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“È più difficile vincere la Premier che trionfare in Champions”. Così Pep Guardiola, alla vigilia dello scontro tra Manchester City e Aston Villa, ha scelto di responsabilizzare i suoi uomini, in bilico tra inferno e paradiso e con un campionato inglese ancora da assegnare. Alle porte della 38esima e ultima giornata di campionato, infatti, l’ex First Division non ha ancora sancito la regina tra Citizens e Liverpool, con gli uomini di Klopp ad inseguire e distanti un solo punto dagli Sky Blues. I dubbi, comunque, saranno sciolti a partire dalle ore 17:00 di domenica 22 maggio, quando le due compagini affronteranno le rispettive avversarie in contemporanea.
Desiderosi di scaldare gli animi, abbiamo accolto in esclusiva ai nostri microfoni Nicola Roggero, leggendario telecronista di Sky e massimo conoscitore della cultura calcistica inglese. Insieme a lui, è parso spontaneo passeggiare tra aneddoti personali e tratti distintivi del campionato più affasciante al mondo, cercando di contrapporre la visione italica alla chiave di lettura anglosassone.
Roggero: “Rapito dal football fin da bambino. Lo United mi intrigava”
Nicola, che piacere essere qui! Possiamo darci del tu?
“Il piacere è mio! Certo, possiamo darci del tu”.
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A precedere i convenevoli, c’è una carriera iconica e facilmente associabile alla gloriosa Premier League. A questo proposito, toglimi una curiosità: il primo avvicinamento al campionato inglese è stato dettato da una passione predefinita o da assegnazioni lavorative?
“Da bambino seguivo la Tv Svizzera, che nello sport aveva una completezza di informazione e di livello culturale altissimo. La Domenica Sportiva del canale in lingua italiana trasmetteva gli highlights (anche se all’epoca non si diceva così) delle migliori partite della giornata di campionato. Bastarono 3 o 4 minuti di immagini a farmi innamorare di quelle atmosfere: gli stadi con il pubblico vicinissimo al campo, i terreni fangosi, i palloni bianchi… non ho più voluto abbandonare il panorama inglese”.
Quale è stata, storicamente, la squadra che hai commentato con maggiore coinvolgimento?
“Sono sempre stato sostenitore del Manchester United, anche se ora, da cronista, il coinvolgimento viene fatalmente coniugato con l’impegno e i doveri professionali. La cosa curiosa è che la prima partita intera del Manchester United cui ho assistito si chiuse con una sconfitta: era la finale di coppa d’Inghilterra, che sempre la Tv Svizzera, in quegli anni, trasmetteva in diretta. Lo United era favorito, ma perse 1-0 contro il Southampton, all’epoca in seconda divisione. Con spirito di fair-play decisi che quegli splendidi sfavoriti avevano meritato e da allora ho seguito con grande simpatia pure i Saints”.
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Roggero: “In Inghilterra atmosfere surreali. L’Italia che ne sa?”
Quali sono gli elementi che, di primo acchito, ti hanno fatto amare il calcio inglese? Al tempo non esistevano le attuali influenze economiche e infrastrutturali…
“Adoravo l’atmosfera degli stadi, il supporto dei tifosi (non certo gli hooligans, ovvio), il ritmo di gioco, durezza e lealtà in egual misura. Gli arbitri, poi, fischiavano pochissimo, con i giocatori che non osavano contestare la decisione del direttore di gara. Altra mentalità, credo sia indiscutibile”.
Secondo il tuo punto di vista, cosa spinge gli inglesi a riempire gli stadi di ogni categoria a dispetto dell’importanza del match o del prestigio del club chiamato in causa? A livello culturale, quali sono gli elementi capaci di portare questo enorme coinvolgimento?
“Il football, ma in generale lo sport, sono parte integrante del tessuto sociale britannico. Nelle classi borghesi si riteneva che non si potesse occupare posizioni di rilievo senza aver assaggiato la durezza dei campi da rugby, il torneo di Wimbledon è l’esaltazione della tradizione, il calcio ha rappresentato il miglior modo di trascorrere il sabato per la fascia più popolare. C’è un amore per il gioco e per la squadra del cuore che va oltre il semplice risultato, una cosa difficile da capire in un paese come l’Italia, analfabeta a livello sportivo. Noi confondiamo il tifo con la passione per lo sport, errore da matita blu“.
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Credi che la Serie A possa apprendere e applicare nozioni dal calcio inglese?
“Temo di no. Non esiste il concetto di lega, se si eccettua l’unico tentativo che rende compatti i club: la caccia ai soldi. Nessuno che si preoccupi di stadi, impianti e strutture, nessuno che sappia valorizzare storie e personaggi, nessuno che comprenda come certi comportamenti danneggino la reputazione del campionato. Bilanci taroccati, plusvalenze fittizie, stipendi pagati in ritardo, compromissione con il mondo ultras tollerate persino dalle forze dell’ordine: siamo privi di speranza”.
Dunque, non credi che il tifoso inglese possa ancora seguire con fascinazione il nostro campionato?
“Ti fornisco la più semplice delle risposte: no, nella maniera più assoluta“.
Roggero: “Klopp difficilmente la spunterà. C’e un giovane che terrei d’occhio…”
Siamo quasi ai titoli di coda di questa stagione agonistica: vedi ancora possibile il titolo per i Reds?
“È difficile, non hanno più il destino nelle loro mani e ad una giornata dal termine credo sia improbabile un ribaltone”.
Guardiola, con buona probabilità, porterà a casa il titolo. Quanto credi abbia influenzato il modo di valutare e vivere il calcio in Inghilterra?
“Ha imposto la sua filosofia, che non è affatto nelle corde delle tradizioni britanniche. E’ stato bravo a farsi comunque apprezzare, testimone una carriera pregna di successi meritati”.
In ottica futura, quali credi possano essere i giovani profili che il calcio inglese saprà regalare agli appassionati di pallone?
“Potrei menzionare quelli già noti, ma risulterei scontato. A parte i più in voga, mi piace molto Nathan Collins, difensore centrale di origini irlandesi e di proprietà del Burnley“.
Roggero: “Spero di portare riflessioni positive”
Chiudendo in tema, non posso che fare riferimento a “Premier League. Il racconto epico del calcio più entusiasmante di tutti i tempi”. La tua ultima uscita in libreria, datata 2019, è un inno alla storia che si fonde al romanticismo chiaroscuro dei giorni nostri. Quanta ricerca c’è dietro? E quanto credi che una lettura simile possa innescare autocritica nel nostro modo di pensare il calcio?
“La scrittura di queste pagine è stata dettata dalla passione smodata per il football inglese. Molte storie le conoscevo e ho fatto in modo di approfondirle, altre le ho scoperte con la ricerca e mi hanno affascinato enormemente. Spero che, se un’influenza ha avuto, sia stata sul corretto modo di vivere e osservare lo sport, mal digerito nel nostro Paese”.
Abbiamo finito: ci lasciamo con un mantra da telecronaca?
“Vista l’estate incombente, penso sia il caso di mettere l’ombrellino nel long drink“.