La storia del Milan ripercorsa attraverso i leggendari soprannomi affibbiati da Carlo Pellegatti ai protagonisti delle varie epoche milaniste. Pellegatti, storica voce nel commento pittorico delle partite del Diavolo oltre che uomo in rappresentanza del tifo rossonero così sul piccolo schermo e così su radio e carta stampata.
Il guizzo e l’estro nel dipingere e nell’inventare nomi appropriati per ogni calciatore che ha marcato la storia del club, chi in positivo, molti, chi in negativo, solamente alcuni. Oggi ripercorriamo gli anni storici del Milan dei meravigliosi di Carlo Ancelotti, il terzo atto delle grandi epopee vissute dalle grandi squadre sotto la presidenza di Silvio Berlusconi.
Milan, Pellegatti e le origini dei meravigliosi di Ancelotti
Una squadra divenuta un’icona nel mondo dello sport dei primi anni 2000, così il team, così l’allenatore, così gli interpreti in campo. Tuttavia, per trovare le radici di una squadra divenuta dei Meravigliosi, non è necessario risalire all’alba di un’estate con la firma dell’ex centrocampista rossonero Carlo Ancelotti, bensì durante una stagione, a campionato già in corso: quello del 2001/02 per la precisione. Dopo l’arrivo dalla Fiorentina di Fatih Terim in panchina, protagonista di un inizio arrancante, il 5 novembre 2001 colui che col tempo diverrà Re Carlo appone la propria firma sul contratto per divenire nuovo tecnico del Milan.
Quell’anno colui che precedentemente fu La diga di Assuan riuscì a guidare la rosa a sua disposizione sino all’ultimo slot disponibile per l’accesso alla Champions League. Al quarto posto in campionato seguì anche quello virtuale nelle coppe: in Coppa Italia quel Milan venne infatti eliminato in semifinale, medesimo turno dal quale venne estromesso anche dall’allora Coppa UEFA contro il Borussia Dortmund. Ad aiutare i rossoneri in quel percorso di risalita dopo il terribile avvio turco furono gli acquisti di una sontuosa campagna trasferimenti estiva.
A porre una pezza in difesa furono gli arrivi del laterale destro Cosmin Nosferatu Contra ed il centrale danese Martin Raggio di luna Laursen. La vera rivoluzione fu l’immensa crescita del tasso tecnico portato a centrocampo, dove giunsero Andrea Trilly campanellino Pirlo ed il Musagete Manuel Rui Costa, sbarcato a Milano per la cifra record di 85 miliardi di lire (cifra vicina a 42 milioni di euro ad oggi) per salvare le casse della tanto amata Fiorentina.
Ai due si aggiunse anche Christian Brocchi, noto come Argento vivo per la caratteristica di grande mobilità come il mercurio, rivelatosi particolarmente duttile ed utile specialmente nell’apporto dato subentrando dalla panchina. Quanto invece al reparto offensivo, questo venne decisamente rinforzato dall’arrivo del Rabdomante del goal Filippo Inzaghi, destinato a segnare un’epoca in seguito al trasferimento per 70 miliardi dalla Juventus, ed al ritorno in prestito dell’Apostolo del goal Marco Simone.
Milan, Pellegatti e George Clooney: Stagione II, Atto I
Con George Clooney saldamente al comando ed il Milan ritornato nel proprio habitat europeo, la società decide di porre altri importanti tasselli per la definitiva rinascita del Diavolo. È nuovamente estate di grandi colpi e mosse inaspettate, una su tutte il capolavoro-scippo dal nome Alessandro Nesta, agli annali come Tempesta perfetta: titolo di un film devastante e perfetto. A dar man forte in difesa fu anche il Principe guerriero Dario Simic, in uscita dall’Inter e prontamente traslato dal lato opposto del Naviglio. Fu poi il turno dell’epocale passaggio di sponda di Willy Wonka, Il re del cioccolato Clarence Seedorf, sbarcato in rossonero dopo anni cupi nella metà nerazzurra della città. Al capolavoro del duo Sherlock Galliani e Dr. Watson Braida seguirono gli arrivi di Jack Sparrow Borriello, Crema e gusto Rivaldo e l’uomo di tante, tante notti rossonere: Lo scorpione bianco Jon Dahl Tomasson. A serrare i pali invece, fu per la prima di moltissime volte Dida, Baghera la pantera.
