Di Bello c’è poco: Rocchi, questione di ossessioni

Luca Vano
5 Minuti di lettura
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Non sveliamo nulla di trascendentale nel rivelare che anche gli arbitri, come tecnici e giocatori, hanno l’abitudine di rivedere il proprio operato. Ciò al fine di analizzarlo, di incassare complimenti o essere redarguiti per qualche errore. E allora risulta abbastanza complicato immaginare il sorriso di Marco Di Bello dopo Lazio-Milan, visto che ciò che è accaduto all’Olimpico ha fatto talmente rumore che quasi nessuno si è accorto dell’ennesimo gol decisivo da subentrato di Okafor.

Precedenza al calcio giocato, sempre. Ma oggi è complesso rendere tale pensiero esclusivo, poiché le problematiche emerse dalla direzione del fischietto di Brindisi non sono – soltanto – di applicazione del regolamento, ma di gestione della partita. Ad un certo punto, Lazio-Milan era scappata di mano persino a chi era a bordocampo, tanta era la confusione che ha apportato la distribuzione scellerata dei cartellini, unita ad un’indisponenza rara persino per la categoria più “permalosa” del gioco del calcio.

Alt, sia ben chiara una cosa: l’arbitro è da solo contro 22 persone, ciò aumenta la pressione sul singolo e predispone all’errore con maggior facilità. Ma come si pretende un livello alto da chi calcia il pallone ogni domenica, spesso ci si dimentica di pretenderlo da chi stabilisce la regolarità di quell’atto. O di qualsiasi altra dinamica di campo, come un gioco che andava interrotto, norma insegna, sull’ormai celebre episodio Pellegrini-Pulisic che ha portato all’espulsione del difensore.

Di Bello
Di Bello

Di Bello, danno e beffa

Forse la fotografia della gestione sconsiderata del cartellino rosso, che ad un certo punto diventa come il divieto di transito in un centro abitato in cui si tiene il mercato settimanale. Inflazionato, scontato, quasi portato a perdere valore. La beffa più grande per Di Bello non sono soltanto le due estromissioni caricate a dismisura su Marusic e Guendouzi, ma la mancata applicazione dello stesso metro sulla gomitata di Hysaj a Giroud. Un disastro in piena regola.

Il VAR – come spesso accade – poi non aiuta. Il contatto tra Maignan e Castellanos andava quantomeno rivisto per giudicare come “giocata” o meno la scivolata del portiere del Milan. Tuttavia, anche questo piccolo vuoto di comunicazione uomo-macchina passa in background se si pensa alla parabola discendente del direttore di gara nel secondo tempo. E, soprattutto, all’inspiegabile ossessione di Rocchi nello scegliere per partite delicate e di cartello chi, in questa stagione o nelle scorse, aveva già fatto parlare di sé in modo grossolano.

Di Bello come arbitro di porta
Di Bello come arbitro di porta @Twitter

Precedenti scellerati

Di Bello, infatti, è l’arbitro del mancato calcio di rigore alla Juventus per fallo su Chiesa nell’ultimo incontro con il Bologna e, poco dopo, anche dell’ancor più clamoroso penalty negato agli ospiti per fallo di Iling su Ndoye. Senza contare l’ultimo match a Roma tra la Lazio e i bianconeri, con un’altra gestione scellerata dei cartellini da parte del brindisino. Dulcis in fundo – sempre con i biancocelesti di mezzo – da giudice di porta nel 2017 non corresse Orsato sul rigore assegnato alla Roma nel derby, per il (non) contatto Wallace-Strootman.

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Intenzione di chi scrive non è di certo mettere alla berlina un professionista, che nel corso della carriera avrà di sicuro corretto il tiro in più occasioni conducendo i match alla grande e senza polemiche. Però è innegabile come negli esempi sopracitati si stia parlando di match delle big oppure di scontri diretti dalla posta altissima, in cui la pressione si alza e investe anche chi li dirige. E se non la regge, ne risulta schiacciato.

Rifletta Rocchi, magari prendendo esempio dagli allenatori: se un giocatore non riesce a sostenere una grande piazza, viene ceduto in contesti diversi per farsi le ossa. Una pratica che potrebbe far comodo anche all’AIA?

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