Roberto Mancini, un fuoriclasse d’altri tempi: quando il talento passa dal campo alla panchina

In attesa del Golden Foot 2022, riviviamo la carriera di una leggenda della Promenade di Montecarlo, Roberto Mancini, dagli straordinari successi con la Sampdoria alla vittoria ad Euro 2020

A cura di Carlotta Desirello 20 Minuti di lettura
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Nel mondo del calcio non è semplice trovare grandi giocatori che, una volta appese le scarpe al chiodo, riescano a proseguire il proprio cammino nel mondo di questo sport e a intraprendere un’altrettanta importante carriera nelle vesti di mister. Ci sono però campioni ai quali il calcio scorre nelle vene, che non riescono proprio a vedersi al di fuori del campo da gioco e che riescono, da allenatori, a continuare a inanellare successi. È il caso di Roberto Mancini, attuale ct della nazionale italiana; un personaggio che non si può descrivere senza citare sia la sua avventura da calciatore, sia quella attuale in panchina. Una personalità che si è distinta in questo sport e che nel 2017 è stata premiata, durante il Gala del Golden Foot, con il prestigioso Legends Award.

L’ex attaccante è entrato di diritto nella famigerata Champions Promenade di Montecarlo, inserendosi così, di fatto, nell’élite del calcio. Il premio è un riconoscimento dedicato alla carriera di ex giocatori e personalità importanti di questo sport, ossia coloro che lo hanno onorato e portato in alto ed è un compito che Roberto Mancini, con sopraffini colpi di classe, prima, e dirigendo e gestendo i propri undici, dopo, ha sicuramente portato a termine.

Il Mancini calciatore: estro e fantasia

Il club che ha il merito di scoprire e mostrare al mondo il talento di Roberto Mancini è il Bologna, che, nel 1977, decide di ingaggiarlo e di portarlo fino a debuttare con la prima squadra nel 1981. Il classe 1964 fa il suo esordio nel calcio dei grandi in un match di Coppa Italia tra i rossoblù e la Reggina e da quel momento in poi viene impiegato con continuità fino al termine della stagione, che, però, porta brutte notizie in casa felsinea, visto che arriva la retrocessione in Serie B. La serie cadetta non è nel destino del vincitore del Golden Foot, che, dopo un corteggiamento importante e deciso, viene acquistato dalla Sampdoria dell’allora storico presidente Paolo Mantovani.

Gli anni alla Sampdoria: un legame indelebile

Mancini, così, dopo quattro anni, fa le valigie e trasloca a Genova, non ancora consapevole di approdare nella città che diventerà, poi, la sua seconda casa e che gli porterà i grandi successi impressi nella Promenade di Montecarlo. Il fantasista diventa fin da subito la pietra su cui il patron blucerchiato ha intenzione di costruire la squadra per gli anni a venire, il giocatore su cui appoggiarsi per aprire un ciclo che possa portare il club ligure a dire la sua tra le grandi del calcio. Una scelta non casuale da parte di Mantovani, che, vuoi il talento cristallino, vuoi la straordinaria capacità di inventare con la sfera da gioco, vuoi le doti di assistman non comuni, vede fin da subito in lui qualcosa di speciale da preservare e far fiorire.

Anno dopo anno, il giovane talento cresce e matura e con lui tutta la Sampdoria. Nel 1984, poi, giunge a Genova un giovane attaccante dalla Cremonese, club che ha appena ottenuto la promozione nella massima serie; un altro classe 1964 come Mancini: Gianluca Vialli. Questo avvenimento si rivelerà fondamentale per il nativo di Jesi, perché si incontrano le carriere di due giocatori che instaureranno un legame unico, due calciatori capaci di dare vita a una coppia d’attacco ancora oggi impressa nella storia del calcio, un duo unico e tra i più prolifici di sempre: i cosiddetti gemelli del gol. Nella stessa stagione, 1984/1985, arriva anche il primo trofeo della carriera della leggenda del Golden Foot: la Coppa Italia, proprio la competizione con cui ha esordito in prima squadra col Bologna qualche anno prima.

La Sampdoria di Mantovani e Mancini, però, è destinata a collezionare successi ancora più importanti e, con Vujadin Boskov in panchina, si mostra a tutta Europa collezionando il primo, e ad oggi unico, trofeo europeo della storia del club: la Coppa delle Coppe del 1988/1989. Il 10 blucerchiato, insieme ai compagni, però, non si accontenta e vuole regalare un altro successo speciale ai propri tifosi; così, un anno dopo, dopo una lunga e storica cavalcata, la Sampdoria conquista matematicamente il primo storico scudetto, dopo la vittoria per 3-0 contro il Lecce.

