Una maglietta che rappresenta un ruolo molto importante, quello di un recupera palloni pronto a sacrificarsi per il bene della squadra: questa è l’essenza del numero 4. Nonostante ciò, molte volte questa casacca è stata indossata anche da calciatori che ricoprivano una posizione diversa da quella del mediano, come ad esempio il difensore centrale. Ad oggi questa maglia nella Roma è sulle spalle di Cristante, centrocampista dalle buone geometrie di gioco e prestato principalmente a scopi difensivi. Nella storia giallorossa in molti hanno avuto l’onore di poter vestire questa cifra, ma solo alcuni hanno avuto un impatto tale da essere ricordati.
Giacomo Losi, Core de Roma
Nasce il 10 settembre 1935 a Soncino, in provincia di Cremona, una delle più importanti bandiere nella storia della Roma. Naturalizzato testaccino per la sua grinta e per il suo attaccamento alla maglia giallorossa passa alla squadra della Capitale nel 1954, dopo una parentesi alla Cremonese. Un calciatore che ha fatto dell’anticipo e della marcatura le sue armi migliori, unite ad una grande elasticità che gli è valsa il soprannome di Palletta. A cambiare però l’appellativo in Core de Roma è stato un evento particolare. 8 gennaio 1861, l’avversaria da affrontare è la Sampdoria e verso la fine del primo tempo Losi rimedia uno stiramento all’inguine. Sul risultato di 2 a 1 per i blucerchiati e con la rosa capitolina in 9 uomini, agguantare il pareggio sembra impossibile. Dopo un primo corner che non ha dato i frutti sperati, Lojacono passa davanti a Giacomo che gli dice: “Cisco tiralo come prima, se puoi” e così fa.
Il risultato è quello previsto da Losi che, nonostante l’infortunio, riesce a coordinarsi spedendo il pallone in rete. Proprio per il suo spirito di sacrificio gli viene affidato il soprannome di Core de Roma. Il primo trionfo con la maglia giallorossa però, arriva nel 1961 quando alza la Coppa delle Fiere, dalla quale non vuole staccarsi per tutta la serata girando sotto la curva. Tre anni dopo arriva la seconda gioia con la maglia della Roma: la conquista della Coppa Italia. Felicità che però viene messa a tacere nel 1968, quando sulla panchina siede Herrera che inizia a mettere da parte il capitano al punto che, a fine stagione, si trasferisce in Serie D, alla Tevere Roma.
Francesco Rocca, la corsa di Kawasaki
“Ho giocato per la squadra che amo davanti ai tifosi più belli e appassionati in Italia. Si potevo essere più fortunato, ma al mondo c’è tanta gente che sogna quello che ho avuto io dalla vita”, queste le parole di Francesco Rocca, uno di quei calciatori che l’amore per la maglia giallorossa l’ha provato fin dal suo primo respiro. Nato a San Vito Romano, nel 1972 viene acquistato dalla Roma, per volere di Helenio Herrera. Un terzino capace sia di difendere che di offendere e fin da subito attira l’attenzione del commissario tecnico azzurro Fulvio Bernardini e successivamente di Bearzot. La stagione successiva vede la consacrazione del classe ’54 che è sempre l’ultimo a mollare e la sua generosità lo fanno entrare indelebilmente nel cuore dei tifosi giallorossi.
Leggi anche: Roma, da Giannini a Totti: la storia dei numeri 10 giallorossi
Lo stesso Walter Sabatini, suo compagno di squadra, lo definisce in questo modo: “Il più forte calciatore con il quale abbia mai giocato, aveva tutto qualità tecniche fisiche e morali”. Parole non dette per caso, verso un giocatore che ha sempre dato l’anima in campo al punto che, anche per la sua velocità, i tifosi lo iniziano a chiamare Kawasaki. La sfortuna però è dietro l’angolo. Un evento che segna la storia della Roma, quello del 10 ottobre 1976 dove la squadra è impegnata nella seconda giornata di campionato contro il Cesena. L’ala dei bianconeri entra in scivolata da dietro sul terzino provocando un movimento innaturale del ginocchio, ma Rocca spinto dal calore della tifoseria continua a giocare senza dargli troppo peso.
Francesco Rocca e l’inizio dell’incubo
Al termine del match il ginocchio inizia a gonfiarsi e sale la preoccupazione perché il sabato successivo inizia il cammino per i Mondiali in Argentina e Rocca deve esserci. “Basteranno tre giorni di riposo, ghiaccio in continuazione e articolazione in scarico e tutto andrà a posto”, questo il comunicato dello staff medico. In realtà tutto quell’ottimismo si rivela infondato perché, per Kawasaki e per la Roma, quello è solo l’inizio di un incubo. Francesco infatti, si accorge fin da subito che qualcosa non va e la prova definitiva arriva il 19 ottobre, quando, durante un allenamento al Tre Fontane, il ginocchio sinistro cede. Il terzino due giorni dopo riceve la notizia peggiore della sua carriera: coinvolti legamenti, menisco esterno, capsula e distacco osteo-cartilagineo del condilo femorale interno. Il tempo passa e il recupero si avvicina sempre di più, al punto che il 17 aprile del 1977 torna in campo contro il Perugia.
