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Partiamo dalla fine. Nella splendida cornice dell’Arena Kombëtare di Tirana in Albania, la Roma batte il Feyenoord e trionfa nella primissima edizione della nuova Conference League. Si tratta di un successo incredibile per i modi e per i tempi con cui si è concretizzato, un evento unico che riscrive la storia giallorossa e che regala finalmente una splendida gioia a tutti i tifosi della squadra capitolina.
Special One
Per comprendere al meglio l’importanza di questo traguardo, è necessario fare un passo indietro e ripartire dal principio. Tutto comincia dalla partenza di Paulo Fonseca dalla capitale: il successore del tecnico portoghese è un suo conterraneo, ovvero Josè Mourinho. La scelta di affidare la panchina della Roma allo Special One è un atto di amore del presidente Friedkin nei confronti della tifoseria giallorossa, ormai fin troppo abituata a stagioni avare di soddisfazioni.
Il ritorno di Mourinho in Italia, dopo la prima esperienza all’Inter, è accolto con grande entusiasmo, ma anche con un pizzico di scetticismo. C’è grande curiosità attorno alla figura dell’allenatore di Setùbal: l’ambiente giallorosso è sempre stato molto duro e poco paziente coi suoi predecessori e proprio Mourinho è la persona giusta al momento opportuno per assorbire le critiche come una spugna e trasformarle come solo lui sa fare in qualcosa di bellissimo e indescrivibile.
D’altronde lo Special One ha sempre fatto così. Questo perché Josè Mourinho è molto più che un allenatore, è una sorta di sciamano che forgia la sua storia da sé e che penetra nella testa e nel cuore di ogni tifoso. L’opinione pubblica si divide e si riconcilia quando a parlare c’è il mister portoghese e anche i più aspri detrattori pendono dalle sue labbra. Ecco il motivo per cui Mourinho, ancora una volta, veste i panni dell’uomo del destino in grado di ribaltare una città intera e di riportare la Roma dove merita.
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Parola al campo
Comincia così la stagione 2021/2022 e il percorso in campionato della Roma è inevitabilmente arduo e ricco di difficoltà. Alle prime sconfitte, l’umore dell’ambiente giallorosso è già nero, perché il sistema di gioco sembra non funzionare e perché il rischio di trascorrere un’altra stagione anonima e deludente si fa sempre più concreto. D’altro canto, però, bisogna ricordare che Roma non è stata costruita in un giorno.
Mourinho sperimenta, incassa i colpi e le critiche, cambia strategia più volte. Lo Special One non ha paura di sbagliare e non si preoccupa di ammettere i suoi errori. Tammy Abraham, arrivato del Chelsea, è il nuovo perno di ogni strategia offensiva, Lorenzo Pellegrini e Bryan Cristante rappresentano rispettivamente fosforo e muscoli del centrocampo, la difesa è un rebus e la soluzione è Chris Smalling.
Fiducia ai veterani, ma anche ai giovani che rappresentano il futuro: emblematico il ruolo che hanno assunto poco alla volta Felix Afena-Gyan e Nicola Zalewski, lanciati nella mischia con una sfrontatezza quasi naturale. D’altronde si sa che non c’è lavagna tattica che regga di fronte a quella mistica componente emotiva che nel calcio fa gettare il cuore oltre l’ostacolo e permette di raggiungere risultati insperati: la missione di Mourinho è proprio quella di trovare la giusta alchimia in grado di ribaltare un intero ambiente da capo a coda.
I gironi
La fase a gironi della Uefa Conference League si rivela subito insidiosa per la Roma, che dopo aver trionfato in maniera netta con il CSKA Sofia (5-1) e con lo Zorya Luhansk (3-0), subisce una tanto clamorosa quanto inaspettata umiliazione nelle terre norvegesi contro il Bodø/Glimt. Un 6-1 difficile da spiegare, un tonfo che non va giù neanche a Mourinho, il quale non si risparmia in conferenza stampa dichiarando guerra a tutto e tutti. La prima sconfitta in Europa coincide con il primo bilancio stagionale: la classifica in campionato non è delle migliori e la sensazione è alla squadra che manchi qualcosa per essere competitiva, una sorta di miccia che possa far riaccendere l’entusiasmo e ribaltare le sorti di una stagione problematica almeno quanto le precedenti. È il momento in cui ci si chiede cosa sia giusto fare e cosa no, le certezze sbiadiscono e i dubbi aumentano.
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La gara di ritorno casalinga col Bodø/Glimt rappresenta un’altra brutta botta per la Roma, che ancora una volta delude sul campo e riesce a strappare soltanto un 2-2. La fase a gironi si conclude con il bis di successi ancora con Zorya (4-0) e Cska Sofia (2-3 in trasferta) e il 2021 va così in archivio, concludendosi con mille punti interrogativi e una sola fiammella di speranza in vista del nuovo anno.
La svolta
Il 2022 è l’anno in cui cambia tutto: la rimonta subita in campionato per mano della Juventus rappresenta a tutti gli effetti la chiave di volta della stagione. Per certi versi, neanche il 6-1 in terra norvegese era stato così impattante sugli animi giallorossi: da 3-1 a 3-4 in meno di dieci minuti, una fitta devastante che ha messo a dura prova i sentimenti di ogni tifoso. Quella sconfitta ha aperto un vaso di Pandora in grado di mettere a nudo tutte le criticità e i limiti fisici, tecnici e mentali che ormai erano da tempo parte integrante del club, insite nella parte più profonda e fragile dell’animo romano. “È ufficiale, non tifo più calcio“, recitano le parole perentorie di un piccolo tifoso capitolino, rimasto a dir poco spiazzato da quella inspiegabile sconfitta.
