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Sebastiano Siviglia è stato uno dei baluardi della Lazio targata Delio Rossi. Difensore grintoso, che si è sempre contraddistinto per la sua leadership dentro e fuori dal campo. Reggino di nascita, muove i suoi primi passi nel professionismo tra Parma, Nocerina e Verona. Inizia, però, a mettersi davvero in mostra con la maglia dell’Atalanta, con cui nel 2001, assieme ai compagni, coglie un incredibile settimo posto al termine di un grande campionato da neopromossa. Nella sua carriera anche una parentesi in maglia Roma, seguita dal ritorno al Parma e all’Atalanta. Passa al Lecce prima del salto sull’altra sponda del Tevere, alla Lazio, in un’avventura durata sei anni. Qui la vittoria in Coppa Italia nel 2009 contro la Sampdoria e il successivo trionfo in Supercoppa contro l’Inter.
Una volta smessi i panni da calciatore indossa quelli da allenatore, percorso quasi inevitabile per un professionista carismatico e equilibrato come Siviglia. Tutte caratteristiche che mette da subito al servizio dei giovani: prima la Primavera della Nocerina, poi le giovanili della Lazio, le esperienze alla Ternana e i due anni alla guida dei giovani del Lecce. Nel 2021 il salto nella prima squadra del Carpi, in Serie C, esperienza durata purtroppo il tempo di un battito di ciglia, prima del fallimento del club emiliano e della sua lunghissima storia. Oggi Siviglia vive e segue il calcio a 360°, in attesa di rimettersi in gioco con la consueta grinta e il consueto entusiasmo che lo caratterizzano.
Carpi FC 1909: la fine di una storia ultracentenaria
Le chiedo, innanzitutto, come procede la sua carriera dopo l’epilogo di Carpi: c’è qualcosa in cantiere o sta aspettando qualche progetto più interessante?
“Al momento sto attendendo qualche progetto interessante e per cui valga la pena immergersi. Sicuramente sono rimasto scottato dagli eventi di Carpi, non mi sarei mai aspettato che una società così gloriosa potesse finire in quelle condizioni. Penso che la situazione sia stata gestita malissimo e che si sarebbe potuto fare di più per tenere in piedi una società così storica. Non dimentichiamo che il Carpi fino a 5 anni fa militava in Serie A e ad oggi stiamo parlando di una società che è fallita e che sta scomparendo dal mondo del calcio”.
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C’è un modello di allenatore italiano a cui si ispira?
“Guardo tantissime partite e mi aggiorno continuamente. Naturalmente ci sono delle difficoltà negli spostamenti dovute al periodo storico che stiamo attraversando e non è facile avere contatti e andare in giro. Di modelli da seguire ce ne sono tanti, ci sono molti allenatori che propongono idee innovative e che mi piacciono. Altri, invece, mi piacciono meno. Naturalmente io ho le mie idee e penso che il bel calcio piaccia a tutti, poi, però, bisogna anche essere concreti. Ci vuole il giusto mix tra la concretezza e l’innovazione. Ammiro due tecnici come Gasperini e Inzaghi che stanno facendo un grandissimo percorso, così come la praticità di Max Allegri. É normale che il tutto vada valutato in base al materiale tecnico di cui un allenatore può disporre, poi è chiaro che i principi di un un tecnico rimangano sempre gli stessi e che si cerchi sempre di proporli in campo”.
Gasperini: un solo modo per alzare l’asticella…
Ha nominato Gasperini: come giudica il lavoro del mister? É arrivato il momento di fare il salto di qualità?
“Gasperini in questi anni ha alzato molto l’asticella dell’Atalanta. É stato un visionario, un innovatore e ha portato delle idee rivoluzionarie nel nostro calcio. Da questo punto di vista lui ha già vinto la sua personale sfida col gioco del calcio. Non so quanto possa crescere ancora l’Atalanta, che in questi anni è diventata una solida realtà a cui tutti guardano con grande stima. Allo stesso tempo penso a quanto ancora possa migliorare Gasperini, che ha mostrato in questi anni delle idee precise di gioco e dei dogmi che, col passare del tempo, diventa poi difficile modificare. Penso che se Gasperini volesse alzare ulteriormente l’asticella del suo gioco e fare uno step in più, dovrebbe necessariamente fare il salto in una big con una forza economica superiore a quella della Dea”.
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Mourinho non ha la bacchetta magica
Lei in carriera ha vestito anche la maglia della Roma: come giudica la stagione dei giallorossi? Rispecchia quelli che sono gli effettivi valori della rosa?
“Una stagione certamente altalenante, fino ad ora. Inizialmente la Roma era partita bene in questo nuovo corso con Mourinho in panchina, poi progressivamente il percorso della squadra si è inceppato. Le premesse erano quelle di una squadra che avrebbe potuto fare molto bene, ma la discontinuità nelle prestazioni ha un po’ minato la fiducia del gruppo. Nelle ultime settimane, tuttavia, ho avuto l’impressione che si sia ripristinata quell’autostima necessaria per fare bene. La rosa ha anche ottimi elementi. Ad esempio Abraham, che all’inizio aveva stupito un po’ tutti per l’impatto avuto in campionato e dopo ha rallentato un pochino, complicando il cammino della squadra. Però resto convinto che la Roma abbia una squadra con delle ottime individualità in rosa”.
Sul banco degli imputati è finito Mourinho: ha perso lo smalto di un tempo?
