23 maggio 1992, uno squarcio nel cuore: l’attentato a Giovanni Falcone

Nel pomeriggio del 23 maggio del 1992, il Giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta morirono nella strage di Capaci: il cuore di molti si fermò per qualche secondo, poi riprese a battere, ma purtroppo non ci fu niente da fare

Francesco Niglio
8 Minuti di lettura

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Il sole splendeva alto, faceva già molto caldo, era ancora primavera, ma l’estate era ormai alle porte. Il 23 maggio 1992 avevo 10 anni e mezzo e come tanti bambini di quella età la televisione raccoglieva tutte le mie attenzioni, quando ad un certo punto, poco dopo le 18:00, minuto più, minuto meno, la sigla del telegiornale entrò nelle mie orecchie generando in me un ovvio disappunto, che svanì immediatamente una volta ascoltate le prime parole della giornalista, sconvolta e visibilmente provata, cancellando all’istante quel senso di fastidio. Non ricordo la frase esatta che pronunciò, ma ricordo distintamente il nome di Giovanni Falcone. Un nome che in quel momento non mi disse nulla, ma che rimarrà impresso nella mia memoria come un tatuaggio.

Giovanni Falcone
Giovanni Falcone

23 maggio 1992: l’attentato a Giovanni Falcone

Le immagini che dal tubo catodico entravano nelle case degli italiani furono devastanti. Un tratto di autostrada completamente sventrato, come se fosse uno scenario di guerra, parola conosciuta nonostante la mia giovanissima età, visto che dall’agosto del 1990 al febbraio del 1991, Tv, giornali e radio davano costanti aggiornamenti sulla cosiddetta “Guerra del Golfo“, conflitto nato per liberare il piccolo Stato del Kuwait, invaso dal confinante Iraq, guidato dal Presidente Saddam Hussein.

Giovanni Falcone? Ma chi è?“, domandai a mia madre. Lei era inerme, ricordo ancora il suo sguardo perso nel vuoto e quell’espressione incapace di capire, un’espressione di dolore, di sconfitta, di scoramento inaspettato, sembrava davvero che il mondo le fosse caduto addosso. Lei con un filo di voce e con la poca forza che le era rimasta mi rispose: “È un giudice di Palermo che sta lottando con tutte le sue forze per sconfiggere la Mafia, è una grande persona, è un eroe“.

In quel momento stava lottando soprattutto per la sua vita, perché dall’esplosione che uccise tutta la sua scorta che era composta dagli agenti Vito Schifani, 27 anni, Rocco Dicillo, 30 anni e Antonio Montinaro, 30 anni anche lui, e la moglie Francesca Morvillo che all’epoca aveva 47 anni, il Magistrato riuscì a sopravvivere. Trasportato in ospedale lottò con le residue energie rimaste, ma a causa delle ferite riportate morì alle 19:07 tra le braccia del suo più grande amico Paolo Borsellino che da lì a 57 giorni diventerà un altro Eroe della lotta a Cosa Nostra. Lo stesso Borsellino qualche giorno dopo in un’intervista alla RAI, dichiarò: “Nel pensare un istante in quei momenti così tragici che ho personalmente vissuto, raccogliendo tra le miei braccia gli ultimi respiri di Giovanni Falcone, pensai che si trattava di un appuntamento rinviato“.

Giovanni Falcone: un Eroe italiano

Strage di Capaci
Strage di Capaci

Con Giovanni Falcone se ne andò uno dei più grandi Giudici che il nostro Paese abbia mai conosciuto. Rimembro ancora, una volta venuti a conoscenza della sua dipartita, lo stato d’animo in casa. Era funebre, tetro, come se a volare via fosse stato uno di famiglia, un fratello, uno zio, qualcuno al quale si vuole bene e al quale purtroppo non potrai più parlare o addirittura abbracciare. Era questo Giovanni Falcone per chi ha vissuto in Italia in quegli anni, una persona di famiglia, un amico, un uomo giusto che voleva togliere il marcio, partendo dalla sua terra, la stupenda Sicilia con i suoi straordinari aranci, le deliziose albicocche, i famosissimi e squisiti pistacchi di Bronte e come dimenticarci i limoni, con il loro profumo inebriante, lottando contro un Everest praticamente insormontabile.

La storia poi ci ha raccontato che il Magistrato non lottava solo con la criminalità organizzata, ma che ebbe a che fare anche con funzionari dello Stato che non vedevano di buon occhio il suo operato e questa purtroppo non è un’altra storia e ci può far comprendere tutte le difficoltà alle quali Falcone andava incontro. Addirittura diverse testate giornalistiche siciliane, erano arrivate ad affermare che il tentato attentato alla sua vita, in quel caso fallito, nei pressi della sua villa al mare all’Addaura, era stato organizzato da lui stesso. Si può affermare senza essere smentiti che Giovanni Falcone era rimasto solo e restare soli contro un’organizzazione come quella mafiosa, può portare solo ad un epilogo, che per il Giudice arrivò puntuale ed inesorabile come una scure.

Giovanni Falcone e la lotta alla Mafia

Quell’attentato fu ordinato da Totò Riina, capo del Clan mafioso de I Corleonesi e dalla sua cricca, della quale facevano parte anche Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Pippo Calò, Nino Giuffrè e l’attuale numero uno di Cosa Nostra e latitante ormai da tempo immemore Matteo Messina Denaro, mentre chi fisicamente fece detonare la bomba alle 17:57 di quel caldo pomeriggio di maggio, dall’alto della collinetta che sovrasta quel tratto dell’autostrada A29, nei pressi di Capaci, porta il nome di Giovanni Brusca. 500 chilogrammi di tritolo RDX e nitrato di ammonio crearono una voragine in quella lingua d’asfalto e nel cuore di ogni cittadino del Bel Paese che credeva nella giustizia, nell’onestà e nel bene comune.

Uno squarcio che dopo 30 anni esatti è ancora lì, fermo e non rimarginato, uno squarcio che si riapre ogni volta che tornano alla mente tutte le persone innocenti uccise dalla Mafia, giudici, poliziotti, carabinieri, giornalisti, politici, pentiti, gente comune, uno squarcio che tanti artisti hanno provato a ricucire con libri, spettacoli teatrali o con canzoni come “Pensa” di Fabrizio Moro, vincitore nel 2007 del Festival di Sanremo nella categoria “Nuove Proposte“, brano che porta in superficie tutto il dolore causato dalla Mafia, ma che vuole essere un inno alla vita, un ringraziamento a tutte le vittime che si sono sacrificate per cercare di creare un posto dove vivere migliore, un grido che possa svegliare le coscienze addormentate di tanti, dove la paura deve fare spazio alla libertà e che recita così:

Ci sono stati uomini che hanno continuato nonostante intorno fosse tutto bruciato, perché in fondo questa vita non ha significato se hai paura di una bomba o di un fucile puntato. Gli uomini passano e passa una canzone, ma nessuno potrà fermare mai la convinzione che la giustizia no, non è solo un’illusione“.

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