- Continua a leggere sotto -
L’adattamento di The Last of Us targato HBO è finalmente arrivato. Il capolavoro di Naughty Dog, tale da rivoluzionare l’industria videoludica nel lontano 2013, raggiunge quindi un altro medium a dieci anni dal suo debutto ufficiale. Ci riesce grazie a due fattori. Da una parte, il creatore della saga, Neil Druckmann, ha ottenuto la tanto agognata opportunità di raccontare la propria storia al grande pubblico con il sostegno di un esperto come Craig Mazin, premiato con Chernobyl. Dall’altra, la stessa HBO spera di primeggiare nell’attuale stagione televisiva con la sua nuova scommessa.
The Last of Us ha battuto record su record ancor prima del debutto ufficiale. Sembrano esserci davvero poche lacune o pecche in grado di ostacolare l’ascesa dello show come una delle produzioni migliori dell’anno. Tuttavia, la cadenza settimanale della serie permette di osservare nel dettaglio il lavoro compiuto da Druckmann e Mazin di puntata in puntata, così da analizzare a fondo pregi ed eventuali sbavature di quella che si sta configurando a tutti gli effetti come un’impresa insperata.
- Continua a leggere sotto -
The Last of Us, cosa c’è da sapere sul primo episodio della serie
Non è mai stata nascosta la volontà di rendere The Last of Us il più fedele possibile al materiale originale, sin dalle primissime immagini promozionali: la presenza di Druckmann lasciava pochi dubbi. Fin dalle primissime battute appare evidente l’approccio che l’autore e HBO abbiano svolto per fornire maggior contesto e maggior profondità a ogni singolo elemento della serie. Le classiche premesse di uno show post-apocalittico si allontanano rapidamente da The Last of Us e dallo stereotipo classico.
Vengono introdotti Joel Miller e la figlia Sarah come esempio di una piccola famiglia del Texas davanti a tragedia inattesa e inarrestabile che ha sconvolto il pianeta nel 2003. The Last of Us scatena e travolge chi osserva tra attimi di terrore e frammenti di tragedia. Sequenze al cardiopalma si succedono senza sosta in un primo episodio che rasenta il lungometraggio (con quasi 90 minuti di durata) e dimostra un’incredibile fedeltà al cuore dell’opera originale.
The Last of Us, dal videogioco alla serie: HBO e il non snaturale un’opera fantastica
È incredibile quanto ogni scena acquisisca ancor più pathos rispetto alla controparte di riferimento. Il peso dell’autore si sente in fase realizzativa, ma quello degli attori dona una potenza completamente nuova all’amalgama. Dove il videogame di The Last of Us era costretto a limitarsi, la serie di HBO incalza: scenari e dialoghi ricalcano spesso l’opera originale, ma la prospettiva dello show si rivela più ampia. Allontanandosi occasionalmente dai volti di punta, qualsiasi personaggio ottiene maggior spazio per mostrarsi al pubblico in carne e ossa senza mai apparire realmente marginale ai fini del racconto.
La guida di Druckmann pone la serie in un’ottica aggiuntiva, migliorativa e non rivoluzionaria per il semplice gusto di emergere. La passione e l’amore per l’opera fanno tutta la differenza del mondo, al di là di ossessioni estetiche o sensazionalismi di sorta. Nel suo muoversi tra corridoi e colpi di scena, The Last of Us comincia nel migliore dei modi non perché sia rivoluzionario di per sé, ma perché unisce alla coerenza e alla professionalità autoriale l’empatia e la cura di un “padre” per la propria creatura. E noi fan non possiamo che apprezzare tutto questo amore, come un padre verso la propria figlia, biologica che sia o meno.