Torino, il tifoso Craxi: una storia tra amore, ombre e Mani pulite 

La storia del Craxi tifoso del Torino passa tra Superga, socialismo e Mani pulite, unendo due mondi (apparentemente) distanti come calcio e politica

Lorenzo Bosca
13 Minuti di lettura
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Il tifo sportivo (a maggior ragione se con esso intendiamo quello di matrice calcistica) si sa, è un prezioso indicatore esistenziale. Un’esperienza totalizzante in alcuni casi, capace perfino di scandire l’esistenza di una persona: oggi, come nel passato. Ma soprattutto, il tifo sportivo è un processo figlio di un intricato percorso di reciprocità tra la psicologia del singolo e molteplici aspetti della comunità presente intorno ad esso.

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D’altronde, l’etimologia greca (tŷphos) richiama la parola “febbre”, vale a dire un sostegno entusiastico, febbrile appunto, verso un qualcosa a cui l’essere umano sente di appartenere e percepisce da esso essere rappresentato. Ed è così che Benedetto Craxi, detto Bettino, non poteva sostenere alcuna squadra al di fuori del Torino ed il Torino non poteva vantare tra i propri sostenitori di maggior lustro una figura differente da quella dell’ex Presidente del Consiglio. Perché, il politico nonché l’uomo Craxi, con la compagine granata condivide la storia, i successi e i fallimenti, ma quel che è più importante, ne abbraccia appieno la filosofia.

Il giovane Craxi e la tragedia di Superga

Non è facile dipingere in poche e semplici parole la grandezza e la complessità (con relative luci ed ombre) proprie di un personaggio storico quale fu Bettino Craxi. Quel che è certo però, è che in questo caso il già menzionato tifo calcistico, un ambito apparentemente così lontano dal contesto politico, può rappresentare una proficua lente per comprendere meglio l’animo e l’indole di uno degli ultimi leader intellettuali di una politica che non c’è più.

“Al Torino sono rimasto sempre fedele, come all’arma. Superga per me, tifoso ragazzino, fu il primo grande dolore della mia vita. Del vecchio Torino mi ricordo anche la formazione, ho persino la foto in casa di questa squadra ormai storica”. Come per molti fedeli del club sabaudo, l’entusiasmo a tinte granata germoglia per la prima volta il 4 maggio del 1949. In “quel giorno di pioggia” più precisamente alle ore 17.03, il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI precipita su Superga: la collina sede dell’omonima Basilica che troneggia sulla città di Torino.

Craxi, all’epoca quindicenne, apprende la notizia dal padre. Di rientro da una trasferta in Portogallo, tutta la squadra del Torino, compresa di dirigenti, giornalisti ed equipaggio di volo, è venuta inesorabilmente a mancare nell’impatto contro la struttura. L’annuncio manda in frantumi il cuore del giovane ragazzo, che come per molti suoi coetanei aveva trovato nelle gesta di Capitan Valentino un punto di riferimento, capace di strappare un sorriso o ridare speranza dopo un lustro di anni che avevano inevitabilmente segnato l’esistenza della sua generazione: quelli della Seconda Guerra Mondiale.

La tragedia di Superga rappresenta quindi un crocevia fondamentale per la passione calcistica di Craxi. E non è un caso se gli ideali e i valori che appartengono alla storia del Torino, sono i medesimi che accompagnano la crescita umana (e politica) di quel ragazzo di Milano che a soli a ventitré anni viene eletto nel comitato centrale del Psi.

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La tragedia di Superga @Twitter
La tragedia di Superga @Twitter

La Torino proletaria e la borghesia Juventina

In quegli anni (ci troviamo nell’immediato dopoguerra) tifare il club granata equivaleva ad un preciso simbolo identitario, inevitabilmente legato alla propria posizione economica all’interno della società. Il bacino d’utenza del Torino raccoglieva infatti il proletariato urbano del capoluogo piemontese (e non solo). Parliamo del mondo operaio, che animava le grandi e fiorenti industrie del Nord Italia. Inevitabilmente la FIAT in primis tra queste.

