Da Iannone al caso Arbitrino: AIA, è tutto come sembra?

A cura di Lorenzo Gulino
Var Center, Lissone
Var Center, Lissone

Le discussioni continuano a farsi largo e, probabilmente, mai cesseranno di esistere. In un mondo tanto amato quanto complesso come quello del calcio di argomenti ce ne sono tanti da analizzare, persino troppi, per uno sport che in realtà, per quelli che sono i suoi valori più puri, non richiederebbe altro che leggerezza e trasparenza. Ma con il passare del tempo ci si rende conto che tutto ciò che dovrebbe spiccare è limitato solamente a dei piccoli attimi, a degli istanti che vengono surclassati da quelli che possiamo chiamare, per così dire, ‘casi’.

Il caso VAR

Nell’ultimo periodo si è imposto quello relativo al VAR. Lo strumento tecnologico, da qualche anno a questa parte, ha cambiato completamente l’immaginario collettivo nel mondo del calcio, anche partendo dal semplice minutaggio delle gare. Questo, però, non regge sicuramente il confronto con la possibilità di rimediare all’errore dell’occhio umano che, per quanto attento possa essere, non riuscirà mai a cogliere ogni singola irregolarità, durante una mischia, un contrasto di gioco o un fuorigioco.

Insomma, il VAR è, a tutti gli effetti, un terzo occhio che dovrebbe stabilire la verità assoluta. Il termine ‘dovrebbe’ non è casuale, visto che ultimamente si è aperto un dibattito sull’utilizzo dello stesso. Gli episodi chiacchierati sono tanti, ma quello più clamoroso riguarda il match Inter-Verona nel quale Bastoni colpisce Duda in maniera volontaria. In tale dinamica, come in altre del resto, l’arbitro non è stato minimamente richiamato al monitor. Da qui si è aperto il Vaso di Pandora, soprattutto con l’intervista del sedicente arbitro a Le Iene che ha portato alla luce tante controversie, seppur nascondendosi dietro l’anonimato.

A parlare del VAR in ESCLUSIVA ai nostri microfoni è stato Antonio Iannone, ex arbitro di Serie B. Queste le sue parole: “Ci sono delle criticità, questo mi sento di condividere e di segnalare. Altra premessa è quella che se tutti credevano che con il VAR si sarebbero risolti i problemi del calcio, e quindi delle decisioni arbitrali, credo che questo vada rivisto nell’immaginario di chi lo pensava.

Antonio Iannone, ex arbitro
Antonio Iannone, ex arbitro*

Ha poi continuato Antonio Iannone: “Chiaro che il processo di lavoro, che porta all’applicazione di un protocollo e allo stesso tempo ad un giudizio di uno o più episodi che si verificano in campo, va migliorato affinché questo tipo di strumento, validissimo, che ha portato comunque un beneficio dalla sua entrata in vigore, può sempre di più tornare utile per stabilire la verità sul terreno di gioco. Pertanto l’uomo che è vicino al dispositivo deve analizzare, studiare, quel tipo di episodio indicato qualche secondo prima dal direttore di gara live. Sicuramente questa è la mission che arbitri e commissioni dei rispettivi paesi, dove è in vigore questo strumento, dovrà essere sempre più implementata, con lavoro incentrato nel migliorare il supporto”.

Non solo Antonio Iannone. Ad esprimere il proprio pensiero in ESCLUSIVA ai nostri microfoni è stato anche il noto arbitro di TikTok, meglio conosciuto come Arbitrino. Queste le sue parole: “Diciamo che per quanto possa esser stato introdotto il VAR nella maniera più oggettiva possibile ad arbitrare è sempre un uomo che la proprie impressioni, le proprie percezioni e anche al VAR ci sono degli esseri umani”.