Sampdoria, scudetto
Sampdoria, scudetto

C’è, comunque, ancora spazio per un altro traguardo unico nella carriera di Mancini a Genova e, nel 1991/1992, i liguri riescono ad approdare in finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona. Questo avvenimento coincide, però, anche con la più grande delusione della carriera del Mancio, che vede scivolare davanti ai suoi occhi il sogno di conquistare il tetto d’Europa, quando, ai supplementari, la punizione di Koeman si insacca in rete e sancisce, di fatto, il successo dei blaugrana. Mancini resta alla Sampdoria fino al 1997, diventando così un simbolo del club, uno dei capitani più importanti della sua storia, se non il più importante. Detiene ancora oggi, peraltro, il record di presenze (566) e di reti (173) con la maglia blucerchiata, numeri che lo rendono anche una delle bandiere del calcio romantico all’interno della Promenade di Montecarlo.

L’esperienza alla Lazio e al Leicester

Terminata l’esperienza alla Sampdoria, Mancini approda nella Capitale, scegliendo di indossare i colori della Lazio. Se, dopo i traguardi unici ottenuti con i blucerchiati, si pensa che il fantasista non possa arricchire ancora ulteriormente il proprio palmares ci si sbaglia e, infatti, nei tre anni con indosso la maglia biancoceleste, contribuisce a successi importantissimi per il club che lo portano alla conquista della seconda personale Coppa delle Coppe nel 1999 e dello storico secondo scudetto della Lazio nel 1999/2000. Inoltre, si aggiudica anche una Supercoppa Europea, una Supercoppa Italiana e due Coppe Italia, che, sommate alle quattro ottenute a Genova, lo rendono il giocatore ad aver vinto questo trofeo il maggior numero di volte, alla pari di Gianluigi Buffon; insomma, la Coppa Italia è sempre stata il fil rouge della carriera di Mancini. Dopo una breve parentesi al Leicester, il 22 febbraio del 2001 decide di mettere il punto sulla sua straordinaria carriera da giocatore, degna di una leggenda del Gala di Montecarlo.

Roberto Mancini
Roberto Mancini, Lazio-Maiorca, Coppa delle Coppe 1999

Il Mancini allenatore: un leader da grandi sfide

Come spiegato in precedenza, non è comune vedere grandi giocatori trasformarsi in allenatori di primo livello, ma c’è anche da dire che quando una visione di gioco fuori dal comune si unisce ad un carattere da vero leader tutto è possibile. Così, come già un tecnico del calibro di Boskov aveva ipotizzato, una volta ritiratosi dal calcio giocato, Mancini intraprende la carriera sulla panchina, un’avventura che gli regalerà parecchi successi. Il primo a dare fiducia al Mancio è Eriksson, che, al termine della stagione 1999/2000, lo sceglie come vice per un’annata. Il primo grande incarico per Mancini arriva, però, nel 2001, quando viene chiamato a dirigere la Fiorentina, subentrando Fatih Terim, una delle leggende di quest’anno del Golden Foot. La sua avventura da allenatore inizia al meglio e, chiamato a disputare la finale di Coppa Italia contro il Parma, trionfa nella competizione, ancora una volta decisiva nella sua carriera.

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Dall’Inter al Manchester City, gli anni dei successi

L’avventura sulla panchina viola, però, termina ben presto e l’anno seguente si dimette, per poi, nell’estate del 2002, tornare alla Lazio, dove resta per due anni portando a casa un’altra Coppa Italia. Nel 2004 prende il via l’avventura di Mancini all’Inter, dove riesce ad aprire un ciclo importante di vittorie, iniziando sempre dalla Coppa Italia, nel 2004/2005, e bissando il successo anche l’anno successivo. L’annata 2005/2006, però, è anche caratterizzata fortemente dalle vicende di Calciopoli, che portano all’assegnazione a tavolino del Campionato Italiano per i nerazzurri. Questo si rivela il primo di un trittico di scudetti sulla panchina della Beneamata per la Leggenda del Golden Foot, che si laurea campione d’Italia anche nei due anni a seguire. Nonostante i tanti successi, però, nel 2008 viene esonerato dal club.

