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Nella vita di tutti gli appassionati di calcio, e in particolare nei ricordi dei tifosi del Milan, esiste il ricordo di una partita spettacolare. Era il 24 maggio 1989 e a Barcellona si disputava la finale di Champions League tra Milan e Steaua Bucarest. Quella data consegna alla storia il calcio più bello del mondo, quello del Milan allenato da Arrigo Sacchi, trascinato da Gullit e van Basten, sorretto da Rijkaard e Ancelotti, difeso da Paolo Maldini e Franco Baresi, pensato, creato, sognato e realizzato da Silvio Berlusconi. Nella storia del calcio mondiale il Milan fa il suo ingresso quella sera di 33 anni fa, perché chi amava il calcio era davanti alla TV o a Barcellona, una marea di tifosi italiani avevano viaggiato in tutti i modi, sostenendo la squadra con entusiasmo e passione. Uno stadio, quello del mitico Camp Nou, tutto rossonero, novantamila tifosi tutti a caccia di un trofeo che il Milan non vinceva da vent’anni, fu chiamato dai migliori cronisti dell’epoca “esodo biblico”.
Lo Steaua Bucarest del regime comunista di Ceaucescu era già sotto di tre gol prima del finale del primo tempo. Nella ripresa, i rumeni speravano di risalire la corrente ed entrarono in campo con gli occhi cattivi e pieni di sangue. Non ebbero neanche il tempo di guardarsi tra di loro con quegli occhi: al primo contropiede Rijkaard si impadronisce del centrocampo della squadra rumena, facendo un lancio in profondità verso Marco van Basten, che con la classe e l’eleganza che lo distingueva lascia partire una conclusione col suo sinistro preciso e potente, siglando così il 4-0 definitivo per il Milan.
Da Gullit a van Basten: nasceva il Milan dei grandi olandesi e di Berlusconi
Una doppietta a testa. E così, con un Rijkaard gigantesco alle spalle, Gullit e van Basten stesero la Steaua Bucarest nella finale della Coppa Campioni, giocata al Camp Nou di Barcellona il 24 maggio 1989: 4-0, perfino troppo facile. Ma fu facile anche perché quello era il Milan olandese, il Milan di Sacchi, cosa da palati fini. Era il Milan che conquistò a spese dei rumeni di Hagi la sua terza Coppa Campioni, la sesta del calcio italiano (in precedenza avevano vinto anche due volte l’Inter e una la Juventus). Una prestazione gigantesca di tutta la squadra, che già al riposo, prima dell’ultimo cesello di van Basten, si era assicurata il risultato con un inequivocabile 3-0. Alla fine fu festa per tutti, il Milan vinse 4-0, facendo impazzire di gioia non solo i 90.000 tifosi presenti allo stadio, ma anche tutti gli altri che seguivano la partita da casa, milanisti e non.
Il giorno dopo, su La Gazzetta dello Sport il grande Candido Cannavò esaltò le qualità di quella squadra e del suo allenatore, ma in modo particolare esaltò l’intelligenza e il pensare in grande del suo presidente: Silvio Berlusconi. Cannavò nel suo articolo in prima pagina sottolineò come il presidente del Milan era riuscito in modo quasi psicologico a trascinare i suoi ragazzi in una grandissima impresa sportiva e a portare per primo in Italia l’idea del calcio piacevole e divertente, detto alla berlusconiana maniera il bel giuoco. Il presidente Berlusconi, nel corso dei suoi anni alla presidenza del Diavolo, farà dei suoi intuiti e delle sue idee la fortuna del club rossonero: come quando nell’estate del 2003 arrivò a Milano un giovane brasiliano dal nome particolare: Kakà. Quando Carletto Ancelotti lo vide per la prima volta pensò di aver incontrato un giovane studentello universitario, Berlusconi invece sostenne da subito che Kakà era il ragazzo che tutte le mamme avrebbero voluto come fidanzato per le proprie figlie. Aveva ragione Silvio.