I natali di quel Milan, l’ultimo grande Milan, anche se solamente per ora, sono da ricercare nell’albero di natale di Master and Commander Ancelotti. L’epocale passaggio dal 4-3-1-2 al 4-3-2-1 fece le fortune del Diavolo già, a giornate alterne, quell’anno, salvo poi acuirne l’incisività offensiva solamente un anno più tardi con l’arrivo di un brasiliano in 22. Con Uno dei fondatori della patria Maldini, Tempesta perfetta Nesta, Zanna bianca Kaladze e spesse volte La locomotiva della Brianza Costacurta a serrare il reparto arretrato, i rossoneri potevano focalizzarsi sulla sola fase offensiva scarni da ogni preoccupazione. A centrocampo, non solo Trilly campanellino Pirlo, eccezionalmente reinventato come regista dinanzi la difesa, ruolo che ne ha stravolto le sorti della carriera, bensì anche Maitre Chocolatier Seedorf e Gengis Khan Gattuso. Là davanti spazio ad estro e fantasia con Il maestro delle luci Rui Costa ad illuminare le manovre offensive di un Vento di passioni che, proveniente dall’est, pervadeva la Milano intera di quegli anni, una città sempre ad Alta tensione Inzaghi. Con Sheva e Pippo mio ad ispirare e finalizzare, quel Milan si tolse diverse soddisfazioni nell’annata 2002/03.
Se sul fronte rivale della città anni dopo, e per anni, vanteranno la vittoria del celeberrimo Triplete, anche quel Milan sotto le abili direttive del proprio Master and Commander lo sfiorò. L’unica pecca di quell’annata fu la sola Serie A, tanto gradevolmente partita quanto amaramente conclusasi con il terzo posto finale in campionato. Quanto invece alla Coppa Italia, il percorso di quell’anno vide Ancona e Chievo come due iniziali avversarie a frapporsi tra il Diavolo e la vittoria finale. Entrambe schiantate con 5 reti nella gara di ritorno, fu il turno del Perugia in semifinale, tenuto appeso alla speranza dell’impresa finale dopo l’andata, cancellata inesorabilmente con il 2-1 del ritorno. La doppia finale Olimpico–San Siro vide i rossoneri fronteggiare una Roma inizialmente in vantaggio, salvo poi soccombere sotto la valanga de Il concorde Serginho, lo StracciaZanichelli Ambrosini e dell’Usignolo di Kiev Andriy Shevchenko. Al ritorno meneghino Totti illuse doppiamente, ancora una volta, salvo poi fare i conti con Crema e gusto Rivaldo e L’equilibrista del gol Inzaghi.
Milan, viaggio sola andata: destinazione Manchester
Discorso a parte è invece quello da riservare alla cavalcata in Champions League culminata con la notte di Manchester del 28 maggio 2003. Superato infatti lo Slovan Liberec avvalendosi della regola ormai desueta dei gol in trasferta, e salvato dalla doppia marcatura tra San Siro e U Nisy di Liberec di Alta tensione Inzaghi, il Diavolo poté approdare alla fase a giorni. Con un Pippo mio in grado di mettere a segno 7 reti nelle sole gare d’andata con Lens, Deportivo La Coruna e Bayern Monaco, il Milan volò a 9 punti in 3 gare, divenuti definitivamente 12 dopo la vittoria in terra d’Italia ancora una volta ai danni del Bayern di Hitzfeld.
