Storicamente parlando, il calcio a Napoli ha sempre trovato la sua dimensione nel popolo. Il popolo napoletano è sempre stato caratterizzato da periodi di luci e ombre, da grande ricchezza e nobiltà e povertà assoluta. Ecco quindi che in un momento preciso della storia, lo sport più bello del mondo ha cominciato ad assumere un ruolo fondamentale in tutto il Sud Italia e in particolare nel capoluogo campano. Nei primi anni del 1900 alcuni club avevano già preso forma, fondati da imprenditori inglesi con l’obiettivo di portare il pallone nel Belpaese.
Il luogo geografico scelto dagli inglesi per la fondazione di quelli che poi sono diventati i maggiori club in Italia è il Nord del paese, ritenuto probabilmente più adatto allo sviluppo imprenditoriale dello sport e di una società calcistica. Nella città di Napoli qualcosa iniziò a muoversi già nel 1904, quando William Poths insieme a due soci del posto decise di provare dare un nome alla voglia di competizione del popolo partenopeo, creando il Naples Foot-Ball and Cricket Club. Nonostante le buone premesse, la squadra non riuscì a sfondare, fin quando un giovane imprenditore del posto, Giorgio Ascarelli, decise di riunire alcune piccole realtà cittadine fondando il 1 agosto del 1926 l’Associazione Calcio Napoli. Qui ha inizio la nostra storia.

Napoli, anche Ascarelli non basta: i primi anni di baratro
La storia di Giorgio Ascarelli alla presidenza dell’Associazione Calcio Napoli sembra iniziare in maniera gloriosa. L’imprenditore napoletano colleziona tra il 1932 e il 1934 dei risultati incredibili per il popolo di Partenope, anche grazie a calciatori che ancora oggi sono ricordati come vere e proprie icone della storia azzurra, Antonio Vojak e Attila Sallustro.
L’attaccante classe 1904 e nato a Pola, nell’allora Istria, trova nella città di Napoli una seconda giovinezza e utilizza il calcio come valvola di sfogo per la prematura morte del fratello, conquistando da subito il popolo partenopeo e soprattutto l’allenatore William Garbutt. L’obiettivo del tecnico, ingaggiando l’istriano era quello di portare il club a contrastare l’egemonia delle squadre del Nord, ripercorrendo le sue stesse orme alla guida del Genoa con cui aveva vinto tre campionati nazionali.
Dal punto di vista sociale questa rappresentò una scelta importante, poiché la città di Napoli, nonostante una storia gloriosa e regale, veniva considerata solo dal punto di vista strategico e senza possibilità di crescita sportiva o imprenditoriale. Garbutt per poco non riesce nel suo intento, guadagnandosi comunque due terzi posti e la qualificazione alla Mitropa Cup, l’equivalente della Champions League di oggi. Tutto ciò non basta al presidente Giorgio Ascarelli, che nel 1936 decise di aprire il club a nuovi investitori e stringere la mano al comandante Achille Lauro, senza però mai vedere la crescita sperata.