Ha poi continuato Arbitrino: “Ogni episodio è diverso dall’altro per quanto possano essere simili e quindi si basa tutto sulla percezione di come io giudico un determinato fallo e soprattutto è un problema la definizione di VAR che deve correggere un chiaro ed evidente errore perché non esistono chiari ed evidenti errori, o meglio esistono, ma quei pochi vengono rilevati, però, c’è ancora tanta discrezionalità. Secondo me si basa tutto come io vedo un determinato episodio, quindi decido se richiamare o meno l’arbitro al VAR perché l’intensità può essere grave, meno grave. Il protocollo secondo me si può migliorare chiamando un pochino più spesso e non solamente in casi di evidente errore. Per me, però, va discretamente bene così”.

Tra promozioni e retrocessioni: il curioso caso arbitri

E poi c’è la questione arbitri. Una vicenda assai singolare, ma che ben si collega al discorso VAR. Ogni direttore di gara, infatti, riceve da un osservatore apposito una valutazione al termine di ciascun match e, alla fine dell’anno, queste valutazioni determinano la classifica e la conseguente promozione o retrocessione dell’arbitro stesso. Ed è qui che il dispositivo tecnologico entra in gioco, poiché se il direttore di gara dovesse venire chiamato al monitor rischierebbe una “penalità” nel punteggio che andrebbe, poi, a gravare sulla classifica alla fine dell’anno.

A parlarne è stato l’arbitro anonimo a Le Iene: “Questa situazione è diventata insostenibile e sta condizionando le carriere di molti di noi. Da come viene valutato un arbitro dipende il fatto che questo continui ad arbitrare o meno. Molti di noi hanno la sensazione che non sempre i voti, le valutazioni e le eventuali retrocessioni o dismissioni a fine anno dipendano esclusivamente dalle nostre prestazioni durante le partite. Ogni volta che un arbitro viene chiamato al VAR può essere penalizzato nel voto che riceve dagli osservatori a fine partita, e se chi valuta gli arbitri sbagliasse nella valutazione, siamo poi sicuri che fanno carriera sempre e solo i più bravi e che vengano retrocessi i più scarsi?“.

Ha poi continuato: “Si ha la sensazione che alcuni arbitri siano protetti e tutelati, sia nel voto che prendono a fine partita, sia nella spiegazione che dà la CAN, commissione arbitri nazionali, di alcuni episodi controversi. Perché succede una cosa del genere? Come mai alcuni vengono chiamati e altri no? Cambia qualcosa nei voti che prendono e nella loro classifica di fine anno? Ci sono arbitri più protetti e meno chiamati al VAR“.

In questo frangente i dubbi sono stati molti. Perché alcuni arbitri vengono chiamati con maggiore frequenza al VAR e altri quasi mai? Ci sono direttori di gara tutelati? Queste sono solo alcune delle incertezze che aleggiano intorno all’AIA e che ben si sposano con le tanto famose fazioni, all’interno della stessa associazione, che si darebbero contro l’un l’altra. Insomma, una sorta di giochi di potere che, per farsi ‘battaglia’, hanno dato il via ad un effetto domino pericoloso.

A dare la sua visione è stato Antonio Iannone: “Di queste situazioni alle quali abbiamo assistito attraverso le immagini televisive, io ovviamente ho ascoltato, ho visto anche la modalità e personalmente non la condivido, ma questo per un mio modus operandi. Sulle cose ci metto la faccia e appongo la firma quindi tutto quello che viene raccontato in quella trasmissione io ne ho preso atto, ma la modalità con la quale avviene questo non mi sento di condividerla, questo è il mio modo di vivere. Sarebbe stato diverso se avessi visto in viso la persona, se avessi visto e ascoltato un qualcosa di raccontato e ci oppone anche la firma”.