Milan, gironi, poi quarti: c’è l’Ajax
Quattro vittorie per 1-0 in rapida successione permettono a Carlo Martello di traghettare i colori rossoneri alla fase ad eliminazione diretta della Champions League. Un quarto di finale ad alta tensione, sul filo del rasoio, non poteva che risolversi una volta ancora grazie ai guizzi del bomber europeo per eccellenza. Allo 0-0 dell’Amsterdam Arena segue la gara di ritorno nella bolgia d’un San Siro che traborda di ansie ed incubi. Alla rete sblocca-quarto di Inzaghi segue il silenzio portato da Litmanen, prontamente rotto dalla sferzata di un Vento di passioni direttamente da Kiev. 2-1, la gara sembra seguire il migliore dei copioni per 13 lunghi e tesi giri d’orologio, poi Pienaar da terra beffa l’intera retroguardia del Diavolo, ridisceso all’inferno con la Milano tutta per l’occasione. Baghera la pantera tra i pali non può nulla, così come sembra che nessun dei 76mila più 11 nel catino infernale possa fare per ribaltare un verdetto amaro ed incontrovertibile. La Sud risucchia e richiama a sé la sfera nei concitati minuti finale di un match chiave per stagione e carriera di molti.
Gli uomini del Milan, gli uomini da Milan, quelli ai quali il rosso ed il nero ne forgiano l’anima, scendono all’inferno con un San Siro lentamente anch’esso sprofondante, prendono per mano il Diavolo e ne guidano la risalita. Un’arrampicata verso il destino tesa come il clima milanese, alta come il cross di Cuore di drago Maldini, prontamente spizzato e deviato verso l’area di rigore da Arsenio Lupin Ambrosini, lesto come il ladro di Francia a sottrarre di testa la sfera all’avversario pronto ad avventarcisi. Sussulto di massa al rimbalzo del pallone, attratto a sé dall’Alta tensione magnetica di Pippo Inzaghi. Dai piedi del 9 nasce un pallonetto preciso a scavalcare Lobont fuori dai pali. Silenzio. Attimi tra l’incredulo ed una gioia pronta a sgorgare dalle ugole dei cuori rossoneri e riversarsi in campo accompagnano la fievole traiettoria destinata al fondo della rete. Lo scorpione bianco sospinge debolmente oltre la riga di porta, il gol è di Tomasson, ma resterà tale unicamente per sé. Per un popolo in festa e pronto a una settimana d’inferno quella rete è stata, è, e sarà sempre di Pippo Inzaghi.
Milan, Milano: Vento gelido dall’est nella settimana più dura
Il calendario gregoriano recita 7 maggio 2003 quando Milan ed Inter si apprestano a percorrere per la prima di due intense volte il tunnel che dagli spogliatoi porta al verde di San Siro. Il clima si surriscalda, i tifosi sfogano due settimane di tensione in canti e cori a scaldare il catino di Milano Ovest, dal tunnel che porta al campo fuoriescono fumi, idealmente, dati dal contatto tra i tacchetti ed i carboni ardenti del manto pre-campo. Il match si risolve e conclude in un nulla di fatto, dopo 90 più recupero è ancora 0-0. Verdetto rimandato al 13 maggio. Altra settimana di tensioni, sogni misti ad incubi ed attesa, tremenda e trepidante attesa. Milano è isolata dall’Italia intera, Milano è in una bolla di tensione pronta a scoppiare da un istante all’altro. Entrambi i lati del Naviglio non si sfidano nei soliti e canonici riti prepartita, entrambi i lati del Naviglio sanno che il momento in cui la bolla scoppierà arriverà, entrambe le fazioni attendono quel momento, consci del fatto che potrebbe stravolgere per sempre, irrimediabilmente, la storia dei due club.
Il momento arriva quando sugli orologi di una città bloccata da una settimana scocca il minuto 31 delle ore 21 di una calda, quanto gelida nell’ambiente, notte milanese. Effetto serra Seedorf diviene effetto Champions: palla in profondità per L’usignolo di Kiev, vellutato tocco col sinistro, elegante passo di danza a mandare fuori giri e traiettoria Cordoba, pallone sotto la traversa. Toldo è beffato, la palla è in rete, il Milan è in vantaggio, la bolla è rotta. Il secondo foro lo appone Martins, ma a poco conta. La tensione nei minuti finali si allevia in occasione delle offensive del Diavolo, salvo poi raggiungere inenarrabili picchi in occasione dei salvataggi del Cacciatore del sole Abbiati. Quando Gilles Veissiere si porta il fischietto alle labbra al minuto 90+2 San Siro esplode, la tensione per qualche minuto pare scemare totalmente: è finale.
