Juventus operaia e vincente: il Paradiso è alla portata

La Vecchia Signora fa sul serio: Juventus vittoriosa sul Napoli e clamorosamente efficace. Ora il Paradiso è davvero alla portata, in attesa dell'Inter impegnata in casa contro l'Udinese

Luca Vano
4 Minuti di lettura
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Dalla penna, la voce e la cinepresa di Elio Petri il cinema italiano ha ricevuto un film molto più profondo di quanto il titolo suggerisca. La classe operaia va in Paradiso è targato 1971, anni in cui il calcio era totalmente un altro sport rispetto a quello che vediamo ora ma da cui emergono spaventose analogie con la Juventus di oggi. Quella vittoriosa con il Napoli è stata una Vecchia Signora operaia, come quella di Vycpalek nell’anno d’oro del Petri regista.

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Gatti, ruvido e decisivo

In attacco c’era Pietro Anastasi, l’emblema del senso di rivalsa di chi dal Sud si recava al Nord per cercare fortuna, in completo parallelismo con un ragazzone che non fa l’attaccante ma di gol pesanti ne segna a raffica. Gatti al Nord è nato, precisamente a due passi da Torino, ma come attitudine e garra sembra provenire da un’altra epoca.

La manata sul pallone che fa ammonire un nervoso Kvaratskhelia è da manuale del calcio di provincia, la cui applicazione in Serie A non è affatto vietata. In un mondo platinato e gellato, lunga vita a Federico da Rivoli che non vincerà la classifica marcatori bianconera come Pietruzzu nel 71/72 ma gradirebbe condividerne il destino. Lo avevate capito, no? Nell’anno in cui il proletariato nei cinema italiani sfiorava il Paradiso, la Juventus vinse lo Scudetto con un punto di vantaggio sul Milan.

Cambiaso e Kvaratskhelia, Juventus-Napoli
Cambiaso e Kvaratskhelia, Juventus-Napoli @livephotosport

Juventus, entusiasmo e numeri inattesi

E allora tanto vale provarci fino in fondo, a cavalcare l’onda dell’entusiasmo e questo parallelismo che in realtà alle sue spalle nasconde un’inattesa contraddizione. In Italia, e soprattutto dal Napoli, la Juventus è stata sempre vista come la squadra dei padroni, dei borghesi e di chi del popolo, dall’alto dei propri pavimenti laccati, francamente se ne infischia. Eppure il campo non ha sempre rispecchiato questo pensiero, e questa sì che è una costante che non è cambiata in uno sport profondamente mutevole come il calcio.

La Juventus infatti non è bella, non rappresenta affatto uno spettacolo d’intrattenimento e difficilmente le clip dei suoi gol finiscono negli edits di YouTube e TikTok, con il reggaeton in sottofondo. Però la macchina tirata su da Allegri è estremamente efficace, lo dicono i numeri: meno tiri concessi in area agli avversari in Europa in assoluto, seconda per grandi occasioni create dietro l’Inter – 38 contro 39 – e prima per occasioni sprecate, 27.

Massimiliano Allegri, tecnico della Juventus
Massimiliano Allegri, tecnico della Juventus @livephotosport

Perché cambiare?

E allora, perché cambiare? Perché accontentare gli urlacci e le ironie che Twitter e social vari hanno dato modo di rimanere impresse nel tempo? Il risultatismo è imprescindibile nel calcio professionisti e la Juventus ne sta estraendo il succo a suo modo, con merito proprio e qualche demerito di troppo di chi le si para davanti. A proposito, tralasciando l’erroraccio di Kvaratskhelia: l’intervento di Sczesny su Di Lorenzo vale tanto, forse più di tre punti.

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L’ambizione a Torino va dunque di pari passo col sapersi sporcare le mani – o i guanti, fate voi – e con tale spirito si colmano anche le lacune più profonde. E i bianconeri ne hanno diverse, che sia nella gestione del pallone o nell’incapacità a tratti grottesca di compiere un’azione di gioco pulita, non per forza arrembante ed esasperatamente frettolosa. Pregi e difetti, come tutti gli uomini. O perlomeno, quelli che al Paradiso ambiscono per davvero.

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