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Si dice che un condottiero è vincente se tale è anche il suo esercito. Ma il condottiero perfetto è colui il quale rende il suo esercito imbattibile. Ecco la storia di Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone Bonaparte, ovvero menti raffinatissime senza le quali non ci sarebbero stati i grandi imperi che conosciamo. Golden State batte Boston e si aggiudica il Larry O’Brien Trophy. L’analogia storia-basket trova il proprio fondamento in Steve Kerr, head coach di una macchina perfetta vincitrice di 4 anelli NBA.
Non a caso la denominazione per indicare la franchigia della Baia è Warriors, che letteralmente vuol dire “guerrieri”. Spesso sentiamo parlare di Stephen Curry, Klay Thompson, Draymond Green, Andre Igoudala e ci soffermiamo poco su quanto sia stato fondamentale Kerr nella formazione di questa formidabile dinastia. L’ex atleta dei Chicago Bulls e dei San Antonio Spurs è una delle personalità più intriganti da osservare per i 9 anelli NBA vinti, ma anche al di fuori del parquet.
Kerr, come la fenice: risorgere dalle proprie ceneri
Per comprendere i comportamenti di una persona, i suoi successi, gli insuccessi, le paure, bisogna conoscere la sua storia, la sua vita privata. Per l’attuale coach dei Warriors la vita è stata una montagna russa, un continuo sali e scendi, che tenta di metterlo a tappeto svariate volte. 18 gennaio 1984, la telefonata che nessun ragazzo vorrebbe mai ricevere. Suo padre Malcom Kerr, all’epoca presidente dell’Università americana di Beirut, viene ucciso a sangue freddo da due uomini armati. Questo attacco viene poi rivendicato da un gruppo islamico.
Da quel momento il giovane Steve decide di chiudersi in se stesso trovando sfogo nel basket. Emozionanti sono le parole di Kerr nel ricordare quei momenti in un episodio della serie ”The Last Dance” distribuita sulla piattafoma Netflix. Come la fenice risorge dalle proprie ceneri, Steve Kerr rafforza il proprio carattere. Non molla davanti nessuna difficoltà, litiga persino con Michael Jordan con il quale poi stringe amicizia. Non le manda a dire a nessuno, anche quando si tratta di questioni non legate allo sport. Si schiera infatti apertamente contro le lobby delle armi e i senatori dopo la tragedia in Texas.
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Kerr, allievo dei migliori: Phil Jackson e Gregg Popovich
“L’allievo supera il maestro” è la frase che ogni insegnante vorrebbe sentirsi dire. Forse è un po’ presto, forse azzardato per dire la stessa cosa di Steve Kerr. Da atleta impara molto da due leggende della NBA: Phil Jackson e Gregg Popovich. L’ex coach dei Bulls e Lakers è l’allenatore più vincente della lega con 11 anelli. Kerr apprende da lui la tecnica offensiva del triangolo e una gestione del gruppo, focalizzata sul conoscere le personalità dei propri giocatori e dunque capire quando essere duri e quando essere permissivi.
A San Antonio incontra Gregg Popovich, coach attualmente con più partite vinte nella storia della NBA ed artefice della dinastia degli Spurs. Da quest’ultimo ammira la capacità di creare un sistema di gioco in base ai cestisti a disposizione. Riprende molto l’idea di far muovere il pallone per cercare il tiro migliore. Il tecnico nato a Beirut, nel periodo in cui si occupa del mercato dei Phoenix Suns, entra anche in contatto con Mike D’Antoni con il quale il rapporto non sboccia mai del tutto. La grandezza di Steve Kerr sta nella bravura di apprendere dai migliori, ma anche perfezionare le tattiche di gioco e farle proprie.
Kerr, l’approdo alla Baia: 6 finali in 8 anni
Nel 2014 approda alla Baia, allenando i Golden State Warriors nel suo primo incarico da head coach. Trova una franchigia con tanta voglia di tornare a vincere il titolo in NBA che manca a San Francisco dal 1975. Proprio 40 anni dopo riescono nell’impresa di conquistare il Larry O’Brien Trophy, attraverso la creazione di un sistema di gioco totalmente innovativo nella pallacanestro. Kerr approfitta delle capacità di Curry e Thompson nel tiro da tre, ideando delle trame quasi come fossero un vestito su misura per colori i quali poi diventeranno gli Splash Brothers.
Dopo il primo anno insieme, Kerr e la squadra nella stagione successiva riescono a stabilire il miglior record di sempre in regular season, superando in questo i Chicago Bulls di Michael Jordan. La stagione però non termina nel migliore dei modi. Le Finals 2016 si concludono come un dramma sportivo: i Warriors perdono gara-7 contro i Cavaliers facendosi rimontare con la serie sul 3-1. Nei due anni seguenti Golden State domina con Kerr che assembla un quintetto, definito da addetti ai lavori come il migliore di sempre: Curry, Thompson, Green, Iguodala e il nuovo arrivato Durant. Dopo il 2018 gli anelli sono ben tre.
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Nel 2019 arriva un’altra batosta. Nelle finali contro i Toronto Raptors perde due pedine fondamentali come Thompson e Durant ed è costretto ad arrendersi dinanzi a Leonard e compagni. Con il passaggio di Easy Money Sniper ai Brooklyn Nets, l’allenatore e la dirigenza danno via ad una serie di operazioni di mercato che consentano di competere nuovamente per il titolo NBA. 17 giugno 2022 Golden State batte Boston e vince il suo quarto anello. Si tratta della sesta finale in 8 anni e per Kerr si parla di 22 serie Playoff vinte su 24. Nessuno può vantare in questo caso numeri migliori dei suoi con una percentuale di vittorie del 91,67% secondo quanto riportato da ESPN. Considerando che è allenatore da 8 stagioni, altri record possono essere infranti e con questo roster tutto è possibile.