Roma, Gianluca Curci in ESCLUSIVA: “Molte volte i sogni non si avverano, nel mio caso si”

Le parole in ESCLUSIVA ai nostri microfoni di Gianluca Curci, ex calciatore e portiere della Roma, in merito alla sua carriera

Lorenzo Gulino
12 Minuti di lettura

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Facendo un grande salto nel tempo si torna all’arco temporale che va dal 2004 al 2008, periodo in cui una grande Roma solcava i campi da calcio guidata da calciatori del calibro di Totti, De Rossi, Montella, Aquilani e Perrotta. Tra i tanti presenti in quella fantastica rosa c’era uno di quei calciatori che della romanità ne ha fatto un vanto e che ha messo sempre l’amore per la maglia giallorossa prima di ogni cosa: il suo nome è Gianluca Curci. Il portiere classe ’85, che ha indossato la casacca della compagine capitolina per molti anni, ha parlato in ESCLUSIVA ai nostri microfoni in merito alla sua carriera.

Curci: “Iniziai in attacco, poi mi innamorai della porta”

Gianluca come ti sei avvicinato al mondo del calcio?

Io nasco come attaccante, da bambino amavo fare gol poi un giorno mio fratello Massimiliano mi ha detto di provare a mettermi in porta. Io avevo 7 anni e lui ne aveva 18, quindi la differenza d’età era molta e tirava forte, però siccome vedeva che non avevo paura del pallone mi disse di provare a fare il portiere. Con il tempo mi sono appassionato e gli allenatori che ho avuto alla Roma da bambino mi hanno fatto innamorare del ruolo e poi è andata in discesa. Quando ho iniziato con i giallorossi nel 1994 avevo 9 anni e nell’arco delle stagioni ho avuto tanti preparatori dei portieri bravissimi che dal primo all’ultimo mi hanno dato qualcosa”.

Avevi dei riti scaramantici particolari prima di entrare in campo?

Non sono il tipo che aveva molti riti, diciamo che anche a me capitava se vincevo una partita con quei guanti o con quei determinati scarpini però non ci facevo molto caso. Un evento in particolare fu quando parai il rigore a Miccoli nei quarti di finale di Coppa Italia quei guanti non li ho più toccati, li lasciai in bacheca”.

Roma, Curci: “Giocare con i giallorossi era il sogno che avevo fin da bambino”

Passando alla tua carriera con la Roma, nel 2004-2005 è arrivato il tuo esordio nel match contro il Parma, quali emozioni hai provato nello scendere in campo?

“Non sapevo del mio esordio fino ad un’ora e mezza prima della partita, quando è stato detto Curci mi sono chiesto come fosse possibile. Poi lì a 19 anni, l’inconsapevolezza davanti a 80.000 mila persone, perché era il giorno del record di Totti dei 107 gol, non avevo nulla da perdere quindi alla fine la prima partita è stata quella più semplice. Dopo quando hai più responsabilità, tutti si aspettano sempre quelle prestazioni, però ripeto la prima da titolare è stata la più semplice dal punto di vista mentale perché avevo solo da guadagnare”.

Ci sono stati periodi di difficoltà dove volevi mollare tutto?

Arrivato a certi livelli non dici basta, ci sono stati magari episodi durante i settori giovanili dove ti chiedi se è la cosa giusta da fare, perché comunque sono molti i sacrifici anche con gli amici che vogliono che tu vada con loro, ma devi dire che non puoi perché hai la partita, oppure l’allenamento. Quello è il momento durante il quale ti chiedi se veramente ne vale la pena, perché a 16 anni non sapevo se potevo arrivare in Serie A, poi quando arrivi diventa semplice”.

Gianluca poi è arrivato anche l’esordio in Champions League contro il Manchester United, all’Old Trafford, come hai vissuto il momento e la partita?

“Anche quello è stato un esordio inaspettato dove ho saputo due ore prima della partita che avrei giocato perché non c’era Doni. Venivamo dall’anno prima che avevamo perso 7 a 1 contro il Manchester United, dove io ero in panchina, e ovviamente negli spogliatoi questa cosa si sentiva perché non potevamo fare un’altra brutta figura. Sfortunatamente non siamo riusciti a pareggiare, abbiamo avuto un paio di buone occasioni, però non eravamo al livello del Manchester nonostante avessimo Chivu, Mexes, Totti, ma loro erano di un livello superiore. Per me era tutto di guadagnato perché esordire in Champions League contro Ronaldo, Rooney, Carrick, Neville, Rio Ferdinand, Vidic, van der Sar mi sembrava un sogno. Anche in quel momento non avevo nulla da perdere, durante il riscaldamento c’erano 5.000 persone, mentre poco dopo erano 80.000. Questa è una di quelle partite che sicuramente potrò raccontare ai miei figli”.

