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12 giugno alle urne di tutta l’Italia si votano 5 quesiti referendari sulla giustizia. Il referendum, proposto da Lega e Partito Radicale, si dimostra un vero e proprio flop non riuscendo a raggiungere il quorum che consenta la sua validità. Un’analisi sui motivi dell’astensione popolare sembra doverosa, accompagnata da una necessaria delucidazione su quali possano essere le conseguenze soprattutto in chiave Governo.
Tra le varie propagande sempre in funzione di interessi egoistici, quesiti posti in maniera dubbia e giochi di poltrone, anche il popolo, quel soggetto che dovrebbe essere sovrano sembrerebbe aver fallito. L’astensione con questi numeri elevati potrebbe essere sentore di un forte disinteresse delle questioni nazionali. Nell’epoca di una globalizzazione dilagante, in cui i mass media bombardano di notizie, non mostrare interesse per un referendum indica la presenza di numerose problematiche.
Referendum giustizia: i 5 quesiti referendari
Il referendum proposto per il 12 giugno si compone di 5 quesiti referendari, trattandosi per tutti della tipologia abrogativa proponendo l’abrogazione totale o parziale di una norma. Sottoporre quindi un tentativo di riformare la giustizia alla volontà popolare è risultato fallimentare. Dopo la proposta dei due partiti sovracitati, il referendum viene dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale il 16 febbraio.
Il primo dei quesiti tratta la legge Severino: votando ”Sì” avrebbero abrogato istituti come l’incandidabilità e decadenza. Il secondo pone l’attenzione sulle misure cautelari, con l’obiettivo di rimuovere la reiterazione del reato. Gli ultimi tre quesiti si legano ad aspetti interni la Magistratura: separazione delle carriere (funzione requirente e funzione giudicante), valutazione dei magistrati e riforma del CSM. Riformare la giustizia è un tema molto caldo viste le imminenti discussioni sulla riforma del Ministro Marta Cartabia.
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Referendum giustizia: vince la propaganda del disinteresse
In democrazia, quale sarebbe la nostra, è lecita la formazione di una intelaiatura di schieramenti. Tra chi appoggia il ”Sì” e chi il ”No”, c’è chi preferisce disinteressarsi e magari un ombrellone e due lettini. Infatti a trionfare 12 giugno è l’astensionismo, il forte disinteresse del popolo, quello sovrano tanto per ricordare. L’affluenza si attesta tra il 20,92% e il 20,95%, neanche minimamente vicino al quorum secondo i dati riportati da Ansa.it.
“Ma perché non si esercita il proprio diritto di voto soprattutto quando la nostra opinione possa fare la differenza?”. Al di là delle simpatie, delle ideologie politiche e delle proprie opinioni, tutte legittime purché legali. Forse abbiamo dimenticato, forse non l’abbiamo mai avuta quella concezione per cui il diritto di voto è un dovere civico. Essere disinteressati mostra in primis una nostra negligenza, anche perché se ci si aspetta delle propagande fatte per informare correttamente, faremmo prima ad informarci autonomamente.
Referendum nella storia: grandi successi e grandi flop
L’affluenza alle urne per un referendum è sempre una materia controversa, ancora oggetto di mistero. L’evoluzione storica ci conduce dinanzi ad una bipartizione tra grandi successi e grandi flop. Il referendum con maggior affluenza nella storia è quello del 2 giugno 1948, che segnerà il passaggio dalla monarchia alla Repubblica. In quel caso si raggiunge quota 89,1% dei votanti, considerando l’istituzione per la prima volta del suffragio universale.
Tornando alla tipologia abrogativa, la consultazione referendaria con maggior successo è quella che nel 1974 introduce il divorzio nell’ordinamento italiano, con un’affluenza del 87,7%. Tra i grandi flop figurano proprio i 5 quesiti sulla giustizia come minor numero di persone che hanno votato. A questi fa seguito il referendum del 2009 riguardo l’elezione di Camera e Senato che non raggiunge il quorum fermandosi tra il 23% e il 24%.
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Possibili conseguenze: Governo e riforma Cartabia
Certamente un flop del genere potrebbe portare conseguenze sul piano istituzionale visto soprattutto il coinvolgimento della Lega. Il partito guidato da Matteo Salvini rappresenta la seconda forza politica delle scorse elezioni e di conseguenza questo duro colpo subito potrebbe mettere in discussione la propria posizione agli occhi degli elettori in vista delle prossime elezioni. Non è da sottovalutare la questione riforme. La riforma avanzata dal Ministro Marta Cartabia sembrerebbe adesso in fase di stallo vista la decisione di Lega e Italia Viva nel non ritirare gli emendamenti. La maggioranza adesso è spaccata.