Una delle maglie più importanti all’interno di una rosa, perché deve essere affidata ad un uomo che abbia la tenacia di portarla sulle spalle. Non si parla solo di qualità da portiere, questa casacca necessità personalità, capacità di comunicazione e di leadership perché chi ricopre quella zona di campo deve essere padrone della propria area di rigore. Tutto questo deve avere un giocatore per poter indossare la maglietta numero 1. Ad oggi, nella Roma è Rui Patricio a difendere i pali della squadra allenata da José Mourinho, con la sua impeccabile presenza. In pochi possono indossarla e a tal proposito sono ancor meno coloro che hanno fatto la storia di questo club con quella cifra sulle schiena.
Fabio Cudicini, il Ragno Nero
Fabio Cudicini ha scritto la storia di questo ruolo risultando anche come uno dei portieri italiani più forti di tutti i tempi. Nato a Trieste, esordisce tra i professionisti con la maglia dell’Udinese con la quale gioca fino al 1958. Le sue prestazioni e la sua stazza lo rendono interessante agli occhi della Roma che decide di acquistarlo, andando a mettere un punto fermo tra i pali. Con il tempo diventa sempre più importante per la rosa giallorossa, fino a quando, nel 1960 diventa un titolare inamovibile nella formazione capitolina. Dal suo arrivo nella Capitale, prende il soprannome di Pennellone, per i suoi 191 centimetri d’altezza che lo rendono invalicabile agli occhi degli avversari.
Dopo tanti sacrifici iniziano ad arrivare anche i primi risultati e le prime gioie per Cudicini che, nel suo primo anno da titolare fisso, alza la Coppa delle Fiere con la Roma. Fabio e la compagine giallorossa però non ne hanno abbastanza e continuano a giocare per vincere ottenendo così anche la Coppa Italia nel 1964. Nonostante però, le ottime prestazioni disputate a Roma, è nel Milan che dà il meglio di sé vincendo anche una Coppa dei Campioni, della quale ne diventa protagonista con le sue parate, motivo dell’appellativo Ragno Nero.
Alberto Ginulfi, il portiere con la Roma nel cuore
Ginulfi, nato a San Lorenzo, cresce con la passione del calcio, ma soprattutto con quella della sua squadra del cuore, la Roma. La sua storia inizia dal banco del pesce della zia a piazza Vittorio, dove comincia a lavorare. Fin da subito però si capisce che quella non è la strada del ragazzo che, più passa il tempo e più continua a crescere calcisticamente nel ruolo di portiere. In molti non credono in lui, ma ad Alberto poco importa perché in testa ha un solo obiettivo: vestire la maglia giallorossa. Il traguardo lo raggiunge presto, perché dopo aver passato un anno alla Tevere Roma, entra di diritto nella squadra della Capitale, della quale difenderà la porta dal 1962 fino al 1975.
Una storia bellissima quella di Ginulfi interrotta però, da un episodio particolare. Nel 1974 un’elettrocardiogramma evidenzia un’anomalia cardiaca che i medici non prendono alla leggera, costringendo il portiere a fermarsi. Proprio in quel periodo Alberto, a causa del parere dello staff medico, non può rispondere alla chiamata della Nazionale. Da quel momento in poi cambiano anche le gerarchie che lo vedono costretto nel 1975 a trasferirsi, lasciando così la sua amata Roma. Nonostante tutto però, l’impegno e la passione messa in campo verrà sempre ricordata da chi, come lui, ha il cuore tinto di giallo e di rosso.
Franco Tancredi, il para rigori
Non il classico prototipo del portiere alto e piazzato in grado di occupare tutta lo specchio con la sua fisicità, bensì un uomo dalla statura normale, ma dotato di una grande agilità ed elasticità: questa è la descrizione perfetta per Tancredi. Nato a Giulianova, cresce nelle giovanili della città, ma con un ruolo totalmente diverso da quello ricoperto nel resto della sua carriera, quello di ala. La sua velocità ne fanno un’arma perfetta nel trio d’attacco fino a quando è il suo allenatore Tribuiani a spostarlo tra i pali. Da questo momento in poi inizia la vera fortuna di Franco, parte della storia della Roma, che inizia a farsi notare passando per il Milan che però decide di cederlo al Rimini.
Proprio durante l’annata con la maglia del Rimini dimostra molto del suo potenziale e su di lui piomba la Roma che decide di puntare sul suo talento nel 1977. Un’esperienza molto lunga quella di Tancredi con la casacca giallorossa che indossa fino al 1990 e con la quale conquista trofei, ma non solo. Episodio che ha destato particolare spavento è quello avvenuto a San Siro contro il Milan, dove Franco viene colpito da due petardi lanciati da un tifoso rossonero. Il primo esplode all’altezza delle gambe, mentre il secondo vicino al viso del portiere che cade a terra privo di sensi. Attimi di panico tra il pubblico e gli uomini in campo, ma nonostante il grande spavento viene soccorso e due giorni dopo viene rilasciato dall’ospedale.
Leggi anche: Roma, Wijnaldum accelera: il programma per tornare alla corte di Mourinho
La fisicità e l’altezza non sono mai stati un punto di forza per Tancredi che, nonostante ciò, si è rivelato comunque fondamentale durante i suoi anni con la maglia della Roma. La sua agilità infatti, gli ha sempre permesso di fare parate che altri portieri non sarebbero mai stati in grado di compiere e gli esempi più eclatanti sono i rigori parati (5 in totale) in 2 delle 5 finali vinte di Coppa Italia. Inoltre, come se non bastasse si rivela grande protagonista dello scudetto vinto dai giallorossi nella stagione 1982-1983, realizzando così il sogno di ogni bambino: alzare un trofeo sapendo di essere tra gli artefici.