Milan, Manchester calling: il giorno del sesto sigillo
La prima e tutt’ora unica finale tutta italiana di Champions League va in scena il 28 maggio 2003, data indelebile nella storia del Milan. Dopo aver eliminato i rivali cittadini dal doppio confronto in semifinale, il Diavolo affronta la Juventus in un Old Trafford che, non a caso, viene detto Theatre of Dreams. Il copione della doppia semifinale milanese pare ripetersi, la tensione è superiore al gioco espresso dalle due forze in campo. E se per 90 minuti più recupero è tensione allo stato puro, una volta data risposta alla chiamata degli 11 metri, questa sale alle stelle.
Trezeguet non incrocia abbastanza, Baghera para.
È scarica di Adrenalina nera quando Serginho sblocca il risultato piazzando sotto il sette alla destra di Buffon, spiazzato.
Birindelli spara forte e centrale, palla in rete: 1-1.
Il Maitre Chocolatier Seedorf sbaglia la composizione del suo cioccolatino più importante, l’amaro in bocca è tanto: para Buffon.
Baghera la pantera risponde al richiamo primordiale del lesto tuffo alla propria destra, tiro parato a Zalayeta.
Zanna bianca Kaladze pecca di precisione sul dischetto, ancora parata.
Il paso doble di Dida ipnotizza Montero, parata scenografica e risultato ancora inchiodato.
La Tempesta è perfetta come il piazzato di Nesta alla sinistra del portiere avversario, Buffon sfiora ma non tocca: è 1-2.
Del Piero ha la palla decisiva per tenere a galla i suoi e non sbaglia, Pinturicchio beffa Dida ed insacca.
Quando L’usignolo di Kiev giunge sul dischetto il Vento di passioni diviene “Vento del destino“ che porta i colori rossoneri “in alto a danzare con le stelle“. Nello sguardo rivolto al direttore di gara ci sono gli occhi di chi sa che non può sbagliare, di chi non può perdere. La palla è bassa alla propria destra, è gol ed è sesta coppa. Il Teatro dei sogni è per una notte teatro di un desiderio rossonero lungo una stagione, culminato nelle vittorie ai danni di Inter e, in particolar modo, nel trionfo contro i rivali della Juventus nell’iconica finale.
Colui pronto a divenire Re Carlo, estrasse dal mazzo e calò la carta decisiva in quel caldo maggio 2003. Re Carlo, Ocean’s Eleven Ancelotti, divenne Re di Coppe conquistando in rapida successione Coppa dei Campioni a Manchester e Coppa Italia. A solvere il problema di una bacheca arida da diversi anni fu Carletto con un double che, per proseguire il paragone con le carte, poteva divenire storico tris.
Milan, Pellegatti e i ritocchi al Terminator Ancelotti
I consueti regali dal calciomercato estivo arrivano anche nel corso dell’estate post-Manchester. Il sacco di Roma va nuovamente in scena quando si concretizzano gli arrivi di Big Ben Pancaro dalla Lazio e di Pegaso Cafu dalla Roma. Il colpo grosso, però, malgrado per stampa ed inattenti addetti ai lavori così non sembri, arriva dal Brasile, più precisamente dallo stato federato di San Paolo. Il nome del ragazzo, definito in Erasmus a Milano, è Ricardo Izecson dos Santos Leite, per tutti Kaká, per San Siro è invece semplicemente Smoking Bianco.
