O lo ami o lo odi. Non esistono mezze misure quando si parla di Fabio Quartararo, e lui ricambia con la stessa moneta: o si prende tutto o torna a casa a mani vuote, con la foga tipica di un “ragazzino” e il talento che ricorda i più grandi. “Erano dieci anni che non si vedeva arrivare un Quartararo in MotoGP, ovvero un debuttante in grado di dimostrare di essere un vincente in maniera così repentina”. Con queste parole il plurititolato Max Biaggi, uno che di motori se ne intende, fotografava le doti del pilota francese, ad un solo anno dal debutto nella classe regina delle due ruote.
Già, perché se il vero riconosce il vero, le capacità, apparentemente innate, del classe 97’ non sono mai state messe in discussione. Non le ha messe in discussione il padre, ex pilota 250, quando per primo gli regalò una mini-moto alla tenera età di 4 anni. Non le ha messe in discussione la Yamaha, quando nel 2021 lo inserì in seno al team ufficiale, al posto del 9 volte campione del mondo Valentino Rossi, mostro sacro del motorsport e manco a dirlo, idolo indiscusso proprio di Quartararo. Cautela però, anche gli albori della carriera sportiva del centauro di Nizza non sono privi di ostacoli. Spesso criticato dai “senatori” per il suo comportamento al di fuori del tracciato, El Diablo (questo è il soprannome con cui si identifica) ha sempre prediletto l’azione alla riflessività. Idee chiare certo e pochi, pochissimi peli sulla lingua. É uno che non le manda a dire il francese, con quel briciolo di sana follia, figlia di chi vuole tutto e subito. Non ha paura il diavolo di scomodare i più grandi, rispondendo a modo alle critiche all’ex pilota Casey Stoner: “Ho visto la vera faccia di alcuni piloti e lui (Stoner, ndr) ora è a casa a pescare”, o a punzecchiare Sky Italia in riferimento alle sue origini sicule: “In Italia quando vinco sono italiano, quando cado come a Misano sono francese“.
Certo è che il numero 20 (con tutta l’impudenza del caso) è stato forse il primo, come fece Rossi ai suoi tempi, in grado di avvicinare una nuova generazione di spettatori al mondo della MotoGP. E chissà allora quanti altri tifosi faranno per lui il tifo in futuro, affascinati da una carriera che si prospetta cristallina come il blu che abbraccia il telaio della sua Yamaha. Incantati da un’esistenza che quelli “come noi”, a differenza di quelli “come lui”, non riusciranno mai a comprendere del tutto, ma si limiteranno ad osservare e al massimo ad applaudire o giudicare. Un lifestyle al servizio del motorsport, ricordando che, come da lassù ci suggerisce Marco Simoncelli: “Si vive di più andando cinque minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in una vita intera”.
Il sangue del Diablo
“Beh, in una delle mie prime corse, avrò avuto sei o sette anni, avevo un diavolo sul casco. Ma a quel tempo dopo le garette andavamo a giocare a calcio con gli altri ragazzini e per via di quel diavoletto iniziarono a chiamarmi con quel soprannome. E mi è rimasto addosso, ci sono affezionato”. Con il braccio flesso sull’acceleratore il francese ci è praticamente nato. Nelle sue vene scorre il sangue del pilota: quello di Etienne Quartararo, autore di sporadiche apparizioni in pista per la categoria 250 e figlio di immigrati siciliani. “Voglio andare in Sicilia per scoprire le mie origini, non so quando, ma voglio farlo” avrebbe confessato Fabio in merito alle sue origini. Buon sangue non mente dunque, ma a differenza del padre non bastano le prime cadute per dissuadere il giovane talento dalla sogno della sella. Trasferitosi in terra spagnola, il centauro transalpino trionfa consecutivamente in classe 50 nel 2008, nella 70 nel 2009 e nell’80 nel 2011. A 13 anni esce vittorioso dal campionato spagnolo di velocità: è il più giovane a riuscirci, ripetendosi l’anno successivo nella medesima competizione. A bordo di una Honda NSF250R, esordisce ancora minorenne in Moto3, categoria che abbandona dopo appena due anni senza infamia e senza lode. È però in Moto2 che il pilota ottiene la sua prima vittoria mondiale: qualcosa si muove e qualcuno nei piani alti della MotoGP viene informato di un giovane diavolo che sta bruciando tutte le tappe.
