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Nella storia di ognuno di noi ci sono personaggi a cui associamo ricordi memorabili, frutto di quelle gesta che tanto ci hanno colpito. Nel caso dei tifosi del Milan, soprattutto quelli di vecchia generazione, questa figura ha un nome e un cognome ben preciso: Gianni Rivera. Già, il Golden Boy del calcio italiano targato anni ’60-’70, unico nel suo genere e nel suo stile. Antesignano del ruolo del centrocampista moderno, Gianni con il pallone tra i piedi disegnava calcio: eleganza smisurata, movenze ammalianti, a cui era impossibile non rimanere a bocca aperta. A questo, però, si unisce anche un senso del gol degno dei migliori bomber di razza: 128 gol in 527 presenze in Serie A sono una chiara testimonianza di ciò. Un vero e proprio modello per il football, ma ancor di più per la vecchia guardia rossonera, che ancora oggi lo venera come una divinità.
In fondo, per capirne più a fondo i motivi, basta leggere il palmares del nativo di Alessandria: 3 campionati italiani, 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 4 Coppe Italia, 2 Coppe delle Coppe. Ma, soprattutto, il privilegio di essere stato il primo calciatore italiano della storia ad aggiudicarsi il Pallone d’Oro, nel 1969. Con la maglia rossonera n.10 sulle spalle, Gianni Rivera ha collezionato 658 presenze e 164 reti; numeri fenomenali, che bastano e avanzano a collocarlo tra i mostri sacri della storia del Milan. Una storia che inizia in tenera età, e che durerà la bellezza di 19 stagioni.
Rivera si prende il Milan: quel provino sotto il diluvio…
L’esordio in Serie A per Gianni Rivera arriva molto presto, nel 1958: a 15 anni, 9 mesi e 15 giorni, l’Alessandria decide di gettare nella mischia un bambino, ma che ha già capito cosa vuole fare da grande. E ironia della sorte, la prima avversaria è quella squadra che sarà, successivamente, la rivale di una vita: l’Inter. Tra il 1958 e il 1960, Rivera si mette in evidenza con 26 presenze e 6 reti, sintomo di una personalità già forte, nonostante la tenera età. Uno score che non lascia indifferenti le grandi squadre, a partire proprio dal Milan.
I rossoneri sono a caccia di talenti da far emergere, e il profilo di Gianni Rivera rispecchia a dovere l’identikit dell’obiettivo da ricercare. Così, il Milan smuove mari e monti per accaparrarsi il nuovo prospetto del calcio italiano: la dirigenza organizza un provino, ma sfortuna vuole che piova a dirotto. La scena è scioccante: tanto è forte l’intensità del diluvio che nessuno è in grado di distinguere le giocate del giovane Rivera da quelle di un fuoriclasse già affermato come Juan Alberto Schiaffino. Se il buongiorno si vede dal mattino…
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Precoce e vincente: Rivera si prende tutto
Il Milan capisce subito di avere per le mani un fenomeno, e Gianni Rivera capisce altrettanto immediatamente di essere nel posto giusto. L’equazione è presto fatta: vincere è la naturale conseguenza. Il Golden Boy si impone con le sue giocate sotto la guida del Paron Nereo Rocco, diventando il trascinatore della squadra. Il piemontese deve ancora compiere 20 anni, e in bacheca può già vantare uno scudetto (1962) e una Coppa dei Campioni (1963). L’importanza di Rocco per Gianni è fondamentale: in più di un’occasione l’alessandrino definisce il friulano “un secondo padre”. Con lui in panchina, infatti, Rivera acquisisce una padronanza tattica essenziale, senza intaccare la sua sconfinata proprietà tecnica.
Gli anni ’60 offrono al grande pubblico la migliore versione di Gianni Rivera. Di conseguenza ne beneficia anche il Milan, che continua a collezionare successi tanto in campo nazionale quanto in quello internazionale: tra il 1968 e il 1969 il Golden Boy conquista uno scudetto, una Coppa delle Coppe, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Un’incetta di trionfi in cui Gianni ha sempre un ruolo centrale, stella polare attorno alla quale gravitano tutti i suoi compagni. Questo percorso da dominatore assoluto lo porta, nel 1969, a conquistare persino il Pallone d’Oro, primo italiano di sempre a riuscirci. La vetta del mondo, ormai, è conquistata.
Rivera il capitano: la stella dopo le cadute
Gli anni ’60 si sono chiusi in bellezza, e anche solo pensare di replicare i successi di quel periodo sembra quasi utopistico. Il Milan cambia pelle, saluta Nereo Rocco, ma non rinuncia al suo faro, quel Gianni Rivera che ha anche assunto i gradi di capitano. I rossoneri, tra il 1970 e il 1973, vanno incontro a qualche gioia (due vittorie in Coppa Italia) e a diverse delusioni, frutto soprattutto dei tre secondi posti consecutivi in campionato (tra cui quello del ’73, celebre per la Fatal Verona). Il Golden Boy si sente quasi accerchiato dai poteri circostanti, al punto da iniziare una vera e propria guerra con i vertici del calcio italiano. Un periodo buio, che di riflesso si nota anche all’interno del club: la società sembra aver perso la bussola, mentre in campo la squadra fatica enormemente a riproporre quel calcio solido ammirato negli anni precedenti, al punto che nel 1977 rischia di retrocedere in Serie B.
Dopo la tempesta, però, c’è sempre il sole pronto a risorgere. Nel caso del Milan il sole ha il nome e il cognome di Gianni Rivera. Il piemontese ritrova il suo maestro, Nereo Rocco, proprio in quel nefasto 1977; il ritorno del Paron si rivela decisivo per risollevare le sorti della squadra rossonera. La compagine milanista ritrova compattezza e brillantezza, e riesce a portarsi a casa un trofeo come la Coppa Italia. Il vero obiettivo, però, è un altro: conquistare la stella.
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Per portare a termine l’opera serve un’altra vecchia gloria rossonera: Niels Liedholm. Lo svedese rappresenta quello stimolo per il Golden Boy a chiudere la sua carriera nel migliore dei modi. Detto fatto: nel 1979 il Milan conquista il suo decimo scudetto, canto del cigno della vita calcistica del ragazzo di Alessandria. Un mese dopo il tricolore Rivera dice basta, chiudendo un’epoca indimenticabile per i tifosi milanisti e non solo. E ancora oggi, a distanza di oltre 40 anni, l’aura calcistica del fenomeno alessandrino con il n. 10 sulle spalle irradia i campi di calcio. Perché i modelli restano per sempre. E Gianni Rivera è un modello per il calcio mondiale.