Napoli, la storia del Petisso Pesaola: dall’Argentina all’amore per Partenope
Quando il comandante Achille Lauro decise di rilevare le quote di maggioranza del club, l’intento era quello di creare un club competitivo per contrastare calcisticamente il Nord Italia, più ricco e più sviluppato, regalando al popolo napoletano un momento di gloria, specialmente dopo gli anni della Seconda Guerra Mondiale da cui il Sud uscì martoriato e ferito nel proprio essere.
Per farlo, il presidente del Napoli non badò a spese, ingaggiando calciatori importanti come Jeppson e Amadei, ma soprattutto Bruno Pesaola. Il “Petisso“, così soprannominato per via della sua statura, si accorse da subito che la sua non sarebbe stata solo un’esperienza sportiva nel capoluogo campano.
Con l’approdo di Pesaola a Napoli nasce il primo vero sodalizio tra la città e l’Argentina, paese che negli anni successivi ha regalato al popolo azzurro personalità ancora più influenti. Il Petisso fa parte di un tridente d’attacco tra i più competitivi del campionato, formato dall’argentino, da Jeppson e da Amadei. Tra il 1952 e il 1960, gli azzurri non riescono ad andare oltre qualche piazzamento tra le prime 4 del campionato, vanificando così gli sforzi di Achille Lauro, in cerca di nuove soluzioni.
Quando Pesaola appende gli scarpini al chiodo, il primo posto in cui vuole tornare è proprio Napoli, città che lo ha accolto come un figlio e che lo fa sentire a casa, grazie alla forte somiglianza tra il popolo argentino e quello napoletano. Stavolta però il Petisso torna in un’altra veste, quella da allenatore della squadra, con la quale riesce a portare il primo trofeo della storia a tinte 1926, la Coppa Italia.
Questo storico trionfo rimarrà negli annali non soltanto per i festeggiamenti in tutto il golfo, ma anche perché il Napoli divenne (e lo rimarrà fino ai giorni nostri) insieme al Vado l’unica squadra a vincere una competizione nazionale non disputando la massima serie.
Gli anni di Pesaola alla guida del Napoli sono stati caratterizzati da un forte cambiamento dal punto di vista culturale per il club. La squadra è finalmente divenuta una delle massime potenze del calcio italiano e riesce, seppur senza portare a casa trofei importanti, a contrastare le società del Nord Italia, ma soprattutto cambiando il modo di intendere il calcio nel capoluogo campano. Tra i vari traguardi raggiunti, il Petisso riuscì a conquistare la Coppa delle Alpi, il primo storico trofeo continentale della storia azzurra.
Il viaggio di Pesaola a Napoli non si concluderà mai davvero, il legame tra l’argentino e la città è troppo forte e nonostante gli addii momentanei, il Petisso torna per altre due volte alla guida della squadra, con cui riesce ad ottenere una Coppa Italo-Inglese e una salvezza insperata nel 1982-83.

Napoli, terra di innovazioni: Vinicio e il suo “calcio totale”
Un altro dei grandi campioni che la città ha potuto ammirare è Luis Vinicio, detto “O’ Lione” per via del suo temperamento e la sua aggressività in campo. Nonostante una carriera più che discreta da calciatore tra le fila azzurre, l’attaccante di Belo Horizonte viene ricordato oggi per quello che è riuscito a compiere nel ruolo di allenatore.
Considerato un tedesco brasiliano, grazie alla sua voglia di innovazione, arriva sulla panchina del Napoli con l’obiettivo di cambiare la visione del calcio in un momento storico in cui l’Italia viene conosciuta all’estero per un sistema attendista e difensivo. Luis Vinicio mette in pratica il suo “calcio totale” e regala al popolo azzurro anni di profonda gioia e divertimento, grazie al gioco offensivo e spregiudicato.
Nonostante le belle premesse e il calcio divertente messo in atto negli anni della sua permanenza a Napoli, non riesce a vivere la gioia di alzare un trofeo sulla panchina azzurra, sfiorandolo nella sua ultima stagione quando lascia il posto al duo Delfrati-Rivellino che vinceranno la seconda Coppa Italia della storia partenopea nel mese di giugno del 1976.