Kintsugi
Lo spettro che aleggia a Trigoria è quello di un’ennesima annata senza capo né coda, alla perenne ricerca di un’identità di gioco. Ed ecco che, nel momento più delicato della stagione, Mourinho raccoglie i cocci di una squadra disgregata e crea con tanta pazienza una vera e propria opera d’arte.
Si narra che nella cultura popolare giapponese il kintsugi (金継ぎ) sia una pratica che consiste nell’utilizzo dell’oro liquido per riparare i vasi di ceramica. Questa tecnica permette di ottenere degli oggetti preziosi sia da un punto di vista economico che artistico. Ogni vaso di ceramica presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed irripetibile a causa della casualità con cui il materiale può frantumarsi. L’oro ripara e al contempo valorizza le crepe, perché è usanza comune credere che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma di perfezione estetica superiore.
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Josè Mourinho, con pazienza e tanto amore, compatta l’ambiente giallorosso, assorbe tutte le critiche e riesce a far rialzare una Roma più orgogliosa che mai. I limiti della rosa a disposizione ci sono ancora, ma la trasformazione in qualcosa di bellissimo è ormai cominciata e i filamenti d’oro giallo e rosso si dispongono ineluttabilmente tra i cocci dell’AS Roma.
Verso Tirana
La doppia sfida col Vitesse agli ottavi di finale è una vera e propria prova di forza. La squadra distratta e sfilacciata della prima parte di stagione non c’è più e a farle posto c’è una ritrovata corazzata che fa della solidità tattica la sua nuova arma segreta. Lo 0-1 in Olanda e l’1-1 al ritorno in casa sono sufficienti per passare il turno e fare un primo importante passo nella fase a eliminazione diretta verso la finale di Tirana.
All’improvviso, il colpo di scena. L’avversario dei quarti di finale è ancora il Bodø/Glimt, proprio la squadra che aveva umiliato i giallorossi nella fase a gironi. Una vera e propria nemesi, una bestia nera che costringe la Roma a guardarsi allo specchio e ad affrontare le proprie paure. Nella sfida d’andata incredibilmente i capitolini crollano ancora per 2-1, facendo tornare in maniera impetuosa tutti i dubbi e le incertezze che avevano contraddistinto la prima parte di stagione.
Eppure la tempra della Roma è ben diversa rispetto a qualche mese prima. Il furore giallorosso rimbomba al ritmo di mille tamburi che incalzano e preparano il terreno per la più dolce delle vendette: dopo tre partite, la quarta è quella buona per battere in maniera netta il Bodø/Glimt 4-0 e spezzare la maledizione.
La successiva semifinale col Leicester è una vera e propria battaglia. In terra inglese arriva un 1-1 importantissimo, perché i ritmi di gioco sono sempre molto alti e ribattere colpo su colpo non è affatto facile. Ma la Roma ormai c’è ed è sul pezzo con una regolarità sorprendente, tanto che la gara di ritorno all’Olimpico si rivela la definitiva prova di maturità della squadra giallorossa, che confeziona una prestazione perfetta e vince di misura 1-0. La Roma conquista così la finale, sotto gli occhi del doppio ex Claudio Ranieri, applaudito da tutto lo stadio all’unisono.
Fine dei giochi
L’ultimo atto di questa lunghissima stagione si gioca a Tirana, precisamente all’Arena Kombëtare. Ogni giorno che precede la finale è scandito dal battito del cuore di un’intera città, unita ed emozionata per questo grande evento. Alla vigilia, l’ansia è palpabile nell’aria e in giro non si parla d’altro. L’avversario, il Feyenoord, è tra i più ostici e la partita si rivela sin dai primi minuti sporca, fastidiosa, combattuta fino all’ultimo centimetro: insomma, il miglior campo di battaglia per Josè Mourinho.
Le finali non si giocano, si vincono. E questo lo Special One lo sa benissimo. A livello tattico la Roma raggiunge la sua massima espressione artistica ed erige un muro invalicabile a protezione dell’estremo difensore Rui Patricio, mentre la fase d’interdizione a centrocampo è un insieme di ingranaggi che si incastrano alla perfezione. Il gol di Nicolò Zaniolo basta e avanza per portare al trionfo una squadra, un club, un popolo, una città intera.
Niente male come rinascita e consacrazione per un giocatore che a gennaio e settembre 2020 aveva riportato la rottura del legamento crociato prima del ginocchio destro e poi sinistro. Il riscatto della Roma è totale: c’è anche spazio per il commovente ritorno di Leonardo Spinazzola, l’eroe di Euro 2020.
Capitan Pellegrini solleva la coppa e fa esultare tutti i tifosi giallorossi, che non si sono mai arresi neanche nei momenti più difficili e non hanno mai smesso di amare alla follia la propria squadra. Tirana si tinge di giallo e di rosso, Roma esplode di gioia. Mourinho diventa così il primo allenatore della storia a vincere Champions League, Europa League e Conference League: eppure, oltre ogni dato statistico, quello che colpisce dritto nel cuore di ogni tifoso è il suo pianto subito dopo il fischio finale. Lacrime di gioia, lacrime d’oro che abbracciano tutti i cocci della storia giallorossa e che creano una incredibile opera d’arte che rimarrà per sempre nel cuore di tutti noi. Roma caput mundi.