Un esordio che Vale un addio
Correre in MotoGP è un sogno che ogni anno i migliori piloti del mondo cercano di trasformare in realtà. Solo 24 di essi riescono nell’impresa. Farlo nello stesso team del tuo idolo deve essere indescrivibile, tanto più se il tuo idolo si chiama Valentino Rossi. “Ho parlato con Fabio prima della conferenza e gli ho detto che potrebbe essere mio figlio. È del 1999, è due anni più giovane di mio fratello ed è già in MotoGP. Lui è arrivato nel Motomondiale come fosse un genio della moto, ha un’opportunità molto importante e sarà molto interessante vederlo all’opera”. Papà Vale approva e in casa Yamaha non hanno problemi ad affidare il nizzardo ventenne nelle mani del team satellite Petronas. Nessuno può dirlo se all’epoca Rossi avrebbe mai potuto pensare che proprio quel “figlio” gli avrebbe “rubato” il posto sul bolide ufficiale della casa giapponese, appena un anno più tardi. D’altronde lo sport è questo e chi lo frequenta a determinati livelli ne conosce le dinamiche, serve del cinico meccanismo dei risultati: l’unica cosa che conta.
Campione del mondo
Nel primo anno in Petronas Quartararo ottiene un sorprendente quinto posto nella classifica iridata con ben 176 punti. L’anno successivo sempre in Petronas, archivia le sue prime 3 vittorie in categoria, salvo poi perdere quella forma di “extra lusso” che lo aveva accompagnato nella prima parte di stagione, concludendo il campionato perennemente lontano dalla zona podio. Unico in griglia tra l’altro a non complimentarsi con il vincitore del titolo Joan Mir. Poco male, il team di Iwata gli dona ancora una volta fiducia, ignorando i campanelli d’allarme di chi evidenziava nel ventunenne francese una tenuta mentale piuttosto precaria. Il 2021 è l’anno della consacrazione e del passaggio sulla moto madre, spodestando, come anticipato, sua maestà Valentino Rossi. La Yamaha YZR-M1 è sinuosa, maneggevole ed elegante. Ricopre alla perfezione i movimenti del diablo, abile nello sfruttare tutta la potenza che il bolide gli concede (a differenza del compagno Viñales). Un connubio moto-pilota che rapisce gli occhi di appassionati e addetti ai lavori.
Con una dose di sarcasmo, si potrebbe asserire che quell’anno il titolo non verrà mai messo in discussione. Quartararo fa terra bruciata nei circuiti europei e non. Vince e convince nonostante la sindrome compartimentale al braccio destro e alcune disavventure, come quando in Spagna gli si apre la tuta nel corso del Gran Premio: non abbastanza per convincerlo a ritirarsi (ma sufficiente per conferirgli una penalità). A Misano, complice la caduta di Francesco “Pecco” Bagnaia, viene incoronato campione del mondo, con tanto di red carpet, casco dorato, video celebrativo e festa in discoteca. “Ringrazio la mia famiglia e i miei amici, che mi sono sempre stati vicini. Ricordo quando andavo a fare le gare con mio papà, con mia madre che rimaneva da sola a casa. I momenti difficili mi hanno reso più forte”. Già, perché è proprio questa l’essenza di Fabio Quartararo: amore e odio, prendere o lasciare, non meno di tutto o non meno di niente. Con un’unica certezza: un talento diabolico con cui guida verso l’Olimpo.