Francesco Antonioli, un portiere vincente
La strada per arrivare nella Capitale è lunga, soprattutto per chi parte da lontano. Questa è la storia di uno dei portieri più vincenti di quei tempi, Francesco Antonioli che trova l’esordio tra i professionisti con la maglia del Monza. Tante le esperienze nel mezzo come il Milan, Cesena, Modena, Pisa e Reggiana prima di approdare alla corte romana nel 1999. Grazie al grande organico a disposizione della Roma, nel 2000-2001 arriva la vittoria dello scudetto, il terzo per il portiere che con i rossoneri ne ha vinti già due. Una parentesi breve che dura fino al 2003 quando, dopo una stagione altalenate, si trasferisce alla Sampdoria, lasciando così alla città eterna un ricordo positivo di lui.
Szczesny, il muro polacco
Facendo un grande salto nel tempo, arriviamo ad un portiere dotato di buoni riflessi, agile tra i pali e capace di leggere l’azione uscendo con il tempo giusto: il suo nome è Wojciech Szczesny, uno dei migliori nella storia della Roma. Il polacco nasce e cresce a Varsavia giocando anche per la squadra della sua città. Un’infanzia segnata fin da bambino quella di Tech, che si innamora del calcio e a questo ruolo anche grazie al padre Maciej, estremo difensore arrivato a collezionare 7 presenze con la Nazionale. Nonostante ciò, il giovane talento durante la sua infanzia pratica anche altri sport come il ballo da sala, abbandonandolo quasi subito per dedicarsi al football.
Dalla fuga dall’Arsenal all’approdo alla Roma
Nel 2006 a mettere gli occhi su di lui è l’Arsenal che tre anni più tardi decide di farlo esordire in prima squadra contro lo Stoke City. L’inizio di una storia che lo vede con la maglia dei Gunners fino al 2015, con cui riesce ad alzare anche diversi trofei come 1 Community Shield e 2 Coppe d’Inghilterra. Una favola per Szczesny che vede nell’ambiente e nei tifosi una grande famiglia fino a quando, dopo una sconfitta contro il Southampton viene scoperto a fumare negli spogliatoi. Un gesto grave per Wenger che decide di metterlo fuori rosa per alcune settimane, ma da quel momento in poi Wojciech, complice anche le prestazioni di Ospina, non trova più spazio. Con una nota amara dunque chiude la sua parentesi inglese approdando nel 2015 in prestito alla Roma.
Viste le vicende verificatesi all’Arsenal, Szczesny arriva nello scetticismo generale in una piazza difficile e storica come quella di Roma. Poco importa però, al portiere polacco che tranquillizza il popolo giallorosso con le sue parate con le quali conquista la fiducia dei tifosi. Al termine del prestito, nel 2017, deve fare ritorno ai Gunners che decidono di monetizzare vendendolo alla rivale per eccellenza in quegli anni, la Juventus.
Alisson, il talento brasiliano nel sangue
Alisson ad oggi considerato tra i migliori portieri in circolazione, nel suo repertorio riesce a combinare una grande fisicità a dei buoni riflessi, ma soprattutto una grande sicurezza con la palla tra i piedi. Non poche volte infatti il brasiliano, connazionale del difensore della Roma Ibanez, ha preso l’iniziativa smarcando l’attaccante che veniva alto in pressing, dimostrando oltre che grande sicurezza nei propri mezzi tecnici, anche una grande personalità. Quella dell’estremo difensore è una storia che inizia da molto lontano, esattamente da Novo Hamburgo, luogo dove nasce e cresce insieme al fratello con un sogno in comune: diventare un grande portiere. Una sorta di rivalità che li ha accompagnati per tutta la loro infanzia, fino a quando, il futuro portiere del Liverpool riesce a conquistare la maglia da titolare dell’Internacional.
Nell’Internacional si cominciano ad intravedere le buone doti di Alisson al punto che, nel 2016, è la Roma a mettere gli occhi sul calciatore, acquistandolo nel mercato di gennaio. Arrivato nella Capitale come secondo portiere e come alternativa di Szczesny, in pochi lo notano, perché utilizzato solo in Europa League. L’addio a fine stagione del polacco però, apre una grande voragine tra i pali della compagine capitolina dove si immola l’estremo difensore brasiliano che diventa titolare inamovibile della rosa giallorossa. Gli basta una sola stagione per esser considerato tra i più forti portieri del panorama Europeo e lo dimostra con le sue prestazioni in campionato, ma soprattutto in Champions League.
La fantastica impresa di Alisson con la Roma
Da incorniciare in particolar modo è l’annata 2017-2018 in Champions League dove la Roma riesce nell’impresa storica di arrivare in semifinale contro il Liverpool. Guidata proprio da Alisson, ma anche da Nainggolan ed Edin Dzeko i giallorossi riescono a sorpassare squadre del calibro di Chelsea, Atletico Madrid, ma soprattutto battendo in rimonta il Barcellona di Messi. Una stagione che rimarrà nella storia del calcio soprattutto perché la compagine della Capitale, allenata a quei tempi da Eusebio Di Francesco, vanta degli ottimi numeri difensivi. Con il brasiliano in porta sono solo 2 i gol subiti in casa in 6 partite disputate nella competizione europea.
Come tutte le favole però hanno una fine, allo stesso modo anche la fantastica storia tra Alisson e il club giunge al termine. A bussare alla porta della Roma è proprio il Liverpool che, con un’offerta di 72,5 milioni di euro, acquista il brasiliano assicurandosi un portiere di caratura internazionale. Un giocatore che i tifosi romani ringrazieranno per sempre, per la sua grinta e la sua personalità che hanno fatto vivere al popolo romanista delle notti magiche.