Con un albero di natale al massimo del proprio splendore offensivo, quel Milan diviene la degna rappresentazione di Terminator Ancelotti in campionato. Dopo un iniziale testa a testa con la Roma, infatti, il 6 gennaio i rossoneri sbancano un Olimpico gremito grazie ad una doppietta cruciale di Andriy Vento di passioni Shevchenko ai fini del sorpasso in classifica. Da quella data sino al successivo incontro a San Siro, il Diavolo rimase imbattuto. L’usignolo di Kiev fu nuovamente mattatore della gara e, questa volta, giustiziere di giallorossi e Serie A. Il campionato torna ad essere affare rossonero, per la 17esima volta, la prima dopo lo Scudetto del centenario di Zaccheroni.
Quanto invece alla propria reale patria, l’Europa, quell’anno la disfatta del Riazor di La Coruna ai quarti di finale appariva come quanto di più tragico potesse accadere, non conoscendo ancora i pianti turchi che attendevano la squadra solo un anno più tardi. Anche la Coppa Italia riservò un’amara delusione nelle fasi finali del cammino. Alla sconfitta della semifinale d’andata giocata in casa seguì infatti la disfatta per 4-0 dell’Olimpico rifilata da una Lazio guidata dalla doppietta di Stefano Fiore.
Milan, Pellegatti e George Clooney: Stagione IV, Atto II
La stagione 2004/05 vide un Milan avaro di trionfi, fatta salva la conquista della Supercoppa Italiana che andava ad aggiungersi alla Supercoppa Europea dell’anno precedente. Per spiegare la grandezza di quel club, guidato da George Clooney Ancelotti, basterebbero anche le sole parole di Alessandro Tempesta perfetta Nesta il quale, diversi anni dopo l’addio al calcio ammise: “Al mio primo anno ho vinto la Champions League, pensavo di poter vivere di questa cosa per anni, e invece l’anno successivo…“. Invece l’anno successivo a Milanello approdò Jaap Ramsete il faraone Stam, anche lui con trascorsi laziali, anche lui pronto a serrare una difesa apparentemente senza necessità di rinforzo alcuno. Come lui giunse in rossonero anche Hernan Crespo, in prestito dal Chelsea nonostante il trascorso in nerazzurro.
Quell’anno il campionato vide il Milan fermarsi al secondo posto, alle spalle della Juventus ma comunque con ben sette lunghezze a tenere a debita distanza i rivali cittadini. La qualificazione alla successiva edizione della Champions League era guadagnata sul campo, non restava dunque che giocarsi l’edizione ancora in corso. Agli ottavi di finale il Manchester United di Sir Alex Ferguson fu preda del Gatto a 9 code Crespo, marcatore in entrambe le gare nonché uomo decisivo per l’approdo ai quarti di finale. Qui, due anni dopo la tesa settimana che separava il 7 ed il 13 maggio, andò in scena il secondo atto del derby europeo alla milanese. Il copione però, salvo terminare con lo stesso epilogo, vide battute decisamente differenti.
Se nel 2003 regnava lo stallo ed una tensione tale da inchiodare il risultato sullo 0-0 d’andata, il 6 aprile 2005 prima Ramsete Stam, e successivamente, o nuovamente, L’usignolo di Kiev, decretarono un netto 2-0. Al ritorno, oltre alla rete del solito incubo del biscione Andriy Shevchenko, si venne a creare il surreale e suggestivo clima divenuto icona assoluta dei derby di Milano, nonché delle notti d’Europa. Il lancio di petardi misti a fumogeni da parte dei tifosi dell’altra sponda costrinse il direttore di gara ad interrompere il match e decretare la vittoria a tavolino del Milan, complice anche un petardo che colpì Nelson Baghera la pantera Dida.
