🆚 De Laurentiis, Allegri, Mourinho e il caso Acerbi: il giornalista non è un nemico

Il ruolo del giornalista è sempre più posto in discussione dagli atteggiamenti di chi, al contrario, dovrebbe beneficiare della sua presenza. Da De Laurentiis al recente sfogo di Allegri, ormai si gioca a carte scoperte: e la deriva rischia di condurre verso un punto di non ritorno

Luca Vano
5 Minuti di lettura

Seguici sui nostri canali

Il duello con la stampa è uno degli sport più praticati del nostro Paese. Impossibile dimenticare lo sfogo di Bobo Vieri in conferenza, dal ritiro della Nazionale impegnata nell’Europeo in Portogallo. “Sono più uomo io di tutti voi messi insieme” fu una frase dal potente impatto, giustificata dalle falsità snocciolate dai giornali in merito alla poca professionalità dell’attaccante dell’Inter. Era il 2004 e oggi, vent’anni dopo e con un altro Europeo alle porte, la situazione all’apparenze è ben più distesa.

Guardando attentamente, invece, se le parole del Bobone Nazionale avevano un fondamento di verità a causare quella reazione, i recenti attacchi al lavoro e alla dedizione del giornalista sportivo in Italia hanno preso una deriva non giustificata da alcun episodio precedente. La tendenza è preoccupante poiché il rischio è quello di depotenziare – stavolta in maniera irreversibile – il ruolo informativo che i media rivestono. Relegandoli, così, a semplici sparring partner.

De Laurentiis, Napoli
De Laurentiis, Napoli @livephotosport

Casi non più isolati

L’alterco più rumoroso è stato quello mal gestito da Aurelio De Laurentiis, che priva dell’intervista a Politano il collega di Sky Sport, accusato di tifare Lazio. Come se per parlare di calcio occorresse tenere per gli stessi colori, mandando a quel paese l’obiettività e svelando all’Italia intera la perversa volontà di scegliere questo o quel professionista, come se si fosse al supermercato.

Non ne esce di certo meglio Max Allegri, che non porta via nessuno dai microfoni ma scade in una retorica da bar che francamente non ci si aspettava da un uomo di calcio così navigato. “Voi non dovete capire, dovete solo fare le domande” sostiene l’allenatore della Juventus, incalzato ma non troppo dalle curiosità di natura tecnica sulle scelte di formazione.

Perplessità lecite, poste per informare chi segue – e paga di conseguenza parte dello stipendio degli uomini di calcio – soprattutto dopo che la sua squadra è passata dalla lotta Scudetto a una media da retrocessione nelle ultime otto gare. Un attacco molto più esplicito rispetto a quello condotto da José Mourinho, qualche settimana prima di cedere lo scettro a De Rossi sulla panchina della Roma.

Francesco Acerbi, Inter
Francesco Acerbi, Inter @Twitter

José e il caso Acerbi

Lo Special One, dopo il match contro il Verona, si rifiutò di indossare l’auricolare di DAZN per sentire le domande da studio. Esordendo con un direttissimo gancio destro: “Sono qui soltanto perché sono obbligato ad esserci”. Un espediente comunicativo? Forse, ma di sicuro una mancanza di rispetto al broadcaster che, indipendentemente dai gusti personali di allenatori o utenti, detiene i diritti tv della Serie A, pagando le società. E, dunque, i tesserati di quest’ultime.

Impossibile poi non soffermarsi sull’ultimo gran difetto di comunicazione, in relazione al caso Acerbi-Juan Jesus. La tendenza delle società è ormai devota all’iperprotezione dei propri atleti, come fossero bambini dell’asilo in gita da tenere per mano nella fattoria didattica: altrimenti potrebbero sporcarsi. Peccato che poi il difensore dell’Inter, intercettato in stazione, decida di saltare direttamente nella pozzanghera generando la reazione del collega del Napoli con conseguente polverone. Di qui la domanda: farlo parlare subito dopo la partita sarebbe stato così errato?

Massimiliano Allegri, Juventus
Massimiliano Allegri, Juventus @Twitter

Diamoci una calmata

Tirando le somme della lotta dei tesserati del mondo del calcio italiano contro i media, i giornalisti e le tv è impossibile non notare la parabola discendente. Anzi, “precipitante”. A partire dalla gimcana di richieste ed autorizzazioni che hanno trasformato la richiesta di interviste face to face in una gigantesca fila alle poste, per finire con l’atteggiamento da divi o divinità che non intacca nulla se non la propria immagine.

Non di certo quella del giornalista che, al contrario, è un mezzo e non un protagonista. Un amplificatore del messaggio informativo, non un nemico e da tale non va trattato soltanto perché con alcuni membri della categoria in svariati momenti della storia vi sono stati scontri e ripicche. Generalizzare non è la giusta ricetta, modificare la comunicazione si. D’altronde, si parla pur sempre di calcio.