Ha poi continuato, Antonio Iannone: “Tutto il resto sono dei racconti, una narrativa la quale personalmente mi convince poco…Se io posseggo dei documenti, e sono legittimato a fare una segnalazione indipendentemente dalle conseguenze che possono avvenire, se c’è fondatezza io non ho paura a correre anche un remoto rischio di. Se ci celiamo, se utilizziamo degli strumenti che onestamente io, come cittadino italiano, ho visto utilizzare, ma penso anche lei, per la tutela di – e faccio un esempio per rendere l’idea di quello che vuole essere un mio discorso – un collaboratore di giustizia che deve purtroppo nascondersi per una ragione di incolumità e vedo una persona che si cela per delle criticità che sono legate a dei racconti, tutto il resto per me faccio veramente fatica a stare dietro, quindi trovo tutto difficile da commentare”.

Il regolamento AIA: la libertà espressiva a rischio?

Un filo conduttore sottile quello che, fino a questo momento, ci ha guidato in questo ‘viaggio’ all’interno di ciò che si può definire come caso AIA. Perché se c’è una cosa che accomuna il VAR e gli arbitri non è altro che il regolamento dell’Associazione italiana arbitri. Se ne sono dette di ogni e molti associati hanno lamentato una pesantezza, forse eccessiva, di alcune norme comportamentali che trovano la loro essenza nella paura dell’arbitro anonimo di non poter celare il suo vero volto nella ‘segnalazione’ delle tante criticità.

Ma allora, forse, sarebbe il momento di ascoltare le richieste degli stessi direttori di gara? Sarebbe il momento di lasciare una maggiore libertà espressiva all’interno dell’associazione? Perché la sensazione generale è quella di un regolamento troppo ‘chiuso’ rispetto a quelle che sono le nuove generazioni e, dunque, verso gli arbitri del futuro.

Questo il pensiero di Antonio Iannone: “Chiaro è che un arbitro che sceglie in propria autonomia, già dalle categorie provinciali, quindi l’arbitro che diventa un neofita per intenderci, sa bene che quell’associazione alla quale appartiene, in questo caso l’associazione italiana arbitri, ha un proprio statuto, delle proprie regole, dei propri codici. Questo perché sono importanti per regolamentare con ordine e disciplina quelle che sono il buon vivere all’interno di un’associazione. Bisogna essere precisi nell’indicare a cosa si riferisce e quale è la pesantezza. Per quanto mi riguarda posso dire che è stato un modello, un esempio, un indirizzo soprattutto per la mia crescita umana e professionale seguire delle linee guida”.

Ha poi continuato l’ex arbitro di Serie B: “Magari qualcun altro può trovare questo modello e queste regole e questa disciplina pesante, qualcuno gli dà un’importanza, una pesantezza, una condivisione diversa, però all’interno di un contesto associativo o all’interno di un contesto di comunità, io credo che necessariamente può essere disciplinato solo attraverso delle regole e se le regole sono quelle di parlare in un certo modo o io non credo che se uno si porta nei luoghi preposti, nelle sedi istituzionali, e disquisisce con i propri superiori, i propri capi, allora questa cosa non può essere ascoltata. Questo non riesco a comprendere. Arrivare a dire, fare cose diverse è chiaro che occorrono delle autorizzazioni, ma questo perché ci sono delle norme comportamentali”.

Il caso di Arbitrino

Una delle storie più seguite sul web, e non solo, è sicuramente quella relativa alla sospensione di Alessandro Iuliano, meglio conosciuto come Arbitrino, dall’AIA. Una vicenda che ben si lega al nostro discorso e che passa attraverso le norme comportamentali del regolamento dell’associazione stessa.

Questo quanto raccontato dal noto Tiktoker: “Io ho iniziato durante il secondo lockdown a pubblicare dei video sul calcio perché volevo dare una mia interpretazione regolamentare di episodi che creavano tanta polemica online. Lì ho detto ‘Sono un arbitro, quasi, quasi mi metto a spiegare che qui l’arbitro ha agito in una determinata maniera perché ha seguito il concetto di fallo imprudente e quindi ha ammonito, questo potrebbe essere rigore perché la gamba era alta…’. Insomma era fare un moviola, ma senza mai giudicare l’arbitro nello specifico, ma sempre dando delle lezioni”.

