L’arte del difensore, Collovati e Cabrini in ESCLUSIVA: “Dall’82 a oggi la difesa nel DNA”

In ESCLUSIVA ai nostri microfoni Fulvio Collovati e Antonio Cabrini: dai Mondiali '82 ai giorni d’oggi, il DNA dell'arte del difendere

Lorenzo Bosca A cura di Lorenzo Bosca

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Oggi, l’undici luglio del 1982, un pezzo di storia del calcio italiano (e non solo) veniva ufficialmente inserito nei più importanti e celebri almanacchi di questo sport. Un pezzo di storia che compie quarant’anni, ma che rimane indelebile nella memoria e nei pensieri di tutti gli appassionati che seguirono dal vivo una delle edizioni del Campionato del Mondo più iconiche di sempre. 

Quella uscita vittoriosa dalla sfida contro la Germania Ovest davanti ai 90’000 del Santiago Bernabeu era un’Italia a dir poco stellare. Da Paolo Rossi (capocannoniere del torneo) a Graziani, passando per Altobelli, Tardelli e il quarantenne Zoff (il più anziano vincitore della competizione). Era una Nazionale quella, che trovò in modo particolare nella propria difesa, uno scudo inamovibile, in grado di frenare anche i centravanti più in spolvero del momento: Zico, Falcao e Maradona, giusto per citarne un paio. Una difesa della quale oggi abbiamo avuto l’onore e il privilegio di ascoltare in esclusiva ai nostri microfoni due dei suoi massimi esponenti: Fulvio Collovati e Antonio Cabrini. Insieme a queste due colonne del nostro calcio abbiamo intrapreso un percorso verso l’esegesi del “mestiere del difensore”. Dall’82 ai giorni nostri, dal Mondiale spagnolo alla nostrana Serie A. Tutto sull’evoluzione del ruolo e dell’arte del difendere, raccontato da due di quei ragazzi che quel’11 luglio di quarant’anni fa, alzavano al cielo di Madrid il più importante trofeo che il calcio ci ha donato in serbo. 

Italia - Mondiali 1982
Italia – Mondiali 1982

Fulvio Collovati: “In passato si insegnava a difendere, oggi…”

Nel Mondiale dell’82 l’Italia in difesa schierava: Cabrini, Scirea, Bergomi, Gentile e naturalmente lei. Qual’è stata la forza di quel gruppo e la chiave dal punto di vista difensivo, per la vittoria del torneo?

“Dal punto di vista difensivo c’è poco da dire. Quella era una generazione…io penso che il dna abbia il suo valore. E’ importante il dna. Poi è una generazione che è cresciuta in un contesto di una generazione di difensori. Questo ha facilitato tutto, una volta insegnavano tutte le alchimie, le astuzie, le furbizie del difensore, cosa che ho l’impressione che avvenga sempre meno ora. Non voglio dare una colpa ai ragazzi di oggi, ma forse c’è meno attenzione all’insegnamento. Gentile era già forte di suo, poi però in più gli si insegnavano determinate astuzie, particolari per fermare l’attaccante, la postura, gli allenamenti quotidiani nell’uno contro uno. E’ un discorso lungo da fare; adesso ci si allena di più a reparti, ci si muove di più a reparti. Prima c’era più allenamento individuale. Per cui, siamo nati difensori di quell’epoca, già col DNA, ma poi siamo stati aiutati da maestri nei settori giovanili che ci hanno insegnato le furbizie”.

E dall’82 a oggi come è mutato il “mestiere” del difensore?

“C’è stata un’evoluzione nell’impostazione, nel senso che una volta, ma non parlo neanche dei miei tempi, perché io ho avuto degli allenatori come Liedholm, che ti diceva marca e vai. Ho avuto degli allenatori che non mi dicevano: “marca e fermati lì”, ma mi dicevano: “marca e imposta“. Liedholm era uno di 40-45 anni fa, non stiamo parlando di 100 anni fa. Un’evoluzione del difensore di oggi è che oggi gli si chiede molto in fase di impostazione. Ritengo che questo sia indubbiamente un miglioramento, purché non diventi un’esagerazione; a volte diventa un’esagerazione, la famosa costruzione dal basso a volte diventa un volersi complicare la vita, intestardendosi a tutti i costi. Insomma, il calcio è fatto anche di lancio lungo. Ho visto Guardiola, che è stato un maestro nell’applicazione del tiki taka 30 anni fa, e adesso non disdegna con Emerson, il portiere, il lancio lungo per Sterling, per Mahrez e gli altri attaccanti. Anche chi ha cercato di evolvere il calcio alla fine ritorna ai vecchi principi della verticalizzazione che non tramontano mai”.

Nel calcio moderno c’è quindi un difensore nel quale si rivede particolarmente?