“Gli anni passano per tutti. Ogni volta che un allenatore si siede su una nuova panchina inizia un nuovo percorso e il lavoro svolto in precedenza in qualche modo si azzera. Al Porto e all’Inter ha trovato un ciclo meraviglioso e dei giocatori molto forti, anche in Inghilterra ha fatto molto bene. Negli ultimi anni c’è stato qualche esonero in più, però Mourinho rimane un grande allenatore. Ci si aspetta sempre qualcosa in più di quanto effettivamente possa incidere, ma anche lui non è un mago. La Roma non è né il Manchester City né il Barcellona, è una squadra con tante problematiche da risolvere e credo che José Mourinho abbia le capacità per venirne a capo e fare molto bene”.
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Sarri: la rivoluzione richiede tempo
Le sue stagioni migliori le ha vissute con la maglia della Lazio: quali sono i problemi che sta attraversando la squadra di Sarri?
“La Lazio è in una fase di cambiamento. C’è stato l’arrivo di Sarri in panchina dopo tanti anni di Inzaghi e ci sono tanti aspetti che vanno risistemati. La squadra e il mister hanno davanti a loro un percorso non semplice, ma hanno tutte le capacità per venirne fuori. Gli anni con Inzaghi sono stati importanti e quando cambi un allenatore rivoluzioni anche i principi di gioco e l’assetto tattico. I giocatori si adatteranno al gioco di Sarri, però ci vuole tempo, ed è normale che in questo momento si assista a prestazioni altalenanti. La società ha fatto una scelta ben precisa prendendo Sarri, quindi credo che le difficoltà fossero già preventivate e contemplate nella mente di Lotito e Tare, ma pure dell’allenatore. Sarri comunque è stato chiaro e ha indicato alla società i giocatori più adatti alla sua filosofia di gioco”.
Tra questi parrebbe non esserci Luis Alberto: lo spagnolo è vittima di un equivoco tattico?
“Luis Alberto ha grandi caratteristiche dal punto di vista tecnico, è ovvio che poi, però, debba venire incontro alle richieste del mister. Quello che sono le sue caratteristiche non si sposano appieno con i principi di Sarri, però è giusto trovare un compromesso e lavorare duramente per rendere al meglio. Io credo che Luis Alberto e il mister stiano lavorando in questa direzione. Lo spagnolo non è sicuramente il giocatore visto sotto la gestione Inzaghi, ma penso che possa tornare presto ad esserlo. Deve metterci un pizzico di determinazione in più, ma quando hai delle qualità così importanti prima o poi vengono fuori. A fine anno poi si tireranno le somme e, se il giocatore non sarà contento di quelle che sono state le scelte dell’allenatore, allora si potrà decidere insieme per il futuro. Fino ad allora, però, Luis Alberto deve provare fino all’ultimo a entrare maggiormente nell’ottica del gioco di Sarri“.
Lazio e Roma: due facce della stessa medaglia
Da calciatore ha vissuto entrambe le sponde del Tevere: come mai è così difficile vincere nella città di Roma? É solo una questione economica?
“Roma non è una piazza semplice, è un ambiente molto esigente. É una città fantastica, con un pubblico straordinario ma che pretende tanto. Sicuramente non è semplice giocare all’Olimpico, ma quando lo stadio è pieno ti trascina letteralmente, ed è incredibile. Allo stesso tempo c’è l’altra faccia della medaglia e, quando le cose non vanno per il verso giusto, subentra un’eccessiva pressione. É innegabile che sia anche, e soprattutto, un discorso economico. Soprattutto negli ultimi anni la forbice con le squadre del nord si è allargata e i giocatori più importanti vestono altre maglie. Lo dimostra l’egemonia juventina degli ultimi anni e il ritorno di Inter e Milan nelle ultime stagioni: tutti club dalla maggiore forza economica“.
Simone Inzaghi ha le mani sullo scudetto
Chi ha lasciato la Lazio e sta facendo molto bene è Simone Inzaghi: si aspettava questo impatto del mister in una società come l’Inter?
“Rispetto a Conte Simone è meno rigido. Sta facendo benissimo e ho avuto la sensazione che dal punto di vista tattico ci sia stata continuità col lavoro del suo predecessore. Continuità dal punto di vista del modulo e del gioco verticale. Ho la sensazione, però, che la squadra sia più spensierata rispetto all’era Conte e questo è merito del lavoro di Inzaghi. Oggi i suoi giocatori hanno la mente più libera e le gambe più sciolte rispetto alla gestione Conte e, per questo, riescono a rendere davvero al massimo. I risultati lo stanno dimostrando, la squadra va a mille e secondo me l’Inter è la squadra destinata a vincere il campionato“.
Qatar 2022? Fiducia in Immobile
Chiudiamo parlando di Immobile: l’attaccante biancoceleste è stato spesso bersagliato per le sue prestazioni in Nazionale, è giusto continuare a puntare su lui in vista dei playoff per Qatar 2022 o sarebbe meglio virare su altri profili?
“Immobile è un giocatore straordinario. É normale che alla Lazio si senta al centro del progetto e si senta valorizzato al meglio. Mi piacerebbe che l’attenzione pubblica non facesse mancare la giusta attenzione e il giusto riconoscimento ad Immobile, perché credo che il problema risieda proprio lì. Immobile, rispetto a ciò che succede alla Lazio, si sente leggermente decentrato nel progetto azzurro o comunque non si sente considerato una delle pedine fondamentali della squadra. Io resto convinto che Ciro sia un top player e credo che il lavoro di Sarri, che si avvicina di più a quello di Mancini rispetto a quanto lo facesse quello di Inzaghi, possa aiutarlo a migliorare le sue prestazioni in azzurro. Ha sempre fatto gol, è un cannoniere, e darà il suo contributo alla causa come ha sempre fatto. Io punterei su di lui senza dubbio alcuno“.