In semifinale fu ancora una volta necessario appellarsi alla regola dei gol in trasferta per superare il PSV Eindhoven nel doppio confronto. Al 2-0 di Milano seguì infatti il 2-0 ad Eindhoven che sembrava poter cancellare al Milan i sogni della seconda finale in due anni. Massimo Ambrosini divenne anche in questo caso lo StracciaZanichelli, trovando la rete nei minuti di recupero per il 2-1, divenuto 3-1 un solo minuto più tardi, valido per il pass verso l’infausta Istanbul. A ben poco servirebbe raccontare una volta ancora il disastro accaduto in Turchia. Tra leggende e dicerie poco c’è di certo su quanto accadde tra il minuto 54 ed il 60 presso lo Stadio Olimpico Ataturk. Ciò che c’è di certo è che la rete di Uno dei fondatori della patria Maldini e la doppietta del Gatto a 9 code Crespo sono state spazzate via in soli sei rapidi giri d’orologio. Durante la lotteria dei rigori per diversi non ci fu verso di segnare, per l’uomo di Manchester, invece, il balletto da incubo di Dudek fu fatale ai fini della sua definitiva ipnotizzazione da addio al trionfo. Sheva è a terra come il Diavolo, ridisceso nuovamente nel proprio inferno. Gli incubi ed i fantasmi turchi resteranno impressi nella mente a vita, anche se basterà attendere due soli anni per affievolirne i tremendi effetti.
Milan, Pellegatti e George Clooney: Stagione VI, Atto III
È l’ultimo atto dei conquistadores europei di Carlo Ancelotti, l’ultima grande cavalcata di calcio e di Milan. In una estate in cui il club e la tifoseria tutta piangono la cessione di quell’usignolo di Kiev che per lunghi anni ha cantato ed ha fatto cantare uno stadio intero, la squadra non si disunisce. Assieme a lui salutano anche Cascata di diamanti, il Musagete Rui Costa e Ramsete il faraone Jaap Stam oltre che Il cacciatore del sole Abbiati rientrante dal prestito alla Juventus e presto rientrato, ancora una volta a titolo temporaneo, sulla sponda granata dell’ombra della Mole. È anche l’estate dell’approdo a Milano di Mas que nada Ricardo Oliveira, mai soprannome fu più azzeccato, ed un cuore rossonero come Luca Le ali della libertà Antonini.
L’albero di natale è nel periodo di suo massimo splendore, History maker Maldini e Tempesta perfetta Nesta blindano la difesa, la solita pantera Baghera Dida erge il muro tra i pali. Sulle fasce Marek forza 5 Jankulovski ed il mitologico cavallo con le ali Pegaso Cafu sprintano ricoprendo sontuosamente ambo le fasi d’attacco e di difesa. A centrocampo Trilli campanellino Pirlo orchestra la manovra affiancato e difeso da Il vento e il leone Gattuso ed Arsenio Lupin Ambrosini. Là davanti Musica e magia a composizione del maestro Ricardo Kaká affiancano Il professore Clarence Seedorf alle spalle del solito Rabdomante del goal Pippo Inzaghi, giunto al proprio periodo di maggior risalto e splendore sul panorama calcistico europeo.
Nell’anno della vittoria del titolo di Campioni d’Italia da parte dei rivali cittadini e dell’imposizione della Roma in Coppa Italia, compagine in grado di estromette i magnifici di Master and Commander alle semifinali della competizione, il Milan decide di divenire la stella più brillante del firmamento calcistico italiano riversando anima e corpo all’ennesima conquista d’Europa e, pochi mesi più tardi, del Mondo.
La costrizione di dover dare il via al proprio cammino in Champions League sin dal turno preliminare viene ribaltata a favore dei magnifici, divenendo l’unica squadra in grado di vincere la competizione non partendo dalla fase a gironi. Fatta preda in due turni della Stella Rossa, il Diavolo supera il girone con AEK Atene, Lille ed Anderlecht con 10 punti, quasi una consuetudine di quell’inarrivabile gruppo squadra.
Nel mercato di riparazione giungono due acquisti in sordina, più per l’apporto tecnico che si pensa possano dare che per il nome. Massimo Vicks Vaporub Oddo ed Il diavolo veste Ronnie Ronaldo si uniscono a Milanello: il Milan ripara bene, anzi, alla perfezione. Se il primo darà il proprio apporto in diverse notti di Champions, il secondo svolgerà un ruolo cruciale nel regalare fiato ed energie ad Alta Tensione Inzaghi in vista degli appuntamenti europei.
