuole ripartire proprio dall’allenatore di Giulianova.
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La condanna: il fallimento al Milan, il Torino e la Sampdoria come ultima spiaggia
Il matrimonio fra Giampaolo e il Diavolo sembra partire nel modo migliore, in fase di presentazione l’allenatore ribadisce il suo mantra di vita: “Testa alta e giocare a calcio“, in piena opposizione all’imperativo nerazzurro di Antonio Conte “testa bassa e pedalare“. Le cose però non vanno come i tifosi rossoneri e lo stesso tecnico pensavano: Piatek non segna più, Kessié e Calhanoglu sono irriconoscibili, la difesa vacilla e il Milan naufraga in piena crisi esistenziale in mezzo alla classifica. Sul banco degli imputati, come molto spesso gli è capitato in carriera, ci finisce ancora l’abruzzese di Bellinzona, che verrà esonerato l’8 ottobre dando il via all’era Pioli. La parentesi milanista è una vera condanna, l’ironia sulla definizione di “maestro” impazza sui social e l’allenatore non verrà più considerato un “visionario“, ma più spesso un “integralista“, incapace di adattarsi ad esigenze altrui.
Dopo il Milan anche il Torino prova a ridare linfa vitale a Giampaolo. Esordisce in panchina granata il 19 settembre 2020, subito sconfitto dalla Fiorentina il cammino si fa già in salita, preludio che quella non sarà la stagione del riscatto. Al panettone ci arriva, ma non tanto oltre: a gennaio 2021 arriva un altro esonero e rimarrà svincolato, alla noia, fino al gennaio successivo quando la Sampdoria gli rioffre la possibilità di tornare dove più si è stati bene. Il contratto fino a giugno è blindato, i risultati arrivano ma la salvezza ancora non è stata raggiunta. Vedremo se Marco Giampaolo riuscirà ad imporsi di nuovo, come quell’allenatore rivoluzionario che è finito sotto i riflettori delle squadre di Serie A, non certamente per caso, ma grazie a idee chiare e bel gioco. Per il momento, continua la perenne oscillazione fra visionario e integralista, in una assidua ricerca della cattedra giusta per insegnare calcio, dove un “maestro” può davvero sentirsi a suo agio.