Gianluca con la maglia della Roma, hai vinto due Coppe Italia e una Supercoppa italiana, che emozioni ti porti dietro da questi trionfi e soprattutto, da romano e romanista, cos’ha significato per te giocare con la tua squadra del cuore?

“Dopo la prima Coppa Italia che abbiamo vinto a Milano io non ho trovato neanche il pullman al ritorno, non sono riuscito ad arrivarci perché c’erano più di 10.000 persone che bloccavano tutto e che volevano abbracciarti per festeggiare. La gioia era tanta perché tra l’altro venivamo anche da due finali perse contro l’Inter. Io sono tornato a Trigoria insieme a tre tifosi con un Pandino, arrivando anche prima dei miei compagni. Poi c’è stata la Supercoppa e l’anno dopo ancora l’altra Coppa Italia, ma la prima rimane la prima. Giocare con la Roma era il sogno che avevo fin da bambino. Quando avevo 8 anni e ho iniziato a fare il portiere e sognavo di giocare all’Olimpico, con la maglia giallorossa. Molte volte i sogni non si avverano, ma nel mio caso invece si“.

Curci: “Cessione dovuta alla voglia di fare qualcosa in più”

Dopo essere cresciuto con la maglia della Roma sulle spalle come hai vissuto la cessione al Siena?

“La lontananza non è stata un grande problema perché Siena è vicino, ma il fatto è che a 23 anni mi sono detto che forse era il momento di fare qualcosa in più, senza accontentarsi, nonostante 10 partite con la Roma equivalgano a 30 da qualsiasi altra parte sia come pressione, ma anche come maturità. Quando sono andato con i bianconeri comunque quell’anno è stato bellissimo perché non stavo lontano dalla Capitale, ma soprattutto giocavo. Ho disputato 32 gare e facemmo il record di punti della società. Forse, con il senno di poi avrei potuto farlo già due anni prima, ma non avrei vinto una Coppa Italia. Rammarichi da questo punto di vista non ce ne sono perché comunque è vero che avevo fatto 50 partite in Serie A, però per me era poco. Fare uno o due anni fuori per poi magari tornare alla Roma quello, era il mio obiettivo. Non è successo, da titolare, però comunque ho fatto la scelta giusta secondo me”.

Poi sei andato al Mainz e successivamente in Svezia anche lì come hai vissuto queste due esperienze lontano dalla Roma?

“In Germania è stata una bella esperienza perché conosci altre realtà, quando finisce la partita tu puoi uscire tranquillamente dallo stadio, aldilà del fatto che vinci, perdi o pareggi, finisce tutto. In Svezia invece è stata una sfida personale e dove abbiamo fatto il record di porte inviolate con 20 partite su 30 senza subire gol. Sinceramente non sarei voluto andare, ma non volevo finire con il Mainz dove non avevo giocato quindi ho chiuso all’Hammarby, una delle squadre svedesi più importanti. Poi ho deciso di dire basta, è stata una scelta pensata, nonostante 34 anni possano essere pochi per un portiere”.

Roma, Curci: “Prima c’era più attaccamento alla maglia”

Gianluca chiusa la tua carriera da giocatore, sei entrato nel mondo degli allenatori, cosa ti ha spinto a fare questa scelta?

“A me è sempre piaciuto allenare i ragazzi, ho avuto la fortuna di poter aiutare per quasi due mesi al Carpi, in Serie C, il mister Pochesci. Nel 2020 ho capito che forse quella era la mia strada, l’anno scorso ho intrapreso il corso UEFA A e mi sono stati proposti gli Under 16 . Non è sicuramente una passeggiata perché allenare tre teste, tre portieri è semplice, ma quando diventano 26 diventa più complicato. L’obiettivo è quello di raggiungere alti livelli o come preparatore dei portieri oppure come allenatore, ma ovviamente come tutte le cose devi fare esperienza, devi farti le ossa”.

Gianluca sei stato nello spogliatoio della Roma e sai che aria si respira, magari adesso le cose sono cambiate, tu vedi grandi differenze anche nella mentalità tra la squadra di Mourinho e la tua?

“La mentalità di Mourinho è vincente, aldilà del fatto che possa giocare bene o male, ed è quella mentalità che aveva e che ha tutt’ora Spalletti finalizzata sempre al superare l’asticella. Adesso c’è Pellegrini, prima però c’erano Aquilani, Totti, De Rossi, io, quindi c’era più romanità. Ad esempio quando giocavi il derby magari c’era chi non dormiva da tre giorni perché è una cosa di noi romanisti. Però la mentalità anche ad oggi è vincente e lo ha dimostrato anche la vittoria della Conference League, ma sicuramente prima era molto più sentita, c’era più attaccamento alla maglia”.