Napoli, l’epoca d’oro di Maradona: quando “Dios” divenne umano
Mentre sul campo Luis Vinicio cercava di cambiare il modo di vedere il calcio a Napoli, a livello dirigenziale l’ascesa di Corrado Ferlaino si faceva sempre più importante. Allontanatosi per brevi periodi fino al 1983, l’ingegnere si mette in testa di rivoluzionare per sempre la storia del Napoli, rendendola immortale e unica nel cuore di tutti i tifosi, che ancora oggi ricordano le gesta compiute dagli azzurri tra gli anni ’80 e ’90.
La voglia è quella di regalare finalmente lo Scudetto alla città e Ferlaino, nonostante le contestazioni e un rapporto di odio-amore con il popolo partenopeo, sa precisamente cosa fare. A Napoli esiste un prima e dopo il 1984, data in cui il Dio del calcio ha scelto, perché di scelta si parla, di diventare umano e scendere tra i comuni mortali. In quell’anno il presidente compie un’azione che all’epoca risultò impossibile, acquistando Diego Armando Maradona dal Barcellona per 15 miliardi di lire.
Quando cominciò a circolare la notizia che il Napoli aveva effettivamente acquistato Maradona, la città si fermò per qualche giorno, quasi incredula, fino al giorno della presentazione ufficiale allo Stadio San Paolo dove accorsero oltre 60mila persone per ammirare da vicino l’uomo che avrebbe cambiato le loro vite per sempre. Tra il Pibe de Oro e Napoli fu amore a prima vista, una scintilla che unì in un legame indissolubile l’anima umana di un semi-dio a quella di un popolo intero pronto a sostenerlo anche nei suoi momenti più oscuri.
Gli anni di permanenza di Maradona al Napoli furono colmi di successi e di gioia, una ventata d’aria nuova che il popolo azzurro mai aveva potuto respirare realmente, nonostante qualche trofeo vinto nei 60 anni precedenti. Il primo atto dell’opera scritta, diretta e interpretata dal Dios Humano culmina con il trionfo più grande e importante della storia partenopea, il primo immortale Scudetto vinto dal club dell’allora presidente Corrado Ferlaino, finalmente sul trono d’Italia con le corazzate del Nord a inseguire. Il 10 maggio del 1987 il Napoli è Campione d’Italia.

Con Maradona è un Napoli europeo
Oltre al primo successo nel massimo campionato italiano, il Napoli volle consacrarsi anche in Europa. Nel 1989 la Coppa UEFA era considerata una competizione molto più importante dell’Europa League dei giorni nostri, per via del blasone dei club che vi partecipavano. Anche in quel caso la società di Corrado Ferlaino riuscì a sovvertire i pronostici e avanzare sempre di più nel torneo, affrontando avversari complicati come il Bayern Monaco, la Juventus e il Bordeaux.
Proprio la partita contro i rivali storici bianconeri viene ancora oggi ricordata come una delle sfide più emozionanti della storia del Napoli. Dopo la sconfitta per 2-0 nella gara d’andata infatti, i ragazzi guidati da un Ottavio Bianchi a fine ciclo e da un Maradona sempre più idolo sacro per la piazza partenopea, riuscirono a ribaltare il risultato vincendo 3-0 al ritorno e staccando il biglietto per le semifinali.
Archiviato anche il discorso Bayern Monaco con un 4-2 complessivo nei 180′, gli azzurri vinsero anche in finale contro lo Stoccarda, alzando così per la prima volta la Coppa UEFA al cielo e scrivendo l’ennesima pagina nel diario dei ricordi dei tifosi partenopei.

Napoli, il secondo Scudetto e il declino post Maradona
Dopo aver trionfato in Europa vincendo la Coppa UEFA, il Napoli si sentì pronto a tornare nuovamente sul trono d’Italia. Il nuovo allenatore, Alberto Bigon, ci mise un anno esatto ad entrare nel cuore dei tifosi, portando i suoi a vincere nuovamente lo Scudetto tre anni dopo l’ultima volta. Il 29 aprile del 1990 il tricolore si tinse d’azzurro ancora una volta, cosacrando il ciclo partito nel 1984 come il più importante della storia partenopea fino a quel momento.
Nonostante la vittoria però, l’ipotesi di un addio di Diego Armando Maradona si fece sempre più reale, quando le frizioni tra l’argentino e il presidente Ferlaino divennero insostenibili. Ai problemi interni alla società si aggiunsero quelli personali del Pibe de Oro, che negli anni passati a Napoli non riuscì quasi mai a tenere a freno gli istinti e dimostrarsi per quello che realmente era, un uomo con le sue debolezze e i suoi lati bui, come ognuno di noi.
L’avventura di Maradona a Napoli terminò il 17 marzo del 1991, quando a seguito di un controllo antidoping fu trovato positivo alla cocaina, segnando un punto di non ritorno nei rapporti tra lui e la dirigenza azzurra.
Negli anni successivi alla partenza di Maradona, il Napoli galleggiò a metà classifica, senza mai rischiare nulla nonostante le difficoltà finanziarie del club e quelle tecniche dei giocatori in campo. L’inizio della fine per il club di Ferlaino ci fu nel 1997, quando dopo aver dovuto cedere alcuni giocatori importanti tra cui Gianfranco Zola, Daniel Fonseca e Ciro Ferrara, fu retrocesso in Serie B per la prima volta dopo 33 anni di permanenza consecutiva nella massima serie.
Tutto ciò si aggiunse alle gravi mancanze della proprietà del Napoli, che passò in mano a Giorgio Corbelli e Salvatore Naldi per tentare una risalita insperata che non arrivò mai. L’estate del 2004 segnò infatti il punto più basso della storia del club campano, che fu dichiarato fallito dal Tribunale di Napoli.