Rocca pensa che finalmente sia tutto passato, ma così non è. Dopo un mese il ginocchio ricomincia a fare male e la squadra deve partire per il Nord America, ma Francesco non ha intenzione di scendere in campo. Entra contro i Vancouver Whitecaps, ma ancora una volta si ferma di colpo uscendo in lacrime. Continua il calvario che porta il terzino a Lione dove il Professore Trillat dice che i legamenti sono completamente da ricostruire e che c’è la possibilità di un pieno recupero al 70%. Il 3 agosto del 1981 Rocca, stufo dei continui stop e dolori alle ginocchia, dice basta chiudendo la sua esperienza con la maglia giallorossa con 141 presenze e lasciando nel cuore dei tifosi un vuoto incolmabile. Uno dei grandi simboli della Roma, al punto che, la società lo inserisce nella Hall Of Fame, per ringraziarlo di quanto fatto. Un calciatore che ha sempre messo al primo posto l’etica del lavoro e del sacrificio rivelandosi un grande professionista e lottando come un leone contro un avversario più grande di lui.
Juan, il muro brasiliano
Il prototipo perfetto del difensore centrale, abile nell’anticipo sugli avversari, forte nel gioco aereo, potente fisicamente e con una grande propensione al gol, questo è Juan. Cresce nelle giovanili del Flamengo dove gioca nei suoi primi anni da professionista per poi trasferirsi nel 2002 al Bayer Leverkusen. Le sue grandi prestazioni lo mettono sotto i riflettori di tutta Europa, ma ad aggiudicarselo, nel 2007 è la Roma di Spalletti. Il calciatore brasiliano prima della partita d’esordio subisce uno stiramento che lo costringe a rimanere fuori, ma nonostante ciò vince subito il suo primo trofeo con la maglia giallorossa: la Supercoppa italiana. Esattamente un anno dopo la squadra capitolina alza la Coppa Italia, battendo l’Inter, ma stavolta il classe ’79 è in campo. Negli anni seguenti si conferma essere il pilastro della difesa, al fianco del suo compagno di reparto Méxes, fino al suo addio alla città eterna arrivato nel 2012, quando si trasferisce all’Internacional.
Radja Nainggolan, il Ninja giallorosso
Una storia d’amore infinita quella tra Radja Nainggolan e la tifoseria giallorossa che sempre gli sarà grata per il sudore versato lottando per la maglia. “A me non ha regalato niente nessuno, ho avuto un’infanzia difficile. Mia madre ha tirato su me e mia sorella da sola”, queste le parole del calciatore belga, un uomo che si è temprato da solo. Una forza della natura sia in campo che fuori e che fa del carattere forte la sua arma principale. Poi ovviamente quando si parla del rettangolo di gioco escono fuori anche altre qualità: la generosità nel fare una corsa in più per aiutare il compagno, la dote tecnica e ciò che viene definita cattiveria agonistica. Quest’ultima in particolare ha da sempre rappresentato il marchio di fabbrica del centrocampista, soprattutto con il suo ninja tackle. Tutte caratteristiche che lo hanno fatto entrare nel cuore dei tifosi della Roma, facendolo diventare come un figlio adottivo da proteggere in qualsiasi caso e circostanza.
Un leader all’interno del campo, un punto di riferimento che non ha mai fatto mancare il suo apporto alla squadra, rivelandosi l’ago della bilancia della Roma e ciò gli è sempre stato riconosciuto. Arriva il 7 agosto del 2014 , ma tra il club e Nainggolan è amore a prima vista al punto che, a fine stagione, viene riscattato. La svolta per il centrocampista belga arriva con l’esonero di Garcia e l’approdo in panchina di Luciano Spalletti, a gennaio, che decide di spostarlo nel ruolo di trequartista. Da quel momento in poi oltre alla quantità il Ninja segna anche diversi gol diventando uno dei migliori centrocampisti nel panorama europeo.
Nainggolan tra magie e delusioni
Nonostante i comportanti certe volte non professionali fuori dal campo, poi, quando arriva il momento di giocare non si risparmia mai. La sua aggressività all’interno del rettangolo di gioco lo rende determinante nei match importanti come quello contro la Lazio, del 2016, dove segna il 2 a 0 con una bordata da oltre 25 metri. Altra occasione è quella del 2017 dove Nainggolan realizza una doppietta straordinaria contro l’Inter, prima con un tiro a giro sul secondo palo e poi con una ripartenza dalla sua metà campo che conclude con un missile che si infila alle spalle del portiere.
Unico grande rimpianto del belga è quello di non esser mai riuscito ad alzare un trofeo con la maglia della Roma, soprattutto ripensando alla magica annata dei giallorossi in Champions League. Nonostante ciò, Nainggolan può vantare una cosa che in pochi hanno conquistato: il cuore dei tifosi romanisti. Amore ottenuto con le tante battaglie combattute difendendo sempre i colori della squadra della Capitale. Come tutte le grandi storie d’amore, però, anche quella tra il belga e la città eterna ha una fine. Il 26 giugno 2018 infatti, il Ninja passa all’Inter nell’operazione che vede coinvolti anche Davide Santon e Nicolò Zaniolo. Alcuni anni dopo Radja ricorda così il netto cambio di mentalità e atmosfera percepito a Milano: “A Roma il derby è questione di vita o di morte, mentre a Milano è come giocare una partita tra amici. A Roma la gente ti ricorda del derby anche dopo settimane, a Milano invece il giorno dopo puoi andare in centro a fare un giro”. Una differenza netta che lui stesso ha avvertito sulla sua pelle perché il suo cuore sogna ancora un’altra corsa sotto la Curva Sud che lo acclama gridando a squarciagola: “Ha segnato con il numero 4, Radja Nainggolan”.