Ha poi continuato: “Ho sempre sviluppato i miei contenuti portando le persone con me, tipo daily blog, ad arbitrare tenendo anonimo calciatori e squadre per far vedere come si arbitrava. Facevo vedere, quindi, una giornata da arbitro in modo tale da portare più persone ad essere sensibilizzate su questo tema visto che gli arbitri nelle categorie dilettantistiche sono spesso presi di mira. Avevo fatto 60mila followers su TikTok ed ero sicuro che stavo facendo del bene solo che poi mi arriva un richiamo scritto per cui sono stati mandati dei miei video alla Procura Federale degli Arbitri perché erano incriminanti della lesione dell’immagine dell’AIA e perché gli arbitri non si possono esporre sui social”.

Alessandro Iuliano, Arbitrino
Alessandro Iuliano, Arbitrino*

Una secchiata d’acqua fredda per Arbitrino che è letteralmente andato a sbattere contro il muro chiamato AIA e su un regolamento che, per quanto legittimo e statuario, non è così aperto alle nuove generazioni e ai mezzi innovativi che ne conseguono. Queste le parole di Alessandro: “Secondo la legge interna dell’AIA, infatti, non puoi rilasciare dichiarazioni e interviste e quindi era un problema, questo mio fare del bene paradossalmente andava contro la norma associativa dell’AIA. Secondo me poteva essere una dimostrazione del fatto che era ora di cambiare, della possibilità di usare i social in maniera molto positiva e invece non c’è stato dialogo”.

Ha poi continuato il noto Tiktoker: “Sono stato chiamato in Commissione Disciplina a difendermi dalle accuse, da domande come ‘Perché hai fatto questi video? Quanti followers hai? Hai intenzione di continuare?’, il tutto senza aver mai avuto la possibilità di parlare con qualcuno a capo dell’AIA. Io ero pronto a tornare sui miei passi, ma facendo valere la mia attività di portatore di conoscenza a livello regolamentare. Quindi è arrivata questa prima sospensione di 5 mesi, a cui ho provato a fare appello ma ho perso”.

Ma poi per Arbitrino, oltre al danno, è arrivata anche la beffa: “Ho aspettato che finisse la sospensione ed ero pronto per tornare in campo poi, però, mi è arrivato un altro deferimento, ma qui c’era l’aggravante di non aver mai smesso di fare ciò che avevo fatto. Ho fatto lo stesso processo e alla fine mi hanno dato 18 mesi di sospensione totale. All’inizio ero un pochino scosso però ero contento di quello che stavo facendo con i social e questo mi ha dato la forza di continuare”.

Insomma tutto ruota intorno ad un unico grande tema: la libertà d’espressione. A sottolinearlo è stato lo stesso arbitro Tiktoker: “Prendendo il mio caso, darei più libertà d’espressione sui social. Alcuni ragazzi hanno il terrore di mettere storie, di schierarsi da qualche parte per paura di ricevere un deferimento e ho sentito di storie di ragazzi che sono stati censurati e che hanno ricevuto sanzioni per come si esprimevano sui social e per quello che portavano. Anche semplicemente hanno ricevuto un avviso del tipo ‘Guarda ho visto la storia che hai messo nello spogliatoio, puoi toglierla?’. C’è poca, poca libertà nell’utilizzo dei social. Le squadre, i calciatori usano i social e non vedo perché gli arbitri non possano”.

Allora, forse, è arrivato veramente il momento di cambiare le cose. Perché tra un protocollo VAR in evoluzione, ma che fa cilecca alzando polveroni evitabili, e un regolamento AIA monumentale e capillare, che rischia d’essere un pezzo d’antiquariato, il treno delle migliorie passa per una sola via: quella dell’aggiornamento.