“No, francamento no. A me piaceva impostare ma anche stare sull’uomo, per cui oggi giorno quelli che stanno sull’uomo sono pochi, non certamente gli italiani. Magari Bremer, Milenković, e magari Chiellini, anche se ha abdicato nel calcio italiano”.

A proposito di Giorgio Chiellini, nella sua presentazione a Los Angeles il difensore ha dichiarato che: “Gli attaccanti riempiono gli stadi, ma i difensori vincono i tornei” lei condivide? 

“E’ sempre stato così. Non bisogna stupirsi di queste dichiarazioni di Chiellini. E’ vero che l’attaccante può fare 25-30 gol, ma se poi ne prendi 40… le difese ermetiche, i difensori… Adesso non sono d’accordo su certe cifre perché il calcio ha perso ogni controllo, ma se un difensore come de Light vale 80 milioni di euro, Gentile quanti ne valeva? Parliamoci chiaro”.

Rimanendo su questo dualismo attaccanti-difensori, se dovesse indicare il centravanti più ostico che ha mai fronteggiato chi sceglierebbe?

“Io ogni domenica avevo un attaccante che mi toglieva il pensiero, non voglio fare distinzioni. Ho affrontato da Graziani a Altobelli a Paolo Rossi, a Bettega, c’era solo l’imbarazzo della scelta, è antipatico che mi metta a fare delle preferenze, che tra l’altro non ho. Ogni domenica ce n’erano tantissimi”. 

Fulvio Collovati, Mondiali 1982

Fulvio Collovati: “Italia-Brasile? Vi racconto una partita storica”

Abbiamo iniziato parlando con i Mondiali dell’82, concludiamo con il match più celebre di quell’edizione. Italia-Brasile è stata effettivamente la partita perfetta, come la si usa ricordare?

Si, è stata la partita che è rimasta nella storia: abbiamo batturo uno dei Brasile più forti di tutti i tempi, con tanti giocatori forti, che tra l’altro sono poi quasi tutti venuti in Italia. Una partita epica, e poi l’evoluzione di quella partita: 1-0, 1-1, 2-1, 2-2, 3-2. Per il mondo in cui si è giocato, per il modo in cui la si è interpretata da parte nostra, a viso aperto, è rimasta nella storia la parata di Zoff, i 3 gol di Paolo Rossi: sembra un film. Paolo Rossi che si sblocca facendo 3 gol contro il Brasile di Zico: è una partita che rimane nella storia. Ed è oltretutto la partita che ci ha dato la consapevolezza di poter vincere i Mondiali. Ricordi che rimangono indelebili: Paolo Rossi che fa 3 gol, Zoff che all’ultimo para sulla linea il possibile 3-3 che avrebbe qualificato loro. Il 4-2 annullato, gli ultimi 5 minuti di sofferenza. Ogni tanto mi capita di vedere qualche partita in bianco e nero, questa era a colori ma rimarrà comunque nella storia per tutta la vita. Non era l’epoca dei social, ma chi vuole andarla a vedere può capire le emozioni che abbiamo vissuto noi che l’abbiamo interpretata”.

Antonio Cabrini: “Vi spiego come è cambiata la difesa”

Sono da poco trascorsi i 40 anni dalla vittoria dei Mondiali dell’82’, edizione che l’ha vista leader della difesa azzurra. Come crede che sia evoluto dall’ora il ruolo del difensore?

In realtà rispetto al passato non c’è stata una grande evoluzione, ma alcuni cambiamenti si. In passato si insegnava al difensore il proprio ruolo: il centrale, piuttosto che l’esterno di difesa. Adesso proprio questo ruolo invece (l’esterno, ndr), è stato assorbito da giocatori che sono spesso e volentieri adattati in quel ruolo. Un adattamento nel bene e nel male quindi, siccome oggi è difficile trovare un giocatore di fascia che sappia fare bene sia la fase offensiva che quella difensiva e dunque c’è sempre un adattamento ad uno dei due ruoli”. 

Antio Cabrini, Mondiali 1982

Antonio Cabrini: “Nell’82 gruppo collaudato, quando è arrivato Bergomi…’”

Al giorno d’oggi esistono attaccanti in grado di svoltare una partita o riempire da soli le prime pagine dei giornali. Quanto è importante invece il feeling e l’alchimia che si crea tra difensori?

La base del risultato parte sempre dalla fase difensiva, è sempre stato così nel mondo del calcio. Meno prendi gol e più vinci e arrivi al traguardo finale. Ci sono sempre due fasi che devono giocare in simbiosi tra di loro, assolutamente. Ci vogliono gli elementi idonei per difendere”.

E in “Spagna 82” è accaduto proprio questo quindi? 

“Certo, era una difesa collaudata da parecchio tempo e quindi ci si conosceva benissimo, a parte Bergomi che è arrivato all’ultimo momento e si è inserito nel gruppo difensivo senza alcun problema. Chiaro che devi avere gli uomini adatti per fare quel tipo di ruolo”.

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