Napoli, De Laurentiis “salva” la storia: l’inizio della risalita
Il 6 settembre del 2004 è una data ancora oggi molto speciale per i tifosi partenopei. Dopo il fallimento decretato dal Tribunale qualche tempo prima infatti, il Napoli come lo si conosceva fino a quel momento non esisteva più. In tanti si avvicinarono per rilevare la società, ma solo un uomo, il più determinato e probabilmente ambizioso che Partenope potesse sperare, decise di compiere il passo.
Aurelio De Laurentiis acquistò così il club e lo denominò Napoli Soccer, un po’ per il suo amore smisurato per gli Stati Uniti d’America, un po’ perché (romanticamente parlando) non voleva “macchiare” la storia della Società Sportiva Calcio Napoli con la partecipazione al campionato di Serie C1.
Nel giro di qualche giorno il patron azzurro completò la squadra e chiamò Giampiero Ventura per guidarla alla promozione in Serie B, poi sostituito da Edy Reja. Premesse confermate, il Napoli riuscì a centrare la finale Playoff, uscendo però dal campo sconfitti in favore dell’Avellino e rimandando così la festa all’anno successivo.
Nell’estate prima della stagione 2005/2006 il presidente Aurelio De Laurentiis mise insieme una squadra formata da calciatori che poco avevano a che fare con la Serie C con l’obiettivo di sbaragliare la concorrenza e compiere l’ennesimo step della sua risalita dal baratro.
La promozione in Serie B è finalmente realtà, e il presidente Aurelio De Laurentiis decide di acquisire i titoli della Società Sportiva Calcio Napoli mantenendo così il nome storico e certificando un legame molto importante con il club fondato nel 1926. Da subito l’obiettivo primario è la Serie A, un traguardo ambizioso, ma alla portata della squadra che non tradisce le attese.
Nell’arco di tutta la stagione le ambizioni dei partenopei non sono mai state messe in discussione e il 10 giugno del 2007 il Napoli torna finalmente nella massima serie, dopo un’assenza di 6 anni e un fallimento di mezzo che aveva mandato in frantumi i sogni dei milioni di napoletani sparsi nel mondo di rivedere la squadra ai vertici del calcio italiano.

Napoli, la Serie A non basta: De Laurentiis punta all’Europa
Nell’estate in cui il Napoli tornò finalmente in Serie A, in città arrivarono calciatori del calibro di Ezequiel Lavezzi, Marek Hamsik e Marcelo Zalayeta. Il tridente in questione contribuì a valorizzare il grande lavoro di Edy Reja, che consentì ai suoi di affrontare il campionato da neopromossi, ma con ambizioni ben più importanti.
Nella stagione 2007/08 infatti gli azzurri riuscirono a mettere a segno colpi importanti, battendo Inter, Juventus e Milan davanti al proprio pubblico e conquistando l’accesso al turno eliminatorio della Coppa UEFA, dove però il Benfica spense i sogni degli azzurri.
La voglia d’Europa di Aurelio De Laurentiis si fa sempre più forte e le ambizioni crescono, sulla panchina del Napoli arriva Roberto Donadoni, ma nonostante le premesse la sua esperienza in Campania termina già in autunno, quando Walter Mazzarri prende le redini della squadra e dà il via ad un’incredibile ciclo che ancora oggi viene ricordato come uno dei più emozionanti della storia azzurra.
Con l’allenatore ex Sampdoria in panchina, nasce la “zona Mazzarri“, ovvero un particolare periodo di tempo allo scadere di ogni partita in cui i calciatori del Napoli, avvolti da una nuova energia, riuscivano a rimontare il risultato e portare a casa vittorie insperate. Tra le più belle di quel periodo, nel cuore dei tifosi azzurri rimarrà per sempre lo storico trionfo all’Olimpico di Torino contro la Juventus, con Jesus Datolo e Marek Hamsik che riuscirono a ribaltare il 2-0 e vincere il match sul 2-3.

