NBA, la stagione di Utah Jazz: un progetto di ricostruzione competitivo

Gli Utah Jazz sono uno dei progetti più interessanti della NBA: sono in piena fase di ricostruzione ma comunque rimangono competitivi e cercheranno di riconfermarsi già nella prossima offseason

Valerio Cavallaro
8 Min di lettura

Gli Utah Jazz sono di diritto una delle franchigie più organizzate della storia dell’NBA, nonostante il palmares reciti “zero anelli”. Il segreto di questa organizzazione sta nel saper vedere il futuro. Probabilmente i direttori sportivi che studiano e lavorano a Salt Lake City giovano della natura circostante, perché smantellare le squadre artefici dei playoff dal 2016 al 2022, Rudy Gobert e Donovan Mitchell su tutti, per poi giocare comunque un’ottima stagione è un’intuizione non da poco.

Alla buona stagione di Utah, che si è conclusa anzitempo soltanto per l’inesperienza globale del roster, vanno addizionate le future scelte al Draft NBA: quando i Jazz si trovavano primi a Ovest a un certo punto di questa stagione, nel front office erano ben consci di quanti asset positivi avessero accumulato dando via il duo GobertMitchell e avranno potuto assaporare un futuro radioso già nel presente.

Di note di colore, soprattutto a tinte internazionali, in casa Jazz ne sono pieni zeppi: parliamo di Lauri Markkanen, il soldato finlandese da 25,6 punti di media in stagione, di Jordan Clarkson, il filippino frizzante, di Simone Fontecchio, la nostra bandiera in NBA, ma anche di alcuni ottimi americani come Collin Sexton e il rookie Walker Kessler.

NBA, Utah Jazz: la Regular Season

Al di là delle ottime premesse, va ricordato che gli Utah Jazz sono arrivati dodicesimi nella Western Conference con un record di 37 vittorie e 45 sconfitte, ovvero una percentuale di vittorie dello 0.451. Tuttavia, a differenza delle altre franchigie NBA che hanno iniziato una fase di ricostruzione, per i Jazz il rischio era calcolato, dal momento che in un’estate sola sono partiti i due giocatori più forti in rosa ma ne sono arrivati altri altrettanto affidabili, oltre alle buonissime scelte ai Draft dei prossimi anni.

I Jazz sono rimasti nella zona playoff NBA per almeno un buon 60% della stagione, quando un’inevitabile flessione figlia dell’inesperienza collettiva ha dato il via a una caduta libera che li ha fatti arenare dolcemente poco fuori i play-in. La fortuna di Utah è stata quella di saper far ruotare bene i propri effettivi e di farli integrare in un sistema giovane e dinamico, così come è giovane e dinamico il coach Will Hardy.

Proprio sull’elemento “giovane e dinamico” si è basata questa stagione per gli Utah Jazz. In un contesto dove è stato possibile far crescere i giovani in pace, la capacità di coach Hardy di farli ruotare bene dando a ognuno di loro il proprio spazio e la propria opportunità di mettersi in mostra ha fatto le fortune della franchigia. Grazie alla loro verve creativa e al loro gioco veloce, i Jazz si sono posizionati undicesimi in NBA per velocità media, decimi per efficienza offensiva ma soprattutto decimi per punti a partita, 117,1 di media.

NBA, Utah Jazz: up & down

Di spunti negativi, ovviamente, ce ne sono. Dopo aver perso Jarred Vanderbilt a metà stagione, l’efficienza difensiva ne è venuta un po’ meno. I Jazz erano una squadra ben organizzata in difesa fino a un certo punto della stagione, tanto che a inizio anno riuscivano a tenere gli avversari sotto il 31% complessivo dall’arco. A fine stagione, invece, si posizionano 24° in NBA per punti concessi agli avversari, 118 punti, e 22° per defensive efficiency, 116,7.

A livello individuale, ci sono stati degli alti e dei bassi. Partendo dai migliori in stagione, i riflettori sono tutti per Lauri Markkanen: prendendo spunto da come viene gestito con la nazionale finlandese, coach Hardy ha permesso alla sua ala di chiudere la stagione con25,6 punti, 8,6 rimbalzi e il 49,9 % dal campo. A lui vanno aggiunti i numeri di Jordan Clarkson, 20,8 punti e 4,4 assist di media, Collin Sexton, 14,3 punti e il 50,6 % dal campo, e Kris Dunn, un buon play da 13,2 punti e 5,6 assist di media.

Un capitolo a parte va lasciato ai due rookie di Utah, Walker Kessler e Simone Fontecchio. Per il primo parliamo di 9,2 punti, 8,4 rimbalzi e un incredibile 72% dal campo, mentre per il talento abruzzese, al primo anno in NBA dopo tanti anni di gavetta in Europa, i numeri sono confortanti in ottica futura: 6,3 punti e 1,7 rimbalzi di media, sbracciando quasi tutta la stagione per crearsi uno spazietto nelle rotazioni. Dunque, è chiaro che il contesto giovane e dinamico abbia saputo dare lustro a giocatori che hanno deluso nelle ultime stagioni, ma soprattutto ai nuovi arrivati.

NBA, Utah Jazz: prospettive per Draft e free agency

Gli Utah Jazz sono un paradosso tra le squadre NBA che puntano a ricostruire. In un’estate sono passati da essere una franchigia oltre il limite della luxury tax a essere una squadra competitiva e al tempo stesso con ottimi asset, sia finanziari che di scelte al Draft. Ora Utah non deve accelerare il processo e deve avere pazienza nei confronti dei propri giovani, nonché devono gestire al meglio il proprio budget e scegliere altri ottimi prospetti.

A livello di scelte, Utah è una delle due franchigie NBA insieme agli Indiana Pacers ad averne ben tre al primo giro del Draft 2023, nonché hanno un buon 4,5% di probabilità di avere la prima scelta quest’anno e 13 prime scelte nei prossimi sei anni. Qualsiasi discorso riguardo a quali giovani verranno selezionati verterà intorno alla necessità di trovare un play più talentuoso oppure di rimanere con un backcourt composto dai soli Talen Horton-Tucker e Kris Dunn, buoni gregari ma non primissime scelte nel panorama NBA.

La questione play riguarderà anche i free agent e le trade in entrata. In ogni caso, gli Utah Jazz hanno 30 milioni di dollari di spazio salariale al di fuori delle player option di Horton-Tucker, Clarkson e altri componenti della rosa: hanno fino al 28 giugno per risolvere i discorsi relativi a questi contratti. Ecco che dunque Utah passerà una offseason all’insegna dei rinnovi, in particolar modo di Markkanen e Clarkson, piuttosto che alla necessità di aggiungere pedine a una rosa già di per sé lunga, esperta e giovane allo stesso tempo.

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