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Questa è una gemma targata ESPN. Della serie documentaristica 30 for 30, Once brothers, è sicuramente uno dei capitoli più struggenti. Film del 2010, affidato al regista Michael Tolajian. La storia, a dire il vero già abbastanza conosciuta, è il quadro dell’amicizia fraterna tra due enormi talenti del basket europeo che si sono affermati successivamente anche in NBA. Vlade Divac narra, durante tutto il corso del film, aneddoti e periodi della sua carriera dal Partizan Belgrado arrivando alla sua avventura nel massimo campionato americano di pallacanestro, relazionando la sua carriera al rapporto con Drazen Petrovic. Due personalità completamente opposte che si completavano nel campo da basket per poi unirsi anche nella vita privata.
I due si sono conosciuti al tempo delle giovanili della Jugoslavia, nonostante i 4 anni di differenza. Nel documentario ci sono anche le testimonianze di chi faceva parte della nazionale Jugoslava di basket di quel periodo. Campioni del calibro di Dino Rada e Toni Kukoc. La ricetta vincente della nazionale che guadagnò l’argento alle Olimpiadi di Seoul 1988, l’europeo casalingo nel 1989 e tanti altri successi a ridosso dei primi anni ’90. Ma di maggiore importanza in questa storia è la vittoria del campionato del mondo 1990 in Argentina.
Il trionfo e la rottura definitiva
Come ben noto, il rapporto tra i due si rovinò nella maniera più assoluta, con la Jugoslavia in aria di scissione e con una guerra civile in atto. Da una parte Divac, serbo e ortodosso, dall’altra Petrovic, croato e cattolico. Il 19 agosto 1990, dopo aver sconfitto i più quotati U.S.A., la nazionale slava affronta l’Unione Sovietica. La partita è un trionfo, un messaggio di forza e unità. I sovietici vengono sconfitti per 92 a 75 e la Jugoslavia conquista il suo terzo titolo mondiale. Ma è proprio nei festeggiamenti che si rompe la meravigliosa storia tra i due.
Durante le celebrazioni per la vittoria, un tifoso scende in campo con una bandiera croata che Divac senza alcuna cattiva intenzione e agendo d’istinto, gli strappa dalle mani e getta a terra come a significare che non esistono serbi o croati e in quella sera di Buenos Aires avevano vinto tutti gli Jugoslavi. Da quel momento comincia una freddezza nei rapporti tra i due, soprattutto da parte di Petrovic che si è sempre professato orgogliosamente croato. Il cestista serbo aveva anche dichiarato al tempo del fatto, l’innocenza del suo gesto affermando: “Non ci sono distinzioni tra serbi e croati, siamo tutti Jugoslavi”.
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Non bastarono quelle parole a ristabilire, quanto meno, un piccolo rapporto tra i due che si voltarono completamente le spalle. Appena arrivati in NBA, passavano ore al telefono per darsi supporto e condividere vittorie. Divac ai Lakers si era affermato subito come uno dei centri più intelligenti dell’intera lega, mentre Petrovic a Portland è poco considerato dal coach Rick Adelman e viene successivamente anche visto dai compagni di squadra come egoista in campo. La prima persona alla quale si rivolgeva Drazen era il suo “fratello” Vlade. Nel bene e nel male i due erano uniti più che mai. E la frattura insanabile causata dalla guerra e della rivalità serbo-croata non è mai stata rimarginata.
Gli ultimi punti di Petrovic
30 punti, quelli che mise a segno Drazen Petrovic nell’ultima partita non solo della sua carriera ma della sua vita. Il 7 giugno 1993, di ritorno da una vittoria schiacciante della Croazia sulla Polonia, Drazen prenderà la decisione che si rivelerà fatale. Invece di rientrare in patria in aereo con la squadra, preferisce il viaggio in macchina con la fidanzata e un’amica e all’altezza di Denkendorf in Germania, a causa della scarsa visibilità dovuta alla pioggia, un tir invade la corsia uccidendo il giocatore addormentato sul sedile del passeggero. Il mondo dello sport è sotto shock. In Croazia, ancora oggi, il 7 giugno è giornata di lutto nazionale nel ricordo di un eroe. Un baluardo che ha portato l’orgoglio croato in NBA.
E ora tra Croazia e Serbia non scorre buon sangue e tanto ne è stato versato, per raggiungere nel 1992 l’accordo che sanciva la divisione tra croati e jugoslavi. Ancora oggi i due popoli non sono accomunabili e nel 1993 Divac non potè nemmeno andare ad assistere al funerale dell’ex amico, in quanto la tensione tra i due stati era alle stelle. Negli anni successivi il cestista slavo proseguì la sua carriera e si attivò nelle campagne umanitarie per sostenere chi ha sofferto le conseguenze della guerra, senza però mai ricongiungersi con i familiari di Petrovic, date le difficolta nell’andare a Zagabria.
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20 anni dopo ritorna la pace
In questo documentario si assiste alla prima riunione tra la famiglia di Petrovic e Divac. Colpisce l’odio etnico ancora vivo, come se non fossero passati vent’anni dal conflitto in Jugoslavia. Vlade viene riconosciuto dai passanti che non sono per nulla buoni con lui, che viene addirittura definito Chetnik, ovvero, soldato dell’esercito Jugoslavo. È sconcertante quanto odio ci sia al giorno d’oggi tra questi popoli e soprattutto fa riflettere la sensazione di serenità del serbo con il primo croato che non lo ha riconosciuto e di conseguenza non lo ha preso di mira. Il mix di emozioni raccontato, prosegue con l’accoglienza amichevole che la famiglia del cestista defunto riserva al serbo.
La degna fine del racconto è la visita di Divac sulla tomba del “fratello” Drazen. La scena più rappresentativa, dove vengono raccolte tutte le emozioni di Vlade nei confronti della sua storia con Petrovic. E chissà, se in fondo, l’ex cestista serbo abbia pensato a cosa sarebbe potuta essere la sua, comunque appagante, carriera con la vicinanza dell’amico fraterno croato. Questo documentario rapisce nella maniera più assoluta anche chi questa storia la conosce già da appassionato di pallacanestro e considerato ciò che sta accadendo ora in Ucraina, non è difficile rimanere incantati dal racconto a prescindere dal tema sportivo.
È difficile non farsi rapire dalle emozioni vere ed intreseche raccontate da Tolajian. Non c’è solo il racconto di una carriera sportiva e di una generazione prolifica come lo era la Jugoslavia cestistica dei primi anni 90′, ma anche le conseguenze della guerra, che colpiscono anche chi con quest’ultima non ci vuole avere nulla a che fare. Un conflitto di qualunque tipo porta divisione, odio e strascichi che si protraggono anche a distanza di tempo. In questo periodo storico sarebbe opportuno rispolverare questo documentario pensando a cosa questo abominio ha tolto al mondo dello sport e quanto ancora ci toglierà se andrà avanti.