Napoli, Mazzarri fa sognare: ecco la Champions League
Walter Mazzarri verrà per sempre ricordato dai tifosi del Napoli per essere stato l’artefice del ritorno del club nell’Europa che conta. Dal 1926 infatti, la società del capoluogo campano aveva visto soltanto una volta l’allora Coppa dei Campioni, quando proprio con Maradona, Bigon e i suoi riuscirono a centrarla vincendo il secondo Scudetto nel 1990.
La stagione 2010/11 ha segnato uno spartiacque negli anni di presidenza di Aurelio De Laurentiis, con il ritorno in Champions League infatti gli azzurri hanno avuto modo di alzare l’asticella delle proprie ambizioni e farsi conoscere anche al di fuori dei confini italiani. In quell’anno arriva anche il primo trofeo della nuova proprietà, la Coppa Italia vinta in finale a Roma contro la Juventus grazie ai gol di Hamsik e Cavani, che hanno steso una Vecchia Signora imbattuta per tutto l’anno fino a quella partita.

Napoli, con Benitez arrivano i campioni
Proseguendo con la crescita esponenziale del club, nella stagione 2013-14 comincia l’era di Rafa Benitez. Fino a quel momento, nessun tifoso del Napoli avrebbe mai pensato di poter vedere un allenatore del calibro dello spagnolo sedersi sulla panchina dello Stadio San Paolo, ma come il tempo ha sempre insegnato, Aurelio De Laurentiis è stato in grado di stupire la piazza ancora una volta.
L’approdo del tecnico ex Liverpool nel capoluogo campano non è solo esaltante dal punto di vista tecnico, ma soprattutto dal lato manageriale e di appeal del club.
Grazie alle conoscenze di Rafa Benitez e al suo blasone personale, il Napoli riesce ad ingaggiare calciatori del calibro di Gonzalo Higuain, Pepe Reina, José Callejon e un giovanissimo Kalidou Koulibaly, ancora acerbo, ma già in grado di far sognare i tifosi azzurri. Nonostante le premesse importanti però, il cammino in Champions League negli anni di permanenza del tecnico spagnolo non è dei migliori.
Al primo anno il Napoli sfiora la qualificazione agli ottavi di Champions League, ma è costretto a ripartire dall’Europa League per via dell’eliminazione subita ai gironi con 12 punti a pari merito con Borussia Dortmund e Arsenal. Quello stesso anno però Benitez riesce a togliersi la soddisfazione di vincere un trofeo, la Coppa Italia, nella tristemente famosa finale di Roma contro la Fiorentina, ricordata più per i fatti di contorno che per ciò che accadde in campo.
Qualche ora prima del fischio d’inizio allo Stadio Olimpico di Roma, accadde quello che non dovrebbe mai succedere per una partita di calcio. Nei pressi di Tor di Quinto, zona adibita al transito dei supporters partenopei in occasione della finale di Coppa Italia, un colpo di pistola partì all’interno del vialetto di una struttura lì vicino. Il proiettile colpì Ciro Esposito, giovane tifoso azzurro in trasferta per assistere al match, che da lì a un mese perse la vita in seguito ai danni riportati nella sparatoria.