Abbracciare i colori che avevano brandito Mazzola e suoi, era perciò simbolo di uno stile di vita. Quello del “servo” che si ribellava anche attraverso il calcio alla tirannia del “padrone”, spesso e volentieri ribaltando i pronostici e raggiungendo così il successo. Inevitabilmente, il confronto è con l’altra sponda della città, quella della Juventus degli Agnelli e per antonomasia della ricca e facoltosa borghesia.

Grande Torino*
Grande Torino*

Il Torino sul tetto d’Italia, Craxi alla guida del PSI

E sono proprio questi principi, adattati naturalmente in ambito politico, che permeano il Partito Socialista Italiano, il cui comitato centrale elegge nel 1976 Bettino Craxi alla propria guida. Quella citata, ironia del destino, non è una data casuale nella storia del Torino (oltre che come già accennato, del politico).

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Nel momento in cui il futuro primo ministro scrive la prima importante pagina della propria cavalcata verso la guida del Paese, i granata si laureano Campioni d’Italia (sarà l’ultima volta, almeno per il momento, della loro storia). Sulla panchina dei piemontesi siede Gigi Radice, che oltre ad abbracciare la linea politica craxiana, con “Bettino” custodisce un’amicizia sincera.

“Non mi vergogno a sostenere che ho idee politiche a sinistra, tra il socialista e il comunista: e con ciò?” dichiarò all’epoca lo stesso Radice, come si legge su Rivistacontrasti. E ancora: “Proprio per questo ho elaborato una visione del calcio e della società che non è più solo quella del training e della panchina”.

Craxi 
@Twitter
Craxi @Twitter

La (vincente) metamorfosi craxiana mentre il Torino affonda

Da quel momento la biografia di Benedetto Craxi e del Torino assumono due direzioni diametralmente opposte. Mentre i granata non riusciranno più a tornare in cima al tricolore, alternado delusioni cocenti a risultati non più che discreti, il politico (proprio al congresso di Torino) viene rieletto nel ‘78 alla guida del PSI, sostituendo con il garofano rosso la falce e il martello: è l’inizio della metamorfosi craxiana.

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Cinque anni più tardi ecco che per Bettino arriva la tanto anelata consacrazione. Complice l’ingente successo elettorale del proprio partito, Craxi diventa il primo Presidente del Consiglio socialista a capeggiare un governo nell’Italia repubblicana. E il Torino? Come spiegato per i granata non sono anni di gloria quelli, ed anzi, nel 1988 i sabaudi raggiungono il punto più basso della loro storia sportiva: la retrocessione in Serie B.

Craxi con Berlusconi @Twitter
Craxi con Berlusconi @Twitter

Craxi (sotto mentite spoglie) salva il Torino

Malgrado i successi politici inanellati nello stesso periodo (la lotta all’inflazione, la crisi di Sigonella, il secondo governo nell’86), per l’animo tifoso del Primo Ministro la retrocessione è un boccone fin troppo amaro da digerire: è quindi il momento di intervenire. Non potendo agire in prima persona però, naturalmente per via del ruolo ricoperto, Craxi sprona l’amico Gian Mauro Borsano ad acquisire la società piemontese.

In cambio l’imprenditore riceverà l’incarico come deputato per il PSI alle elezioni del 1992. Da quel momento Bettino agirà nell’ombra. Sono ben lontani infatti, i tempi in cui un Presidente del Consiglio poteva guidare una compagine calcistica, ma grazie all’immagine di Borsano, Craxi poteva (seppur mai confermando l’indiscrezione) manovrare i fili della rinascita granata.

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1992, il Torino in finale mentre esplode “Mani Pulite”

Il 1992 è nuovamente un anno chiave per ambedue i protagonisti della nostra storia. Dopo aver fatto ritorno in Serie A il 29 di aprile il Torino raggiunge infatti la prima (e per il momento unica) finale di Coppa Uefa della propria esistenza. Ad aggiudicarsi l’ambito trofeo è l’Ajax, ma i sabaudi non sfigurarono, anzi. Possiamo dire che quella granata sia uno dei pochi casi nella storia del pallone di insuccesso, privo però di effettiva sconfitta sul campo.