Milan, Pellegatti: Stagione VI, Atto III, Capitolo Celtic e cronache di un confronto bloccato
Il vero cammino, la vera ultima e storica cavalcata però, ha inizio dagli ottavi di finale. Qui i rossoneri affrontano il Celtic dapprima a Glasgow, in una gara quanto mai bloccata e ferma sullo 0-0, poi a San Siro , dove la Musica, riferimento tutt’altro che casuale, in parte cambia. Una gara avviata ai tempi supplementari il cui verdetto si attendeva dal solo fischio dell’arbitro, vede un giovane compositore avventurarsi quasi indisturbato verso l’area scozzese. Se non è serata da Milan, se non è notte di grande gala e da Smoking bianco, è certamente notte da Musica e magia, quella abilmente fatta risuonare dal dolce sinistro di Ricardo Kaká. Accerchiato da due avversari, il 22 si defila sulla sinistra beffandone due e, concludendo con la solita precisione, infila sotto le gambe di un Boruc non esente da protagonismi nei precedenti minuti del match: sono quarti di finale, il sogno continua.
Milan, Pellegatti: Stagione VI, Atto III, Capitolo Bayern Monaco per il ribaltone in Baviera
All’appuntamento a San Siro Bayern e Milan rispondono entrambe presente. I padroni di casa dominano e sfiorano più volte il gol, gli avversari incarnano a pieno le stigmate del calcio tedesco per stereotipo. Ad una discreta compattezza corrisponde una clamorosa capacità di capitalizzare in rete ogni occasione da gol. La doppietta di Van Buyten incontra anche i favori di una Baghera la pantera non dal miglior smalto in carriera, alla quale rispondono comunque una rete di Pirlo al sapore di Pippo mio ed un rigore trasformato dal solito Kaká. Il verdetto finale è rimandato al ritorno, ma il primo parziale certo non sorride ad un Diavolo più brillante.
Quando il destino è chiaro ed impone un percorso netto e preciso davanti a sé, alla chiamata risulta necessario rispondere. Lo sa bene Willy Wonka Seedorf che apre le danze con una bordata dal limite. Lo sa ancor meglio l’uomo di queste notti qua: Alta tensione Inzaghi che raddoppia e fa 0-2 in Baviera. Il risultato rispecchia e concede finalmente i meriti ad un Diavolo superiore agli avversari: è semifinale, il sogno continua ancora una volta.
Milan, Pellegatti: Stagione VI, Atto III, Capitolo Manchester United ne ‘la partita perfetta’
A quasi quattro anni di distanza da quella magica notte, il destino conduce il Milan nuovamente al Teatro dei sogni di Manchester. Questa volta è semifinale, questa volta è gara tosta e ricca di reti, questa volta è confronto a scena aperta tra due alieni di questo sport: Ricardo Kaká e Cristiano Ronaldo. Dopo 5′ è il portoghese a trasformare in rete una confusa azione sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Non si fa attendere la risposta del giocatore in 22 che, ricevuto il pallone dalla sinistra, scatta più veloce di tre avversari e rifila a Van Der Sar la solita debole quanto precisa conclusione piazzata rasoterra. Allo scoccare del minuto 37 sui cronometri di gara, per il brasiliano diviene il momento di vestirsi per l’occasione e, opportunamente agghindatosi di Smoking bianco, delizia il pretenzioso pubblico del calcio e dell’Old Trafford con una perla assoluta e di caratura mondiale. L’1-2 è pura e semplice illusione quando Wayne Rooney sigla una doppietta, col secondo goal giunto peraltro allo scadere. A Manchester è 3-2, al ritorno servirà ‘la partita perfetta’…