Bisogna attendere circa un anno e mezzo prima di rivedere Mancini nel mondo del calcio ed è, infatti, nel 2009, a fine dicembre, che torna ad allenare, questa volta, però, in un altro campionato: la Premier League, sulla panchina del Manchester City. Anche in Inghilterra si dimostra un fuoriclasse e colleziona successi su successi, a partire dalla FA Cup del 2011, il primo titolo del club dopo 35 anni di astinenza. Inoltre, nello stesso anno, permette ai citizens di qualificarsi per la prima volta nella storia alla Champions League, mentre la stagione seguente si piazza in vetta alla Premier League e conquista anche il Community Shield. Anche in questo caso, nel 2013, dopo circa quattro anni, l’esperienza termina con un esonero.

Roberto Mancini all'Inter
Roberto Mancini all’Inter

Il difficile ritorno all’Inter

Dopo le annate al Manchester City, Mancini trascorre una stagione in Turchia alla guida del Galatasaray, con cui riesce, sorprendentemente, ad eliminare la Juventus dalla Champions League, qualificandosi agli ottavi di finale della competizione. A novembre del 2014, poi, torna sulla panchina dell’Inter, ma non riesce a bissare i grandi risultati ottenuti alla sua prima esperienza in nerazzurro, complice anche il periodo complicato per la Beneamata. Dopo due stagioni, al termine di un’estate costellata dalle tante incertezze, lascia l’Inter.

L’approdo in Nazionale e la “restaurazione”

Mancini ha tempo ancora per essere insignito del Golden Foot Legends Award nel 2017 e per una breve esperienza in Russia allo Zenit San Pietroburgo, prima che, il 14 maggio del 2018, arrivi una chiamata difficile da rifiutare per un nativo del Belpaese: quella della nazionale italiana. Non è, però, allo stesso tempo, una chiamata semplice da accettare, visto che l’Italia ne viene da una delle più grandi delusioni della sua storia recente: la mancata qualificazione ai Mondiali in Russia del medesimo anno. Il Mancio, però, si dimostra fin da subito deciso e voglioso di lasciare il proprio marchio; così, inizia a ricostruire la squadra, avvalendosi spesso delle nuove leve, alcune delle quali diventeranno, poi, perni di questa nazionale, come Gianluigi Donnarumma, Nicolò Barella, Federico Chiesa e Leonardo Spinazzola.

I primi risultati del lavoro dell’allenatore impresso nella Promenade di Montecarlo si vedono nel torneo di qualificazione ad Euro 2020, visto che l’Italia ottiene il pass per la fase finale della competizione con ben tre giornate di anticipo per la prima volta nella sua storia. Inoltre, Mancini inizia a inanellare una serie di vittorie consecutive, che diventano 11 a seguito del 9-1 contro l’Armenia, riscrivendo il nuovo primato per la nazionale italiana. Dopo il rinvio di Euro 2020 al 2021 a causa del Covid, la squadra di Mancini partecipa alla Nations League e riesce a qualificarsi per le fasi finali del torneo.

Il riscatto di Wembley: il trionfo ad Euro 2020

È nell’estate del 2021 che arriva il più grande successo della leggenda del Golden Foot sulla panchina dell’Italia. La nazionale si presenta all’Europeo con ottime sensazioni, anche se da sfavorita rispetto a compagini come la Francia o l’Inghilterra, sulla carta più attrezzate per arrivare fino in fondo. L’avventura inizia al meglio e Mancini guida i propri ragazzi alla conquista del primo posto del girone dopo un percorso netto contro Turchia, Svizzera e Galles, riuscendo, peraltro, a mantenere inviolata la porta di Donnarumma. Agli ottavi di finale l’Italia fatica, ma riesce a superare l’Austria per 2-1 ai supplementari, in una vittoria storica, visto che stabilisce il nuovo record di risultati utili consecutivi della Nazionale nostrana (31) e quello di vittorie consecutive (12), che apparteneva già a Mancini.

