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L’1 agosto non è una data come tutte le altre. Non è una data come tutte le altre per un popolo che fa della passione e del folklore propri segni distintivi e che vive l’amore per il calcio con trasporto viscerale. L’1 agosto 1926 nasce il Napoli su iniziativa del suo primo presidente, l’imprenditore Giorgio Ascarelli. L’effettiva fondazione del club avvenne con il cambio di denominazione di un’altra società, l’Internaples, che si concretizzò in realtà il 25 agosto 1925. Tuttavia viene tradizionalmente considerata quella del 1° agosto come data ufficiale della nascita del Napoli. Per risalire alle vere origini del club è necessario tornare al 1904, quando un impiegato inglese della sede napoletana della Cunard Line, William Poths, fondò il Naples Foot-Ball & Cricket Club.
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Fino al 1912 la partecipazione al campionato nazionale non fu possibile per il nuovo club, i cui colori sociali erano erano il blu e il celeste. A quei tempi infatti, solo le squadre nel nord Italia avevano la facoltà di iscriversi. La squadra partenopea, allora, partecipò al campionato di Prima Categoria, competizione che in quegli anni rappresentava il massimo livello del calcio italiano e nel quale la FIGC acconsentì l’iscrizione per le compagini del centro sud. Poi arrivò il 1926 e il giovane Ascarelli che pose le basi della nuova Associazione Calcio Napoli, la quale da quel momento inizia la sua storia.

I primi anni del Napoli, tra le difficoltà iniziali e il divario con le big
I partenopei parteciparono al loro primo campionato (allora composto da dieci squadre) nella stagione 1926/1927. I primi anni non furono semplici, il gap con le compagini settentrionali era fin troppo elevato. L’esordio nella massima divisione nazionale culminò infatti con una doppia retrocessione, che tuttavia vennero “cancellate” dalla riammissione della squadra azzurra da parte della FIGC in seguito all’allargamento del campionato e per premiare gli sforzi della società permettendole di provare a colmare il pesante divario con le già navigate rivali. Dopo un avvio complicato, la situazione ebbe un rapido miglioramento grazie a quello che fu il primo idolo del popolo partenopeo, l’italo-paraguayano Attila Sallustro. L’attaccante, famoso per la sua rapidità, militò all’ombra del Vesuvio per undici anni segnando 106 reti in 258 presenze.
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La prima stagione nella massima serie a girone unico fu nel 1929/1930, con la squadra affidata alla guida tecnica dell’inglese William Garbutt, già capace di vincere due Scudetti sulla panchina del Genoa. Il miglior risultato di questi primi passi nel grande calcio, il Napoli lo conquistò nelle stagioni 1932/33 e 1933/34 con due terzi posti consecutivi che valsero anche la qualificazione alla coppa europea dell’epoca, la Coppa Mitropa. La nomina come nuovo allenatore di Achille Lauro, detto il “Comandante”, si rivelò una scelta poco felice, con la squadra che iniziò il declino fino alla retrocessione alla fine della stagione 1941/1942. Nel Dopoguerra gli azzurri si riguadagnarono l’accesso alla massima serie, per poi essere nuovamente retrocessi per illecito sportivo nel 1948. Fu l’allenatore Eraldo Monzeglio a riportare il Napoli in Serie A iniziando un lungo periodo sulla panchina partenopea.

L’epoca d’oro nel segno di Maradona: il primo Scudetto e la gioia europea
Con la società fortemente indebitata, la presidenza passò nel 1969 a Corrado Ferlaino, che ancora oggi detiene il primato di presidente più longevo e vincente della storia del Napoli. Dopo due terzi posti, un secondo posto e una Coppa Italia, nell’estate del 1984 Ferlaino mise a segno l’acquisto più importante della storia del club: per la cifra record di 15 miliardi di lire, il Napoli prelevò dal Barcellona la stella argentina Diego Maradona. Tre anni dopo, guidati dal Pibe de Oro, la squadra partenopea conquistò il suo primo Scudetto al termine di una lotta serrata con la Juventus. Una festa di un intero popolo che visse un sogno ad occhi aperti ispirato da quel numero 10 che ancora oggi è considerato il calciatore più forte di tutti i tempi. Maradona ha fatto innamorare Napoli e i napoletani, e chiunque amasse lo sport. L’uomo simbolo di una città che ancora oggi non lo ha dimenticato. Insieme al tricolore, nello stesso anno, gli azzurri, che in panchina erano guidati da Ottavio Bianchi, misero in bacheca anche la Coppa Italia.

Il club restò ai vertici del calcio italiano, conquistando altri due secondi posti nel 1988 e nel 1989, anno in cui arrivò anche la prima gioia internazionale. Nella doppia finale di Coppa Uefa contro lo Stoccarda infatti, i partenopei ebbero la meglio con un punteggio complessivo di 5-4 (vittoria per 2-1 all’andata e pareggio per 3-3 al ritorno). Protagonisti di questo successo furono i brasiliani Careca e Alemao, arrivati in Campania rispettivamente nel 1987 e nel 1988. Nel 1990 con Alberto Bigon in panchina arrivò anche il secondo (e finora ultimo) massimo successo italiano per il club azzurro, con la vittoria del campionato seguita da quella della Supercoppa (che era giunta alla sua terza edizione) qualche mese dopo ottenuta grazie alla roboante vittoria per 5-1 ai danni dell’acerrima rivale Juventus.

Il fallimento e l’era De Laurentiis: il ritorno del Napoli tra le grandi del calcio italiano
Con l’addio di Maradona si chiuse il ciclo dell’epoca d’oro partenopea. Negli anni seguenti inizialmente il Napoli riuscì a rimanere competitivo con in panchina prima Claudio Ranieri e poi Marcello Lippi, ma la crisi economica della società costrinse il club a privarsi di numerosi pezzi da novanta. L’apice del declino arrivò nel 1998 quando, dopo trentatré anni di militanza nella massima serie, gli azzurri terminarono l’annata con una pesante retrocessione. Nel 2000 la gioia della promozione durò poco visto che dopo un solo anno arrivò un altro passo indietro verso la cadetteria. La crisi continuò ad aggravarsi fino al fallimento della società arrivato nel 2004. Ci pensò Aurelio De Laurentiis a ricostruire il Napoli dalle macerie e già nel 2007, con Edoardo Reja in panchina, conquistò il ritorno in Serie A.
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I partenopei tornarono gradualmente alla ribalta, arrivando nel 2012 a mettere in bacheca la Coppa Italia battendo ancora una volta la Juventus nella finale disputata all’Olimpico di Roma. In panchina sedeva Walter Mazzarri, allenatore che riportò gli azzurri a disputare la massima competizione europea, la Champions League. Con Maurizio Sarri il Napoli si fece apprezzare per l’enorme qualità del gioco espressa, andando ad un passo da un clamoroso Scudetto sfuggito per pochissimo nel 2018 al termine di un testa a testa al cardiopalma con la solita Juventus. Nel 2020, infine, sempre contro i bianconeri, arrivò la sesta Coppa Italia sotto la guida tecnica di Gennaro Gattuso.