Al teatro dei sogni si contrappone il dolce esito d’un teatro per calcio d’alta scuola. Il dio del calcio decide di porre scrosciante acqua al suggestivo contesto di un San Siro esaurito. È pioggia di grandi notti di Champions, è pioggia di grandi notti di Milan, è la pioggia di un destino al quale le avversarie non possono sottrarsi. Dopo soli 11 minuti lo spartito è chiaro ai più, è subito Musica e Magia. Dopo altri 19′ l’Effetto Serra si abbatte su Milano grazie ad una clamorosa bordata dal limite di Clarence Seedorf: 2-0. Quando ormai solo il tempo separa Sir Alex Ferguson dall’eliminazione dalla Champions League, Aladino Gilardino decide di imporre al match la stoccata finale per un risultato che più tondo non si può: è 3-0 Milan. Al tracollo sulla panchina dei red devils, che per una notte hanno conosciuto il vero inferno, si contrappongono estasi ed euforia di un popolo che attendeva il solo verdetto finale del fischietto dell’arbitro prima di assaporare una nuova finale, dopo aver assistito a ‘la partita perfetta’ dei magnifici di Re Carlo. De Bleeckere produce tre lenti quanto roboanti fischi. Lenti come il trascorre della notte insonne post-Istanbul, lenti come il trascorrere di quei due anni che separano Istanbul da Atene. Tre come le reti subite in quei sei infausti minuti, il suono che fuoriesce dalle labbra del direttore di gara suona nelle orecchie di un popolo in festa come un ghiacciante triplo urlo “Gerrard, Smicer, Alonso“, ma nella mente dei magnifici ha il suono di pura e semplice vendetta sportiva: il Liverpool attende, questa volta il Diavolo si farà trovare pronto.
Milan, Pellegatti: Stagione VI, Atto III, Capitolo Liverpool perché dopo Istanbul…c’è sempre Atene
Il 23 maggio è la festa nazionale del popolo milanista, a marchiarla definitivamente a fuoco nella storia ed a suggellarlo definitivamente ci pensa il Rabdomante del goal. Ad Atene la gara non è sui livelli di spettacolarità di Istanbul, ma a poco conta, a poco importa. Su punizione Trilli campanellino calcia teso, l’Alta tensione sblocca il risultato tra spalla e costato. Al minuto 82 tutto il Milan indossa lo Smoking bianco, ma quello di un ragazzo brasiliano è ancora una volta il più splendente. Posta tra le linee avversarie un Pallone d’Oro, lo stesso che gli spetterà di assoluto ed innegabile diritto pochi mesi più tardi, Kaká pesca Pippo mio. Preciso primo controllo e debole, debolissima conclusione sotto le braccia di un Pepe Reina in tuffo. La palla pare non entrare mai, il suo lento rotolare è accompagnato dall’iconico urlo “Inzaghi! Inzaghi! Inzaghi! Inzaghi!” in telecronaca, ma la traiettoria affinché la sfera termini la propria corsa accarezzando rete e cuori milanisti pare più lunga dei due anni che separano la disfatta turca da quella notte. Alla fine la palla entra in rete, così come riuscirà anche a Dirk Kuyt qualche istante più tardi. Quella vittoria è però derubricata come ‘La vendetta del Diavolo‘, a prescindere da risultati ed altri inutili orpelli. La vendetta è compiuta, il Diavolo è finalmente e definitivamente uscito dal proprio inferno, i fantasmi sono scacciati, il Milan è Campione d’Europa e più tardi del Mondo.
L’impresa è compiuta, così ad Atene così negli otto lunghi, quanto troppo brevi, anni di avventura sulla panchina del Milan da parte di uno dei padri del calcio italiano, da parte di una leggenda di club e sport. Master and Commander Ancelotti conquista 2 Champions League, 2 Supercoppe Europee, 1 Coppa Italia, 1 campionato, 1 Supercoppa Italiana ed 1 Mondiale per Club. Re Carlo consegna L’usignolo di Kiev e Smoking Bianco a storia ed annali del calcio grazie all’iscrizione nel ristretto ed elitario albo dei Palloni d’Oro. Re Carlo porta al Milan una denominazione che, a distanza di ormai 13 anni dal suo addio, ancora regge: “AC Milan 7 volte Campione d’Europa e 4 del Mondo“.