Napoli, Benitez saluta: ecco il Sarrismo
Dopo l’ultimo anno di Benitez culminato con la mancata qualificazione in Champions League nella partita contro la Lazio, in cui Higuain fallisce il rigore decisivo, l’ex tecnico del Liverpool si separa dal Napoli di comune accordo con il presidente Aurelio De Laurentiis. Al suo posto, sulla panchina del San Paolo, si siede Maurizio Sarri, reduce da una stagione splendida alla guida dell’Empoli e voglioso di affermarsi nel luogo che gli ha dato i natali.
Già dai video degli allenamenti, seguiti dalle amichevoli estive, il Napoli di Maurizio Sarri si avvolge attorno al sistema di gioco che cambierà ancora una volta la storia del calcio nel capoluogo campano. Il Sarrismo è una vera e propria invenzione, molto simile alle tattiche di Pep Guardiola e a tratti anche più efficace dal punto di vista difensivo. Ci mette un po’ la squadra ad accogliere tutte le indicazioni dell’allenatore ex Empoli, ma il momento in cui succede segna un punto di svolta nell’esperienza triennale del tecnico di Figline.
Nei primi due anni di gestione, il Napoli agguanta un secondo e un terzo posto, dando comunque l’idea di essere appena un gradino sotto alla Juventus che da anni già dominava il campionato. Il terzo anno è quello del sogno che diventa quasi realtà, il “sogno nel cuore” che i tifosi azzurri cantano all’impazzata dalla prima all’ultima giornata.
Nel girone d’andata non c’è storia, il Napoli domina in lungo e in largo e diventa anche complicato da affrontare, considerata la maestria nel gestire il pallone e la grinta con cui i calciatori si precipitano a recuperare la sfera una volta persa. In città si respira un’aria ambiziosa, a tinte tricolori, ma la Juventus recupera il gap minimo e si riporta davanti nelle battute finali del torneo, fino allo scontro epocale dello Stadium.
Napoli, la presa di Torino: Koulibaly vola in cielo
Il 22 aprile del 2018 è una giornata che, volente o nolente, rimarrà nei diari dei tifosi del Napoli per generazioni e generazioni. Distanti solo 4 punti in classifica a cinque giornate dalla fine del campionato, Sarri e Allegri si affrontano nella più classica delle sfide Scudetto, nella cornice dello Stadium di Torino dove il pubblico occupa ogni ordine di posto. Fin da subito ci si rende conto di quanto entrambe le squadre non vogliano perdere la partita. Tanta, forse troppa attenzione difensiva che lascia poco spazio alle azioni offensive dei due attacchi.
Scocca il 90′ e il Napoli guadagna un calcio d’angolo che molto probabilmente avrebbe chiuso il match sullo 0-0. José Callejon si incarica di battere il corner e scodella al centro dell’area di rigore un pallone che sembra rimanere sospeso a mezz’aria per qualche secondo, prima di impattare sulla testa di Kalidou Koulibaly, che colpisce e manda in porta la sfera che vale il vantaggio per 1-0 dei ragazzi di Sarri. Sugli spalti e in città il delirio può cominciare, i tifosi partenopei si lasciano andare ad una festa interminabile, quasi avessero già in pugno lo Scudetto.
La Juventus infatti dopo aver perso a Torino contro il Napoli avrebbe affrontato l’Inter a Milano, mentre ad aspettare Sarri al Franchi c’era la Fiorentina. Un incrocio che sapeva di sorpasso, ma nella notte di San Siro il sogno nel cuore sfuma ancora, grazie alla rimonta dei bianconeri che vincono il match per 3-2 e allungano sugli azzurri, sconfitti a Firenze per 3-0. Alla fine della stagione, l’allenatore saluta gli azzurri e vola a Londra, dove lo aspetta il Chelsea per mettere in pratica quello che in Inghilterra diventerà il “Sarriball“.