Parafrasato, all’epoca le finali andavano in scena su due gare (andata e ritorno) e dopo un 2-2 confezionato in Piemonte ed uno 0-0 conseguito in Olanda, il Torino vide sfumare l’obiettivo per la regola dei gol realizzati in trasferta (che in caso di parità nel risultato finale valevano il doppio). Quella che poteva diventare la più bella soddisfazione per i tifosi granata, si è trasformata dunque in un amaro ricordo.

Ma tra i sostenitori dei piemontesi, profondamente annichiliti per il risultato raggiunto, paradossalmente non troviamo proprio Craxi. Per quanto, come abbiamo attentamente esaminato, il politico fosse uno spassionato sostenitore della società sabauda, in quel 1992 erano senz’ombra di dubbio altre tematiche a procurargli più di qualche preoccupazione. Per Bettino infatti, quella data segna proprio l’inizio della fine.

Torino-Ajax 1992 @Twitter
Torino-Ajax 1992 @Twitter

L’Annus horribilis di Craxi

Ai problemi di salute (una grave forma di diabete mellito), si aggiungono quelli giudiziari. Nel 1992 esplode “Mani pulite”, espressione giornalistica con la quale si identifica quel filone di inchieste giudiziarie che in breve tempo smascherarono il sistema fraudolento che implicava in maniera collusa la classe imprenditoriale della Pensiola e numerosi partiti politici. Tra questi, figura anche il Partito Socialista di Bettino Craxi, che nel natale del ‘92 riceve un avviso di garanzia.

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Interrogato dal pm Antonio Di Pietro, Craxi si difende in aula con un celebre discorso: “Sono sempre stato al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho cominciato a capire quando portavo i pantaloni alla zuava”. Per l’ex Presidente del Consiglio, a cui già nel 1987 era succeduto il governo Fanfani, seguito in rapida successione da Goria, De Mita, Andreotti e Amato, sono ben due le condanne definitive.

Il movente, come anticipato, finanziamento illecito e corruzione al Partito Socialista Italiano. Prendendo in prestito la celebre espressione utilizzata dalla Regina Elisabetta II (ironia della sorte proprio per descrivere il 1992 della sovrana), quello per Craxi fu il vero e proprio “Annus horribilis”.

Craxi @Twitter
Craxi @Twitter

La fuga ad Hammamet dopo la Coppa Italia

Nel maggio 1994, non appena erano iniziate a ventilare le ipotesi circa l’imminente fuga all’estero di Craxi per scansare l’arresto, il passaporto del politico viene ritirato. Ma ormai è troppo tardi, Bettino si era già da tempo recato nella sua villa in Tunisia, in quel di Hammamet. Non prima però di aver visto il suo Torino vincere (almeno per ora) l’ultimo trofeo della propria storia: la Coppa Italia del 1993.

E chissà se nei suoi ultimi giorni di vita trascorsi nel continente Africano (morirà ad inizio del 2000), Craxi avrà avuto modo di seguire, anche se a distanza, gli impegni del suo Torino. Un Torino, che come lui, aveva lentamente perso quel ruolo di supremazia all’interno del contesto italiano, finendo come il suo più illustre sostenitore in una vera e propria crisi di risultati prima di ripiegare mestamente “in esilio” nel campionato cadetto.

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In un Paese ormai diverso da quello che si risvegliava ferito dalla tragedia del Grande Torino, dove sostenere i granata non significava più appartenere al proletariato e dove gli stessi cleavages all’interno della società erano venuti a meno, trasformandosi in qualcosa di diverso.

Quel che è certo però, è che giocando a calcio nella sua residenza tunisina (numerosi scatti ritraggono l’ex Primo ministro intrattenersi col pallone insieme ai famigliari), Craxi avrà ripensato al giovane tifoso che era in lui, e che come tanti della sua generazione aveva trovato la forza di cambiare l’Italia (anche) nelle gesta di Capitan Valentino.

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