Roberto Mancini e Gabriele Oriali, Commissario Tecnico e Team Manager della Nazionale Italiana di calcio @imagephotoagency
Roberto Mancini e Gabriele Oriali, Commissario Tecnico e Team Manager della Nazionale Italiana di calcio @imagephotoagency

I record, però, sono destinati ad essere riscritti ancora una volta e ai quarti di finale l’Italia sconfigge il Belgio per 2-1 e si garantisce la semifinale con la Spagna. Quella contro gli iberici si rivela una gara complicatissima che, nonostante la nazionale di Mancini riesca a sbloccare con il gol di Chiesa, si complica a seguito del pareggio di Morata. L’Italia stringe i denti e arriva a giocarsi il match ai rigori, dove è il penalty decisivo di Jorginho a portare la squadra all’ultimo atto del torneo.

In finale l’Italia, guidata dalla Golden Foot Legend del 2017, si trova di fronte l’Inghilterra, in un match carico di significato da entrambe le parti; gli inglesi, infatti, giocano in casa e vogliono regalare ai propri tifosi un trofeo importante, che manca dal successo al Mondiale del 1966. Dall’altra parte gli azzurri si trovano davanti all’opportunità di riscattare la mancata qualificazione alla Coppa del Mondo del 2018 che ancora risuona nella mente degli italiani. Anche per Mancini, però, è un’occasione per ottenere la propria rivincita personale, proprio a Wembley, lo stadio in cui, tanti anni prima, ha dovuto rinunciare al sogno di coronare lo storico ciclo di vittorie della Sampdoria di Mantovani con la Coppa dei Campioni; il teatro di una delusione che mai è riuscito a digerire. Non è, però, il solo alla ricerca riscatto del gol di Koeman: al suo fianco, nello staff, ci sono personalità che come lui hanno assistito alla delusione di Wembley, come Vialli e Lombardo; a soffrire con lui ci sono gli amici e compagni di sempre.

Pronti, partenza, via e lo stadio si esalta per il gol di Shaw che porta avanti l’Inghilterra, con una rete che potrebbe indirizzare in maniera decisa una partita. Non è questo, però, il caso e l’Italia decide di non mollare e continuare a spingere, fin quando non riesce a trovare la rete del pareggio con Leonardo Bonucci al 67’. Terminano i tempi regolamentari e anche quelli supplementari: è deciso, saranno i rigori a sancire chi alzerà il trofeo. Com’è accaduto anche in semifinale, è la nazionale italiana a sbagliare per prima, con Pickford che neutralizza il tiro di Belotti. Les jeux, in questo caso, ne sont pas fait, e, dopo le reti di Maguire e Bonucci, Rashford rimette i conti in parità fallendo il proprio penalty. Bernardeschi è poi l’ultimo a riuscire ad insaccare il pallone in rete e il suo rigore è seguito dalla parata di Donnarumma su Sancho e dall’errore dello specialista italiano dagli 11 metri, Jorginho. L’Inghilterra ha quindi l’opportunità di portare ad oltranza i rigori, ma l’estremo difensore italiano non è d’accordo e, parando il tiro di Saka, sancisce la definitiva vittoria degli azzurri.

Italia Euro 2020
Italia Euro 2020

La delusione Mondiale, una nuova grande sfida per la leggenda del Golden Foot

Il successo all’Europeo è probabilmente il più importante fino ad oggi per Mancini come allenatore, che torna al successo, quindi, dopo anni complicati e ottiene la sua rivincita personale. A partire dall’11 luglio del 2021, Wembley diventa per lui lo stadio sì più odiato, ma allo stesso tempo più amato della sua carriera. Purtroppo, però, la gioia per il titolo di campione continentale dura poco meno di un anno e, il 24 marzo 2022, la rete di Trajkovski nei minuti di recupero della gara tra Italia e Macedonia del Nord, valida per lo spareggio per il Mondiale in Qatar, comporta un verdetto nefasto: per la seconda volta consecutiva l’Italia non parteciperà alla Coppa del Mondo.

Un altro grande compito, quindi, attende ora Mancini, che è chiamato a risollevare ancora una volta le sorti della Nazionale. Un compito, però, all’altezza di una personalità che è riuscita a distinguersi e a ritagliarsi il suo spazio nella storia del calcio, non in un top club, ma bensì portando la Sampdoria ai livelli delle grandi d’Europa; uno dei simboli di un calcio romantico caratterizzato dall’attaccamento ai colori, che ormai è difficile trovare; un fuoriclasse che è riuscito a portare il proprio talento dal campo alla panchina; un leader che non si è mai tirato indietro di fronte a grandi sfide e che, dalle difficoltà, riesce a trarre la propria forza; una leggenda che resterà per sempre impressa della Champions Promenade del Golden Foot.