Napoli, il duo Ancelotti-Gattuso e l’ammutinamento
Al termine dell’esperienza partenopea di Maurizio Sarri, Aurelio De Laurentiis è pronto a sfornare l’ennesimo colpo di teatro della sua gestione. A sorpresa, sul suo profilo Twitter appare la foto che annuncia il nuovo allenatore, Carlo Ancelotti. Il tecnico di Reggiolo inizia la sua avventura a Napoli con grandi aspettative, considerando lo Scudetto sfumato qualche mese prima e il palmares che non ha bisogno di presentazioni.
Nonostante ciò però i due anni di Ancelotti alla guida del Napoli sono caratterizzati più da questioni extra campo che dai risultati sul terreno di gioco. Il primo anno si conclude con un secondo posto senza infamia e senza lode, mentre la seconda stagione subisce un calo drastico nel periodo invernale, quando delle frizioni tra allenatore e squadra cominciano a vedere la luce.
Un vero e proprio ammutinamento è quello andato in scena a metà della seconda stagione di Carlo Ancelotti a Napoli, con i senatori dello spogliatoio pronti ad andare contro l’allenatore pur di salvaguardare il loro ruolo all’interno del club. Il finale è già scritto, la scelta più logica in quel momento è l’esonero del tecnico ex Milan, che lascia il posto ad uno dei suoi pupilli, Gennaro Gattuso.
Anche la storia dell’ex centrocampista Campione del Mondo con l’Italia non è delle migliori, nonostante la vittoria della Coppa Italia in una stagione che di tutto sapeva, tranne che di calcio, per via delle vicende legate alla diffusione del Covid-19 e alla conseguente chiusura degli stadi. Alla fine dell’annata 2020-21, il Napoli non riesce a centrare la qualificazione in Champions League, a causa del pareggio per 1-1 in casa contro l’Hellas Verona, che sancisce anche la fine dell’esperienza azzurra di Gattuso, per lasciare spazio a Luciano Spalletti.

Napoli, Spalletti scrive la storia: la città è pronta
Quando Aurelio De Laurentiis ha annunciato l’addio di Gennaro Gattuso durante l’ultima partita di campionato contro l’Hellas Verona, in città è partita subito la campagna di investigazione per scoprire chi sarebbe stato il prossimo allenatore del Napoli. Mentre si spargono le voci di un romantico quanto più complicato ritorno di Maurizio Sarri, il presidente azzurro stupisce tutti nuovamente e dà il benvenuto a Luciano Spalletti.
La scelta non viene accolta positivamente dalla piazza, ancora scottata dallo Scudetto sfiorato con Sarri e dall’esperienza fallimentare di Carlo Ancelotti, viste le ambizioni altissime del Napoli di puntare alla vittoria in Serie A. Le scelte di De Laurentiis però non sono mai prese a caso e così è anche per Spalletti, che arriva all’ombra del Vesuvio da eterno incompiuto e con diversi piazzamenti al secondo posto nelle sue molteplici esperienze in Italia, in particolare a Roma.
Chi meglio di un incompiuto per riportare a Napoli uno Scudetto che manca da tanto, troppo tempo? Questo deve aver pensato De Laurentiis quando ha scelto il tecnico di Certaldo per la sua panchina, e col senno di poi, ha avuto ragione per l’ennesima volta.
La prima stagione di Spalletti sulla panchina del Napoli comincia con una serie di risultati utili che proiettano la squadra in testa alla classifica di Serie A dopo 15 giornate. La corsa allo Scudetto è serrata e Inter e Milan danno filo da torcere, forse più pronte e più continue nei risultati a lungo andare. Alla fine i partenopei chiuderanno il campionato al terzo posto, con tanti rammarichi e dubbi per il futuro, anche e soprattutto riguardo la guida tecnica.

