AIA, che male! Il metodo Corona ha colpito anche gli arbitri

Luca Vano
4 Minuti di lettura

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Dove c’è AIA, c’è gioia: così almeno è ciò che una storica pubblicità vuole farci credere. Ma basta alzarsi da tavola, cambiare il significato dell’acronimo e aver seguito un po’ di calcio da agosto ad oggi per capire una cosa. Non c’è proprio niente da ridere. Risulta difficile anche cominciare un discorso in ordine cronologico, perché la diatriba inerente alla classe arbitrale in Italia è più vecchia del calcio stesso. E allora nel dubbio, non sapendo se è nato prima l’uovo o la gallina, si fa spettacolo e si decide che parlare di fronte alle telecamere è la cosa più sensata.

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Arbitro Le Iene
Arbitro a Le Iene @Twitter

Il sospetto tanto amato

Peccato, però, che la figura incappucciata incaricata di svelare a Le Iene il marcio, a suo dire, dell’AIA guidata da Rocchi non porti con sé evidenze, ma solo sensazioni. La prima discrepanza è nella non trasparenza della confessione poiché, seppur autodichiaratosi arbitro e gaudente della fiducia indiscussa del popolo della tv, è pur sempre una figura “oscura” a parlare. Poi, viene giù il mondo: dal VAR funzionante a targhe alterne alla mancanza di uniformità della valutazione dei commissari, che influiscono sulla carriera più o meno prestigiosa di un arbitro.

Che vi sia inadeguatezza in campo e al VAR non lo scopre di certo il Robin Hood in primo piano su Italia 1: di errori se ne parla a iosa, in ogni studio televisivo, e siamo tutti d’accordo nel dire che non bastano più le scuse e il vittimismo di Rocchi a ripulire l’immagine di uno strumento usato più o meno spesso. Ma sicuramente male. Tuttavia, il dubbio sorge di conseguenza. Come può un arbitro alimentare la cultura del sospetto che, in quanto direttore di gara, dovrebbe assottigliare nel Paese dei malpensanti per eccellenza?

Pallone Serie A, Salernitana-Lazio
Pallone Serie A @LPS

Gli eredi di Corona

Ecco, il boccone resta amaro da digerire. E si scopre che il reale nocciolo del problema non è il rigore o il non rigore, non è il giallo o il rosso. Il problema è la visibilità. Recarsi insieme agli altri 5 arbitri da lui citati in Tribunale e denunciare le incongruenze sarebbe la giusta strada da percorrere, ma siamo sicuri che se ne sarebbe parlato? Quindi, spazio al metodo Corona e allo “sbatti il mostro in prima pagina”. In questo caso l’istituzione, ossia l’AIA presa per intero.

In tal senso, Rocchi ha rilasciato una delle poche dichiarazioni azzeccate dall’inizio della stagione ad oggi: “Se questo signore ha le prove, le mostri nelle sedi opportune”. Ma ormai tutto è show-business e la corsa all’oro è diventata a chi fa più rumore dietro ad una telecamera, il giornalismo d’inchiesta – quello vero – ha lasciato il posto alle cibarie per le clip sui social ed è stucchevole che chi dovrebbe risultare al di sopra delle parti si adegui ad un modo parziale e fraintendibile di comunicare.

Anche perché basterebbe poco, se proprio la classe arbitrale si è resa conto di essere nel 2024 è che la scelta di “non comunicare” è di per se già una comunicazione. Errata, se ve lo steste chiedendo. Dunque quanto manca per avere gli audio del VAR in tempo reale, e non con una settimana di ritardo? Cosa dobbiamo fare ancora per avere un arbitro in sala stampa, con un atteggiamento propositivo e volto alla spiegazione? Dire “ho sbagliato” non lava le coscienze. Al massimo ripulisce l’immagine, che se però di fronte ad una telecamera appare scura e incappucciata resta comunque poco rassicurante.

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