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È un Milan desaparecido, una squadra che rappresenta lo specchio negativo di quello spettacolo dagli echi sublimi che tanto aveva fatto bene nel corso del 2022. Una compagine che si sposava appieno con le celebri parole di Karl Jaspers, filosofo tedesco vissuto nel corso dell’800, che in uno dei suoi scritti elogiava il collettivo come la chiave per raggiungere gli obiettivi dei singoli membri del gruppo. Di fatto dalle parti di Milanello l’amalgama e l’armonia sono stati i perni del Rinascimento rossonero, nato sotto le ceneri del 5-0 di Bergamo del 2019 e cresciuto sotto la spinta degli ottimi risultati ottenuti nei successivi due anni e mezzo.
Il culmine, neanche a dirlo, il fiume di festa meneghino consumato nel pomeriggio di Reggio Emilia che ha consegnato il diciannovesimo scudetto al Milan. Quest’anno la partenza ha confermato i buoni propositi e la voglia di non fermarsi dopo un grande successo. Nondimeno l’imprevedibile scienza del calcio ha consegnato un inaspettato blocco. Un periodo di crisi, segnato dall’avvento del 2023, e che sembrerebbe non trovare quiete. Urge dunque una ricetta rigenerante dalle mani di Pioli, una medicina con effetto immediato per restituire serenità a un ambiente decisamente preoccupato.
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Milan, il prezzo della pausa Mondiale: un crollo di compattezza e tenuta nervosa
C’è chi sostiene che la perseveranza e la pazienza siano le virtù dei forti. Osservazione ai più scontata, ma nell’economia della matrice pioliana hanno costituito tra le caratteristiche più apprezzabili del suo ciclo alla guida del Milan. Ora quelle peculiarità sembrano essersi dissolte di fronte a pressioni maggiori, condizione fisica non ottimale e rendimento decisamente sceso in alcuni tra i suoi protagonisti maggiori. I primi segnali di scricchiolio del giocattolo rossonero si avvertono nell’insidiosa trasferta di Salerno. La formazione meneghina è in vantaggio di due reti a zero, grazie al guizzo di Leao e al destro secco di Tonali che segnano i primi due gol presi nel campionato italiano dal portiere messicano Ochoa.
Il Diavolo sembra in gestione tra giro palla e qualche iniziativa in avanti, con il match che pare andare dritto verso una comoda archiviazione. Nondimeno ecco l’episodio che non ti aspetti: a dieci minuti dalla fine Coulibaly pennella dalla trequarti un traversone verso il secondo palo e Bonazzoli, bruciando la marcatura di Saelemaekers, incorna di testa riaprendo l’incontro. Un filo di ansia agita le casacche rossonere mentre sul versante campano l’Arechi inizia a spingere i granata per trovare il clamoroso 2-2. Per il Milan si apre un finale di fuoco che tuttavia non macchia il successo al triplice fischio arbitrale. A primo impatto la sensazione è quello di un episodio decontestualizzato che nell’ottica di una stagione lunga e tortuosa può anche trovare spazio.
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Milan, blackout rossonero: il rollercoaster del gennaio degli uomini di Pioli
Sette giorni più tardi i rossoneri sono ancora in vantaggio, questa volta però lo scarto è doppio e di fronte c’è la Roma di José Mourinho. I ragazzi di Pioli, reduci da settanta minuti di puro dominio tecnico-tattico, tentano di addormentare il gioco per consolidare una vittoria che avrebbe un’importanza di primo livello. E invece nuovamente il paradiso si muta in inferno e la felicità in profonda e irrefrenabile frustrazione. Agli ospiti sono sufficienti due palle da fermo per raddrizzare il tabellino e mandare in estasi lo spicchio giallorosso presente a San Siro. Prima Ibanez vola in cielo e infila Tatarusanu con una poderosa inzuccata, successivamente Abraham raccoglie la respinta del portiere rossonero sul colpo di testa di Matic, e ribadisce in rete firmando il gol del pareggio, che sigilla il risultato sul 2-2.
Tre giorni più tardi la Scala del calcio è di nuovo tinta di rossonero. Il Diavolo torna in campo e lo fa per affrontare il Torino negli ottavi di finale di Coppa Italia. Dopo lo shock con la Roma, la sfida alla formazione di Ivan Juric rappresenta forse l’ostacolo peggiore da poter incrociare, per riscattare una delusione che pesa inevitabilmente sul morale. Sul campo la partita scorre sul filo dell’equilibrio con i meneghini incapaci di pungere un avversario che si dimostra come sempre granitico e mai domo. Al 69′ il Milan va incontro all’episodio che potrebbe indirizzare il match, con l’espulsione del difensore granata Djidji. Con un uomo in più i lombardi iniziano ad attaccare assiduamente la porta degli ospiti, ma l’incisività resta un tabù nella nottata dei Campioni d’Italia.