Napoli, Spalletti guida la rivoluzione: finalmente è Scudetto
L’estate del 2022 rappresenta l’ennesima rivoluzione della storia recente del Napoli. Nonostante la conferma di Spalletti in panchina, il presidente Aurelio De Laurentiis, unitamente con il ds Cristiano Giuntoli, decidono di liberarsi dei calciatori più rappresentativi come Insigne, Mertens, Koulibaly e Fabian Ruiz, per puntare su profili affamati di vittorie e vogliosi di dimostrare il proprio valore. Arrivano così Simeone, Raspadori, Kim Min-Jae e Kvaratskhelia.
La scelta di puntare su un georgiano sconosciuto ai più non fu capita, ma bastarono 10 minuti di gioco nella prima uscita stagionale in Serie A contro l’Hellas Verona per lasciare tutti senza parole.
Nell’arco di tutta la stagione il Napoli non ha mai smesso di correre, anche quando sembrava che ci si potesse rilassare, gli uomini di Spalletti erano lì pronti ad azzannare il campo e tornare negli spogliatoi con la maglia intrisa di sudore e fili d’erba, con in mano lo scalpo degli avversari che ad uno ad uno cadevano sotto i colpi di Victor Osimhen e Khvicha Kvaratskhelia.
Qualcuno tra gli addetti ai lavori cominciava già a parlare di Scudetto, una parola che nella città di Napoli si è sempre fatto fatica a pronunciare per via della scaramanzia, ma che questa volta ha assunto un significato quasi mistico che ha accompagnato la squadra da novembre fino a giugno. Le strade del capoluogo campano hanno cominciato a colorarsi di azzurro, sui palazzi apparivano pian piano sempre più immagini a tinte tricolori, qualcosa stava cambiando nella mentalità dei tifosi.
Quasi come se si fossero ritrovati improvvisamente in un film di Paolo Sorrentino, rigorosamente prodotto da Aurelio De Laurentiis, i tifosi del Napoli hanno interpretato al meglio delle loro possibilità il ruolo di protagonisti ex-aequo con la squadra, unendosi in un legame indissolubile e destinato a rimanere vivo per generazioni. La notte degli Oscar a tinte azzurre era già programmata, il 4 maggio del 2023 i ragazzi di Spalletti si sarebbero recati a Udine con la chance di chiudere i giochi e laurearsi finalmente campioni.
Nei primi minuti della partita, Lovric cerca di mettere i bastoni tra le ruote alle migliaia di tifosi azzurri partiti da Napoli e provincia e presenti alla Dacia Arena. Nonostante i numerosi tentativi però l’uomo più rappresentativo di questo Napoli, Victor Osimhen, decide di mettere la pietra tombale sul campionato, siglando il gol dell’1-1 che consegna il tricolore a Spalletti e dà il via ad una festa senza freni che ha fatto il giro del mondo in poche ore.
Da Londra fino a New York, passando per Madrid, ogni singolo tifoso del Napoli sparso per il globo ha preso per mano un amico, un fratello o semplicemente uno sconosciuto con la stessa passione, e ha liberato le proprie emozioni per uno Scudetto tanto atteso quanto insperato, arrivato ben 33 anni dopo l’ultima volta con Diego Armando Maradona ad alzare il trofeo.

Napoli, l’addio di Spalletti e la scelta di Garcia
Già verso la fine del campionato, a Scudetto già raggiunto, le voci di un possibile addio di Luciano Spalletti a fine stagione cominciavano a prendere piede. Nonostante il trionfo e l’amore per Napoli infatti, il tecnico di Certaldo ha deciso insieme al presidente De Laurentiis di interrompere il rapporto e fermarsi per un anno di riposo, dopo il grande sforzo compiuto nella gestione di un gruppo che ha saputo seguirlo e portare a termine una missione incredibile.
Luciano Spalletti sarà sempre nei cuori dei napoletani, così come il popolo azzurro resterà indiscutibilmente parte della sua vita, tanto che l’allenatore toscano ha deciso addirittura di imprimere il logo del Napoli sulla sua pelle, a certificare un amore che non potrà mai cessare di esistere. “Non mi siederò mai su nessun’altra panchina in Italia, non voglio affrontare il Napoli“, questa è soltanto una delle esternazioni di affetto rilasciate da Spalletti, l’uomo che è stato in grado di scrivere la pagina di storia più bella del libro targato 1926.
Dopo settimane di lunga attesa per conoscere il nome del suo successore e tanti nomi passati tra le mani della stampa, come sempre è stato il presidente De Laurentiis a rompere gli indugi e a sciogliere ogni dubbio. Con un tweet apparso sul suo profilo ufficiale infatti, il 15 giugno annuncia l’ingaggio di Rudi Garcia, nello stupore generale e nell’incredulità delle agenzie di informazione che solo qualche ora prima avevano ipotizzato l’approdo di Christophe Galtier sulla panchina del Napoli.
Ancora una volta il patron azzurro compie una scelta impopolare, come fu per Spalletti e per Sarri prima di lui, con la speranza di avere nuovamente ragione e proseguire con la crescita del club, puntando ad obiettivi sempre più grandi e ambiziosi come la Champions League e la riconferma in Serie A.

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