Arrivati ai supplementari, i piemontesi piazzano il colpo da novanta siglando la rete dello 0-1 con una splendida ripartenza. Un gol che si rivela fatale e che condanna i rossoneri alla clamorosa eliminazione. Il post gara emana una strana aria di incredulità. Di quella squadra oliata, intensa e letale del 2022 pare esserci rimasto solo un flebile ricordo a languire lo stato d’animo dei supporter del club milanese. Ciò che era etichettato come incidente di percorso si trasforma in comprensibile preoccupazione. Alle porte c’è il Lecce, sebbene il binocolo dei tifosi sia puntato sulla Supercoppa di Riad contro i cugini dell’Inter.
La tappa del Via del Mare è una prova da non fallire, un test fondamentale per reprimere le prime critiche che iniziano ad aleggiare attorno all’ambiente meneghino. Tuttavia il riscontro del campo si rivela nel primo tempo assolutamente nefasto, con un Milan formato naftalina, colpito dall’autorete di Theo Hernandez e dal guizzo aereo di uno scatenato Baschirotto. I diavoli sono sul punto di crollare. Quarantacinque minuti di alessitimia tecnico-tattica sono il segno evidente di un meccanismo sofferente, di un malato assolutamente bisognoso di una cura rigenerante. Nella ripresa, scosso nell’orgoglio, la squadra di Pioli reagisce e recupera lo svantaggio portandosi sul 2-2, un risultato che premia la voglia di non mollare ma che nell’ottica scudetto complica maledettamente i piani.
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Milan, l’incubo della Supercoppa: l’Inter mette a nudo la crisi rossonera
Nervosismo e condizione precaria di alcuni elementi chiave sono il responso delle ultime due settimane di campo in casa Milan. Gli interrogativi sul tavolo esigono una risposta, e quale migliore occasione se non quella di giocarsi il primo trofeo stagionale contro i rivali cittadini dell’Inter. Anche i nerazzurri si trovano in una condizione di tenue appannamento sebbene il Biscione sembra poggiare su delle fondamenta decisamente più solide. Al fischio dell’arbitro si alza ufficialmente il sipario sul match. Novanta minuti per redimersi o sprofondare negli abissi di una vera crisi d’identità.
L’approccio con la partita è da entrambe le sponde ricco di intensità e dinamicità, senonché gli uomini di Pioli fanno fatica a trovare una certa armonia offensiva. L’iniziativa, neanche a dirlo, è del solito Leao che si ritrova però a predicare nel deserto vista l’insipienza degli altri compagni di reparto. Al primo affondo invece l’Inter passa. La Beneamata si esibisce in un’azione di prima sull’asse Darmian, Dzeko, Barella e Dimarco, con quest’ultimo che sul filo del fuorigioco riceve palla e trafigge l’incolpevole Tatarusanu. A tenere in gioco il giocatore dei nerazzurri è Kjaer, che assieme al compagno Tomori soffre tremendamente le folate in zona gol della squadra di Inzaghi.
Subito lo svantaggio, il Milan tenta prontamente una reazione che sa più di stimolo nervoso scompaginato, piuttosto che di una risposta organizzata e determinata. E infatti l’Inter si propone nuovamente in avanti con Skriniar che lancia lungo verso Dzeko, quest’ultimo manda al bar Tonali e a tu per tu con l’estremo difensore rossonero piazza un fendente che si deposita in fondo al sacco. È tripudio nerazzurro e sconsolazione in casa del Diavolo. Gli sguardi dei giocatori e del tecnico Pioli sono il segno di un’orchestra e di un direttore che paiono aver dimenticato completamente le note di quello splendido spartito di poche settimane prima.
Nel frattempo Lautaro Martinez nel secondo tempo manda in ghiaccio partita e vittoria nerazzurra con il gol del 3-0 che segna una sconfitta pesantissima per tutto l’ambiente Milan. Una punizione severissima nel risultato e nella performance che chiude il cerchio di un periodo fra più complessi nell’ultimo biennio. A Pioli il compito di trovare le soluzioni. Al tecnico parmigiano l’arduo lavoro nel ricreare gioco, entusiasmo e soprattutto risultati. Quelli che in una società con sette coppe dei campioni in bacheca fanno tutta la differenza del mondo.